La sconfitta della bicicletta nella città più inquinata d’Italia | Rolling Stone Italia
Che giri (non) fanno due ruote

La sconfitta della bicicletta nella città più inquinata d’Italia

Il "funerale" di ToBike, il servizio di bike sharing attivo a Torino dal 2010, è una sconfitta per chi sogna una città più pulita ed educata. Sotto la Mole, maglia nera dell’inquinamento dell’aria, il dominio dall'auto continuerà a regnare incontrastato

La sconfitta della bicicletta nella città più inquinata d’Italia

Foto di Thierry Monasse/Getty Images

«Ha perso, ma non solo lui. Hanno perso quelli che credono nel bene pubblico e nella condivisione. Hanno perso quelli che sono convinti che una città nella quale l’auto si utilizza solo quando è davvero necessario è una città migliore. Hanno perso quelli che rispettano le regole ed il prossimo». È l’incipit che Bicincittà ha scritto nella sua lettera d’addio, rivolta alla città di Torino. L’azienda, che nel 2019 ha prelevato il servizio di bike sharing comunale (ToBike) attivo sul territorio dal 2010 e l’ha tenuto in piedi fino al 13 febbraio di quest’anno, chiude battenti e si lascia alle spalle la Mole Antonelliana.

Smette di esistere «uno dei servizi che più di 10 anni fa ha modificato la percezione della mobilità, offrendo biciclette portatrici di un messaggio: sai che puoi anche pedalare per muoverti?» mi ha detto Elisa Gallo, presidente di Fiab Torino Bike Pride. E ora che in giro per Torino bici gialle non se ne vedono più, con loro è un po’ svanita anche quell’idea nuova, quasi utopica, con cui il bike sharing comunale all’epoca si era preso il suo spazio: vi offriamo un mezzo di trasporto sano e pulito a un prezzo democratico, simbolico. E vi diamo un’alternativa al dominio incontrastato dell’auto, anche se – o proprio perché – vivete nella città che all’industria dell’auto deve il suo sviluppo. «Questa vicenda dà un messaggio negativo alla cittadinanza, come se la mobilità attiva e sostenibile non fosse una priorità di una città come Torino, maglia nera dell’inquinamento dell’aria e in un contesto di crisi climatica globale», commenta Gallo.

Ricostruiamo i fatti. Bicincittà, un’azienda in realtà già attiva – e ancora attiva – in altre città italiane tipo Genova, Lecce e Como, prende in mano il servizio ToBike nel 2019, prelevandolo dal vecchio gestore, con un investimento da un milione di euro, fatto in accordo col Comune («a cui non abbiamo chiesto alcun contributo»). Soldi destinati principalmente al totale restyling delle stazioni, rinnovamento delle componenti elettroniche, nuovi materiali antisfondamento per le colonnine, flotte di nuove bici più resistenti e riparazione di quelle esistenti, danneggiate dal tempo e dalla cattiva educazione. Nel solo 2022 pare che ToBike, tra mezzi rubati o rovinati, abbia subito 900 atti di vandalismo, oltre ai ripetuti e immotivati danni alle stazioni – numeri però messi in dubbio dal Comune di Torino. «Quando hai un esercito di imbecilli contro, la battaglia è durissima», si apostrofa nella lettera. «Abbiamo denunciato, ovviamente. Ormai i nostri dipendenti erano impiegati in due attività principali: sporgere denunce e raccogliere rottami in giro per la città. Certo, era prevedibile che ci sarebbero potuti essere degli episodi di questo tipo. Ma nessuno poteva immaginare un accanimento così brutale e ripetuto, una “routine” che ci ha costretto addirittura a rimuovere alcune stazioni dopo averle riparate inutilmente decine di volte». Una spesa piuttosto impegnativa a fronte, probabilmente, di un’entrata non altrettanto cospicua. La società spiega che in quegli anni la sussistenza economica del servizio è stata garantita per la maggior parte da inserzionisti privati tramite la pubblicità a bordo stazioni. E, solo in minima parte, dagli abbonamenti al bike sharing, proprio in virtù di quel principio democratico per cui tutti hanno diritto a scegliere di potersi muovere in maniera sostenibile, a prescindere dalla profondità delle tasche. Tant’è che il costo dell’utilizzo delle bici, per gli utenti, non è mai cambiato.

Sarebbe però riduttivo fermarci qua. «Non credo sia stata solo la vandalizzazione, che esiste in tutte le città e tutti i servizi di sharing si trovano, in modo più o meno intenso, a gestire», dice la presidente di Fiab, fondamentalmente confermando il pensiero delle amministrazioni comunali: questi rischi sono a carico del concessionario, che avrebbe dovuto prevedere la copertura assicurativa, come stipulato dagli atti di gara e dal contratto. Quindi c’è dell’altro e non basta prendersela con gli “imbecilli”. Se per Bicincittà la mancanza della proroga del servizio è dovuta principalmente all’assenza di volontà da parte della politica di andare avanti, dall’altra il Comune ribatte di essere stato impossibilitato al rinnovo per via di motivazioni tecniche. Citando le parole dell’Assessora alla Mobilità, Chiara Foglietta, «non è una questione di volontà politica, ma tecnico-giuridica: non era possibile fare un’altra proroga in quanto ne era già stata concessa un’altra in precedenza». Certo, come ha ribadito Elisa Gallo, non aver riconosciuto questo servizio come bene collettivo, tutelato e presidiato, non ha aiutato a combattere gli atti di vandalismo. E su questo non ci piove. «Ma anche la scelta di biciclette che, seppur leggere a facilmente manovrabili, erano poco resistenti e impreparate ad affrontare intemperie, a cui si sono aggiunti usi impropri e naturale usura, hanno contribuito al collasso».

