È pieno inverno, ma la siccità ci ha già fott*ti | Rolling Stone Italia
Global Warming

È pieno inverno, ma la siccità ci ha già fott*ti

Bacini, fiumi e laghi sono praticamente a secco come fosse estate: 7 Comuni piemontesi sono stati costretti a dissetare i propri cittadini con l'ausilio delle autobotti, e altre 70 amministrazioni locali sono già in preallarme. Dovremmo spaventarci? Spoiler: sì

È pieno inverno, ma la siccità ci ha già fott*ti

Una veduta d'insieme dell'alveo (quasi) asciutto del fiume Po al Ponte della Becca, vicino a Pavia. 21 febbraio 2023

Foto di Piero Cruciatti via Getty

C’è un’isola in Italia che non è più un’isola. Almeno per ora. È quella di San Biagio, conosciuta anche come Isola dei Conigli, emersa sul Lago di Garda a poco più di 200 metri dalla terraferma del comune di Manerba del Garda, in provincia di Brescia. Fino a qualche settimana fa poteva essere raggiunta in due modi: con un battello o a piedi, camminando cioè su una piccola lingua di terra subacquea, trovandosi con l’acqua più o meno all’altezza della vita. Ad oggi quell’istmo che porta a San Biagio è ancora percorribile così, ma senza bagnarsi né piedi, né caviglie, perché di acqua non ce n’è.

Per alcuni turisti e abitanti del posto sarà pure un’esperienza nuova e suggestiva, ma la verità è che più che sorprenderci dovremmo perlomeno un po’ spaventarci. D’altronde che non piove e non nevica più come prima – e che fa caldo – ce ne siamo accorti tutti, e forse un allarme siccità ce lo aspettavamo pure.

Però ogni volta sembra sempre la prima – e questo non è un bene. Bacini, fiumi e laghi sono praticamente a secco come fosse estate, ma estate non è. Anzi, dovremmo al contrario essere in una di quelle stagioni in cui si accumulano le scorte d’acqua per affrontare i mesi più caldi senza morire di fame e di sete.

Ma pare che in quel periodo ci siamo già con largo anticipo. Come racconta l’Osservatorio dell’ANBI sulle risorse idriche, 7 Comuni piemontesi sono stati costretti a dissetare i propri cittadini con l’ausilio delle autobotti, e altre 70 amministrazioni locali sono già in preallarme.

Nelle prime settimane del 2023 la regione con la Mole, secondo l’ANBI, pare quella messa peggio in tutta Italia. A Torino, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno – tra l’altro già molto siccitoso – il livello del più grande fiume sul territorio nazionale, il Po, è più basso del 46%.

Lo stesso sta capitando anche a Piacenza e Cremona, per citarne alcune, una lista di città a cui continueranno probabilmente ad aggiungersene altre. Non piove e nel Nord Italia quando succede dura troppo poco. Non può venirci in soccorso neppure la neve, perché sulle Alpi si è praticamente dimezzata (-54% in meno in Piemonte e Lombardia). Senza il suo scioglimento, che di fatto contribuisce a ingrossare i canali (il Po si alimenta per il 60% proprio dalla neve caduta in montagna), mancano all’appello circa 4 miliardi di metri cubi d’acqua.

Con la penuria idrica fanno i conti – ovviamente – anche i laghi. Quello Maggiore è al 39% del suo normale riempimento, il lago di Como al 20% e il lago di Garda al 35% (sotto la media stagionale di oltre 50 centimetri, una percentuale tra le più basse di sempre).

Siamo più o meno nella stessa situazione di un anno fa, ma con 12 mesi in più di siccità già sulle spalle, un inverno che è praticamente in dirittura d’arrivo e una primavera che, per le semine, avrà bisogno di molta acqua. Dall’esperienza passata una cosa l’abbiamo imparata e una no: non sappiamo ancora bene come muoverci ma conosciamo bene cosa significa arrivare in ritardo, perché lo abbiamo già visto.

