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Viaggio tra i complottisti della Xylella

Il "batterio killer" che, negli ultimi dieci anni, ha funestato gli olivicoltori pugliesi è oggetto di teorie del complotto di ogni tipo: c'è chi sostiene che sia stato diffuso deliberatamente per distruggere le campagne, favorire la speculazione edilizia e incentivare la costruzione di strutture turistiche

Viaggio tra i complottisti della Xylella

Foto via Getty

Ottobre è il mese della raccolta. In Salento, esaurite le ultime incursioni dei turisti, il baricentro si sposta dalle spiagge alle campagne. La raccolta delle olive, in particolare, richiama la normalità di una pratica stagionale che da quattrocento anni scandisce la vita della popolazione locale. Per alcuni olivicoltori salentini, l’autunno 2022 significa invece la speranza del ritorno alla normalità perduta.

«Il 24 maggio del 2020 abbiamo ri-piantato i nostri primi alberi aziendali. Quest’anno abbiamo raccolto le prime olive», spiega a Rolling Stone Alessandro Coricciati, olivicoltore di Martano e proprietario del frantoio Alèa.

Dalla scoperta del batterio Xylella, responsabile del disseccamento degli ulivi, sono passati quasi dieci anni. Una buona parte delle campagne del basso Salento è abbandonata, gli alberi spogli e secchi, il valore dei terreni colato a picco. Il bilancio economico racconta un tessuto imprenditoriale e paesaggistico da ricostruire: 21 milioni di ulivi colpiti e malati – per tanti agricoltori poco più che “legna da ardere –, 180mila ettari di uliveti improduttivi, 1 miliardo di euro di danni stimati, 5mila posti di lavoro persi, frantoi venduti al miglior offerente.

Coricciati ha voluto scommettere sulla resistenza delle uniche due varietà di ulivo in grado di tollerare Xylella: leccino e favolosa. Il frantoio Alèa ha ripreso le attività, anche se il 90% della produzione non esiste più: «Ho piantato 20mila ulivi, una scommessa perché non si sa se in futuro il batterio attaccherà ulteriormente questi esemplari», spiega l’olivicoltore salentino. Insieme ad altri olivicoltori e agronomi della Grecìa salentina, Coricciati ha fondato l’associazione Olivami, che riunisce 15 aziende, per re-impiantare alberi su mille ettari di terreno. Al momento, gli associati hanno riportato gli ulivi su 350 ettari. Per vederne i frutti ci vorranno anni.

Adotta un ulivo

L’associazione ha lanciato anche la campagna “Adotta un ulivo”, per aiutare chi vuole provare a ricominciare: «È un modo per ripopolare il Salento dal punto di vista agricolo ed economico. Il nostro obiettivo principale è riforestare il Salento e aiutare i piccoli agricoltori. Chiediamo 30 euro per l’adozione di un albero: 10 euro vanno all’albero già piantato per aiutarlo alla conduzione, con 10 euro compriamo un altro albero, e con altri i restanti riconosciamo un litro di olio a chi ci aiuta». Gli alberi adottati sono più di 4mila, per una campagna di solidarietà che ha coinvolto più di 2mila contribuenti e 45 contadini candidati per il reimpianto. Per riprendere le attività e partecipare, ci sono alcune condizioni da rispettare: «Stiamo spiegando il nostro progetto: le coltivazioni, un trattamento biologico, con il giusto rapporto idrico e di sostanza organica, con le giuste potature. In alcuni casi servono anche interventi strutturali indipendenti da noi, possibili solo grazie alle disponibilità dei loro investimenti».

In Puglia si parla di “monocultura”, perché la coltivazione dell’ulivo occupa il 70% della superficie agraria: con Xylella, le campagne salentine sono state abbandonate creando una vera e propria «desertificazione», spiega Coricciati, e preoccupazione per l’impatto dell’inquinamento. L’olivicoltura salentina è frammentata e costituita per il 90% da piccoli proprietari, l’età media degli agricoltori è alta e spesso sono gli stessi contadini ad aver deciso di abbandonare le campagne, esponendole all’incuria e agli incendi. «I piccoli produttori sono stati abbandonati dalle istituzioni. Ci sono proprietà lasciate in eredità, piccoli appezzamenti di terreno che sono stati abbandonati e hanno creato così la desertificazione del territorio. È anche un problema generazionale: chi campava di agricoltura è ora andato in pensione».

Un batterio “killer”

Il danno di questo batterio “killer”, arrivato nell’estremità sud-est della penisola italiana dal Costa Rica, ha superato la dimensione economica, travolgendo il paesaggio e toccando le corde emotive della popolazione. «Non si tratta più solo di una malattia delle piante. Il batterio ha creato una forma di psico-fitopatologia o socio-fitopatologia. Ed è proprio in questo sottobosco emozionale che ha iniziato a serpeggiare la teoria del complotto, della cospirazione», scrive Stefano Martella, giornalista leccese, nel suo libro La morte dei giganti, una ricerca giornalistica e sociologica sugli effetti della pandemia degli alberi, che ha preceduto di pochissimo il coronavirus e i suoi complotti. Martella li ricostruisce passando in rassegna le ipotesi più diffuse, finite anche sui banchi della procura di Lecce. In particolare, il “complotto numero 0”: Xylella non esiste, sarebbe un’invenzione di non precisati gruppi di interesse.