Gli abbonati hanno riscontrato, nel tempo, una qualità sempre peggiore, ovvero poca disponibilità di biciclette in uno stato dignitoso: rumori e cigolii, componentistica rotta. E poi stazioni interamente vuote, o troppo piene. «Così come la pecca è anche da parte del Comune di non aver avviato prontamente un nuovo bando e la ricerca di finanziamenti. Ma anche di chi non ha controllato e sanzionato i vandali, rinnovando il messaggio che quelle bici gialle erano di tutti e andavo difese». Se cerchiamo obbligatoriamente qualcuno con cui prendercela, insomma, c’è una lunga lista da esaminare, ma a trovare invece chi ne subisce le conseguenze ci mettiamo poco. Il ToBike – chi ha vissuto a Torino nei suoi anni d’oro lo sa – è sempre stato un servizio accessibile a tutte le persone, soprattutto a studenti e fuori sede che non hanno un mezzo proprio. Motivo per cui il dolore per la sua scomparsa ha meritato un rito funebre come si deve, “celebrato” durante il corteo per lo sciopero globale per il clima del 3 marzo dal gruppo locale di Greenpeace Torino.

 

 
 
 
 
 
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È vero che, per chi vuole mantenere l’abitudine di muoversi su due ruote a Torino, come in altre città, senza comprare una bici, le alternative non mancano. I servizi di free floating, piombati all’improvviso sulle strade (anche se quasi tutti sono già scappati), offrendo un servizio piuttosto capillare ed efficiente, hanno reso ToBike un po’ meno competitivo, ma non a livello di costi.

Raccontandomi la sua esperienza, Gallo ribadisce che «non ho mai speso più del solo costo annuale dell’abbonamento (di 25 euro) perché ogni volta che prendevi una bici ToBike avevi la prima mezz’ora gratis. In quei trenta minuti si può arrivare ovunque a Torino: gli spostamenti in città sono di 3-4 km di media se non di meno». Se poi mezz’ora non era sufficiente, il costo al minuto era di 25 centesimi di euro. Confrontando le cifre con quelle di uno dei pochi bike sharing privati – se non l’unico – rimasti in città, la differenza è notevole. L’azienda Lime offre la possibilità di noleggiare le sue bici – prevalentemente elettriche – pagando un euro per lo sblocco iniziale del mezzo, a cui si devono aggiungere tra i 20 e i 25 centesimi (a seconda della città) per ogni minuto di corsa. Lo stesso vale per i suoi monopattini, veri protagonisti ormai dell’asfalto (e dei marciapiedi). Esistono anche delle formule di abbonamento, pensate per risparmiare, ma quella mezz’ora gratuita concessa da ToBike «era accattivante, forse troppo» a parere della Consulta Mobilità Ciclistica e Moderazione del Traffico di Torino. Per Elisa Gallo, compensare un servizio pubblico con un privato non è la stessa cosa. «Non possiamo lasciare al privato la gestione di un bene comune come quello della mobilità e della promozione di essa», soprattutto in un momento in cui la lotta alla crisi climatica è nel vivo della sua discussione.

Di soluzioni concrete, al momento, non ce ne sono, né pare ci sia l’intenzione di lanciare un nuovo bando. Per questo la Consulta ha chiesto, nel brevissimo termine, di intervenire temporaneamente almeno con un sussidio pubblico a favore degli operatori privati per calmierare i costi, a copertura dei mancanti introiti, per offrire un servizio ai cittadini a tariffe inferiori al prezzo di mercato. Certo, dare una bici a qualcuno e dirgli di pedalare non basta. Parallelamente andrebbero implementate infrastrutture a misura di bici, come piste e corsie ciclabili (in un articolo precedente ho scritto di quanto l’Italia non sia un Paese per ciclisti) e approvati provvedimenti ad hoc come la riduzione del limite di velocità per le strade, come previsto dal progetto “Città 30”. «Spero non resterà un vuoto perché sarebbe un fallimento, non solo per gli ex abbonati, ma per una città che ha bisogno di diventare più a misura di persona», visto che a Torino il numero di auto per abitante è doppio rispetto alla media europea.

Intanto, nell’attesa che qualcosa cambi, ci lasciamo così, come abbiamo cominciato, riportando le ultime frasi scritte da Bicincittà nella sua lettera: «Vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno pedalato con noi, anche solo per una volta: è stato un onore poter alimentare il sogno di una città più pulita, più educata, dove l’individuo e la collettività vivono in armonia».