«Non ci sono alternative» – La vita dentro una baraccopoli italiana | Rolling Stone Italia
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«Non ci sono alternative» – La vita dentro una baraccopoli italiana

Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, è un ghetto fatiscente popolato da braccianti che lavorano nei campi della zona in condizioni di sfruttamento. Ci siamo stati

«Non ci sono alternative» – La vita dentro una baraccopoli italiana

Tutte le foto di Luigi Lupo

Dalla fermata del bus 24, che ogni giorno trasporta centinaia di braccianti dalla stazione di Foggia, al “ghetto”, bisogna percorrere quasi un chilometro tra arbusti e fango. L’andirivieni di braccianti è continuo. Alcuni riescono a dividere un passaggio in auto, altri percorrono il sentiero a piedi. Una massa di bottiglie di vetro e rifiuti di ogni tipo è il cartello di ingresso nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, ex pista di atterraggio per aerei, da anni un rifugio per oltre 3000 rifugiati impiegati nei campi come braccianti. 

Un cane, dagli occhi lucidi e l’aria stanca, si distende su una moltitudine di oggetti abbandonati che nessuno mai verrà a raccogliere. Il ghetto è una discarica a cielo aperto: si passeggia tra materassi e scarti di gomme, pezzi di lamiera e rifiuti di ogni cibo. Ma agli abitanti non sembra preoccupare. Il loro sabato scorre tranquillo in quella che è una vera e propria città autogestita. Non manca nulla: ci sono il ristorante, il parrucchiere, la macelleria, il fruttivendolo, la bancarella di scarpe e abbigliamento.

Nel 2019 l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini ordinò di smantellare 35 baracche. L’azione delle sue ruspe durò poco tempo, e l’accampamento ritornò nelle settimane successive. I braccianti, molti uomini, poche donne, non sanno dove andare. Le baracche sono la soluzione più immediata, ma meno comoda e igienica, per trovare riposo dopo un duro lavoro dalle paghe irrisorie e penose: “Mi sveglio ogni mattina alle 6″, racconta uno di loro a Rolling Stone, “e lavoro fino alle 16: la paga è di 50 euro”. Nove ore di duro lavoro per un compenso che non supera i 6 euro all’ora. Juri è arrivato in Italia nel 2008 dal Burkina Faso. “Lavoro nei campi, raccolgo olive e patate. Non mi pagano bene: prendo quasi 4 euro all’ora”. A lui la vita nel ghetto non piace ma, aggiunge, “non ci sono alternative”. 

Borgo Mezzanone è tristemente noto per la piaga del capolarato. Negli scorsi giorni un’inchiesta della Procura di Foggia ha fatto luce su un sistema illegale di  reclutamento, utilizzo e pagamento della manodopera messo in piedi da caporali e proprietari di aziende della Capitanata. Le sedici persone, coinvolte nell’inchiesta, devono rispondere, a vario titolo, di  intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Tra di loro c’è anche la moglie del prefetto Michele Di Bari, subito dimessosi. Rosalba Bisceglia, invece, titolare di una azienda agricola che produce olio d’oliva nel Gargano, è destinataria di una misura cautelare emessa dal gip di Foggia.

Mentre nelle aule di giustizia si cerca di chiarire i fatti, tra le strade fangose della baraccopoli si combatte una battaglia per la vita. Il freddo si fa sentire così tre ragazzi si scaldano intorno al fuoco, ridono mentre si passano una sigaretta con poco tabacco e preparano una grigliata. Da una consolle impolverata escono melodie reggae. “È il nostro modo di divertirci e passare il sabato”. Un altro ragazzo raccoglie acqua da una delle tre cisterne poste all’ingresso. Gli servirà per la doccia prima di addormentarsi dopo le fatiche nei campi. 

Per fortuna, nel buio di un microcosmo, dove spesso non sono mancati episodi di violenza, c’è un faro che illumina le strade del ghetto. Faro del Borgo è l’associazione nata nel 2010 per aiutare gli abitanti del di Borgo Mezzanone, vincitrice della quarta edizione di PartecipAzione – azioni per la protezione e la partecipazione dei rifugiati, promosso da Intersos e Unhcr. Zakharia, referente del gruppo che comprende 5 uomini e due donne, è arrivato in Italia nel 2009 dal Niger. Sbarcato a Lampedusa, a bordo di un barcone, è stato portato al Cara di Foggia.

Poi è passato a vivere nell’accampamento: “Abbiamo sentito la necessità,  supportati da Intersos, di aiutare la gente con le pratiche di sanatoria e più di recente sensibilizzandole al vaccino contro il Covid-19”. Su 2000 abitanti, restii alla vaccinazione per “motivi personali”, Il Faro del Borgo ne ha convinte 1500 a vaccinarsi in meno di due settimane. Ma il Covid e il capolarato non sono le uniche piaghe interne all’area. “La nostra zona è molto sporca, piena di rifiuti, il rischio di malattie è molto alto”.  

La sanatoria dei braccianti promessa a maggio 2020 dall’ex ministra delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, avrebbe dovuto risolvere la situazione di migliaia di braccianti irregolari in tutta Italia. Ma, a più di un anno distanza, poco è cambiato. I braccianti continuano a essere irregolari e vittime dello sfruttamento. Nel ghetto si patisce il freddo e la distanza dalla vita civile supera il tragitto della linea 24.