C’è chi è arrivato ad accusare i ricercatori di aver deliberatamente diffuso il batterio per distruggere le campagne e favorire la speculazione edilizia e la costruzione di strutture turistiche. O per favorire la deturpazione volontaria del paesaggio salentino, in pieno boom turistico. E ancora, eliminare gli ulivi millenari per piantare cultivar intensive, alberi ogm, e distruggere l’economia locale. Come spesso accade alle teorie dei complotti, queste cadono in contraddizione.

I complottisti della Xylella

Caratteristica dei complotti – e delle reazioni irrazionali – è adottare teoria senza però rispondere alle fondamentali verifiche fattuali, che il metodo logico e scientifico impone: a farne le spese di questa psicosi collettiva – che ha coinvolto anche politici, artisti salentini schierati contro il “complotto Xylella” – sono stati i ricercatori del CNR di Bari che per primi hanno scoperto l’esistenza del batterio nel 2013. Dieci tra funzionari e ricercatori sono andati a processo per diffusione colposa della malattia e altri capi d’accusa. L’inchiesta della procura di Lecce, durata quattro anni, si è conclusa con l’archiviazione per tutti gli indagati. Si è parlato in quel caso di “post-truth justice” e metodo antiscientifico della magistratura, che aveva ordinato il sequestro di tutti gli ulivi e bloccato, di fatto, il “piano Silletti” per l’abbattimento delle piante infette, per realizzare un cordone sanitario e contenere l’epidemia, arrivata oggi a infettare gli ulivi del barese.

Se c’è un legame psicologico tra l’elemento naturale e l’uomo, è altrettanto vero che la vicenda Xylella ha realizzato un distacco tra l’albero-totem e la popolazione, che rispecchia l’elaborazione di un lutto. L’ulivo è considerato un albero fortissimo e resistente alle malattie, un “gigante” che ha attraversato nei secoli guerre, siccità, carestie, tende ad autorigenerarsi anche dopo aver subito lo stress di un incendio, raccontano gli agricoltori. Poi è arrivato il batterio sterminatore e l’albero, caricato di troppo significato e immaginario, è stato trattato come un “grande malato” da salvare, ma senza successo: «Quando sono iniziati i primi disseccamenti le abbiamo provate quasi tutte, sono state tutte pratiche autonome. Non c’è mai stato un disciplinare da seguire, abbiamo fatto da soli. C’è chi ha usato trattamenti con l’aceto, Alessandro che ne ha comprati 100 quintali. C’è chi diceva di praticare dei fori per arrivare fino al midollo e fare iniezioni. Non è servito a nulla. Per poter cercare di salvare gli ulivi ci siamo dissanguati economicamente», spiega Stefano Presicce, imprenditore associato a Olivami.

Incendi dolosi e paesaggi deturpati

Quella che Martella, in La morte dei giganti, chiama psico-fitopatologia si vede anche nel fenomeno degli incendi appiccati nelle campagne abbandonate: nel solo mese di maggio 2022 Coldiretti ha denunciato 900 richieste di intervento ai vigili del fuoco in provincia di Lecce per incendi divampati negli uliveti malati di Xylella. Si parla di incendi dolosi, motivati spesso dalla necessità di velocizzare gli espianti: una reazione disperata e irrazionale alla lentezza della burocrazia. Molti agricoltori non hanno potuto partecipare ai bandi pubblici per ottenere indennizzi e procedere all’espianto delle piante malate, a causa dei vincoli alla partecipazione. Progetti presentati quattro anni fa, sostiene Coricciati, non sono stati ancora finanziati: “In tanti stanno rifiutando questi indennizzi, con quei soldi oggi non si riesce a portare a termine l’espianto degli alberi. Xylella ha realizzato una riforma agricola, che non era mai stata fatta”. La terza piaga di Xylella, dopo economia e psicologia, riguarda proprio il paesaggio, deturpato e orfano del suo aspetto sempreverde e mediterraneo. Un paesaggio spettrale, nel quale la popolazione non si rispecchia più.

Dall’incredulità, alla disperazione fino all’indifferenza. Sono gli olivicoltori di Olivami a spiegare che il 90% dei donatori della campagna “Adotta un ulivo” sono turisti o salentini che vivono in altre regioni o all’estero. Pochissimi locali hanno al momento aderito alla campagna di adozione: «Per sfinimento, c’è chi è addirittura contento di vedere le piante secche», spiega Coricciati. Ora che il distacco è stato creato, l’ulivo-totem smetterà di esercitare quell’essenziale ruolo narrativo nel racconto della storia comune della comunità? Prima dell’ulivo, una coltivazione integrata nel mondo agricolo salentino secoli fa, c’erano foreste e boschi di faggi e querce, abbattuti per far spazio all’agricoltura olivicola e allo sfruttamento economico del territorio. Xylella ha cancellato secoli di storia agricola: a imprenditori, società civile il compito di imparare dagli errori commessi e non dimenticare le lezioni della scienza.

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