Nel 2022 la mancanza d’acqua ha causato, tra le altre cose, problemi all’agricoltura. Secondo Coldiretti l’anno scorso sono stati persi almeno 6 miliardi di euro di raccolti, pari al 10% della produzione agroalimentare nazionale. Le previsioni dicono che nel 2023 potrebbe non andare meglio. Per Coldiretti quest’anno avremo quasi 8mila ettari coltivati a riso in meno. Cifre mai registrate negli ultimi trent’anni. Certo, ci sono ancora le piogge primaverili. Non sappiamo quante e se ce ne saranno, ma la speranza è che ridimensionino la portata del danno.

La verità è che, a questo punto, avremmo dovuto avere una preparazione diversa. La siccità non è una novità e che l’acqua ci serve per vivere neppure. In Europa, tra l’altro, siamo primi per prelievi di acqua a uso potabile: oltre 9 miliardi di metri cubi all’anno.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ha definito un Paese a stress idrico medio-alto, perché utilizziamo il 30-35% delle risorse idriche rinnovabili a disposizione, con un incremento del 6% ogni 10 anni. «Una tendenza che», scrive Legambiente, «unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola». D’altronde, riportando gli studi fatti dal Consiglio Nazionale Ricerche (CNR) una percentuale fra il 6% ed il 15% della popolazione italiana vive ormai in territori esposti ad una siccità estrema: «una situazione che rimane complicata anche a fronte di prossime e comunque auspicate precipitazioni».

Prenderne atto non significa mollare la presa. Al contrario. Il nostro compito, oltre a quello di limitare comportamenti dannosi e inquinanti, è quello di spingere le Istituzioni ad investire. Le basi ci sarebbero pure, visto che le risorse e i finanziamenti non mancano. Ci sono per esempio gli 880 milioni di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che, a detta del Ministero dell’Agricoltura, saranno così suddivisi: 520 milioni per progetti nuovi e 360 per progetti già avviati con risorse nazionali, con l’obiettivo generale di aumentare la capacità di stoccaggio di acqua, ammodernare gli invasi, rinnovare e rendere efficiente la rete idrica riducendo le perdite e promuovere un uso razionale della risorsa idrica nel settore agricolo, industriale e anche cittadino. Certo, sulle tempistiche – almeno quelle annunciate l’estate scorsa da Patuanelli, ex Ministro dell’Agricoltura – ci sarebbe da discutere («l’appalto dei lavori entro il 2023 e la loro realizzazione entro il 2026»). Ma, arrivati a questo punto, l’importante è farli.

«Noi, insieme a Coldiretti, abbiamo presentato un piano per la realizzazione di 10mila invasi di piccola e media dimensione da mettere in opera entro il 2030», spiega Massimo Gargano, direttore generale dell’ANBI, e quindi «raccogliere la risorsa acqua nel corso dell’anno per renderla disponibile nei periodi in cui c’è invece carenza». Questi, infatti, permetterebbero di accumulare e rendere disponibile quando necessario e per diversi usi – da quelli agricoli a quelli industriali – molta più acqua fra quella che cade sul nostro territorio. Ad oggi ne sfruttiamo circa l’11%, ma «i nuovi invasi consentiranno di portare quella percentuale al 30%, forse 35%». Ad oggi, però, è stato completato poco più del 2% dell’intero progetto. «Serve l’attenzione delle istituzioni e degli enti locali per imprimere una forte accelerazione e arrivare finalmente all’obiettivo», come sta facendo il Sud Italia, per anni massacrato dalla siccità e che ora nei momenti di crisi attinge dai bacini artificiali. Francesco Vincenzi, Presidente dell’ANBI, spiega che il Mezzogiorno s’è fatto furbo, creando bacini a riempimento pluriennale. «Ne è esempio la Sardegna, dove la tanto vituperata Cassa del Mezzogiorno aveva realizzato in passato invasi a riempimento pluriennale. Quella rete infrastrutturale la scorsa estate ha consentito di salvare la stagione turistica in Gallura». E ora che il Nord Italia si trova nella stessa situazione, per di più senza neve, gli interventi devono andare esattamente in questa direzione.

Anche perché, calendario e dati alla mano, è difficile che nelle prossime settimane ci siano così tante precipitazioni da capovolgere la situazione. Almeno quella attuale. E nel caso in cui, per assurdo, dovesse succedere, è piuttosto probabile che in futuro in una condizione del genere ci ritroveremo ancora. Se per una volta non ci arriviamo con l’affanno, che male c’è?