Alla fine del secondo anno di pandemia, com’è messo il mondo con i vaccini? | Rolling Stone Italia
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Alla fine del secondo anno di pandemia, com’è messo il mondo con i vaccini?

Secondo il Segretario generale dell'ONU Antonio Guterres "abbiamo passato l'esame di Scienze, ma stiamo per venire bocciati in Etica". Abbiamo sviluppato i vaccini in tempo record, i Paesi poveri non li hanno mai ricevuti

Alla fine del secondo anno di pandemia, com’è messo il mondo con i vaccini?

Olivier Matthys/Getty Images

Nel suo discorso di apertura all’Assemblea Generale, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è espresso con forza sul tema della lotta al Covid e, soprattutto, sulle disuguaglianze sempre più forti che stanno emergendo nel mondo in materia. Guterres ha parlato di una “tragedia” causata dalla mancanza di volontà politica e dall’egoismo, che è l’immagine perfetta dei nostri tempi. “Abbiamo visto dei vaccini sviluppati in tempo record, una vittoria della scienza e dell’ingegno umano”, ha detto Guterres. Eppure in alcuni Paesi questi vaccini mancano, mentre in altri finiscono nella spazzatura, scaduti e inutilizzati. 

Mentre il secondo anno di pandemia globale si avvia verso la sua fine, la situazione è sempre più polarizzata. La maggioranza degli abitanti dei Paesi più ricchi del mondo è già vaccinata, mentre nei Paesi poveri i vaccini non sono ancora arrivati – oltre il 90% degli abitanti dell’Africa, ad esempio, aspetta ancora la prima dose. Come ha detto Guterres, “abbiamo passato l’esame di Scienze, ma stiamo per venire bocciati in Etica”.

Proprio per evitare questa simbolica bocciatura i Paesi ricchi stanno cominciando timidamente a muoversi. A margine dell’Assemblea Generale dell’ONU è stato organizzato, su iniziativa del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il Global Covid-19 Summit, un meeting dedicato esclusivamente a programmare azioni per lottare contro quello che diversi commentatori hanno già da tempo definito “apartheid vaccinale”. 

“Non possiamo risolvere questa crisi con mezze misure o ambizioni modeste, dobbiamo pensare in grande”, ha detto Biden, indicando due obiettivi: la vaccinazione di tutto il mondo e la fornitura di ossigeno, la cui assenza nei Paesi poveri si somma a quella dei vaccini causando un gran numero di morti che si sarebbero potute evitare. 

Il problema è che, almeno per il momento, il piano d’azione per risolvere questi due problemi gemelli è palesemente inadatto allo scopo: Biden ha promesso di donare 1,1 miliardi di dosi, di cui 300 milioni da consegnare entro la fine dell’anno. 300 milioni di dosi sono 150 milioni di persone vaccinate, mentre le persone ancora da vaccinare nel mondo sono 5,4 miliardi.

Inoltre, in questo momento nei Paesi ricchi ci sono 100 milioni di dosi di vaccino attualmente inutilizzate, che dovrebbero essere usate entro dicembre ma che probabilmente andranno sprecate. E i maggiori accaparratori di vaccini, che fanno scorte ben superiori rispetto a quelle che sono le loro necessità relative alla campagna vaccinale, sono proprio gli Stati Uniti (seguiti da Regno Unito, Giappone e Germania). C’è poi anche da considerare la questione delle terze dosi: l’Organizzazione Mondiale della Sanità è contraria, ma in molti Paesi ricchi si è vicini a partire con la loro somministrazione – la Food and Drugs Administration statunitense l’ha già approvata, per ora solo per i vaccini Pfizer e solo per gli over 65 e per i soggetti a rischio – il che non farà che aggravare la divergenza con il resto del mondo.

Dal canto suo, l’Italia ha annunciato che farà la sua parte – ma restando nel solco dei timidi sforzi annunciati dall’Occidente in generale. Durante il summit il premier Draghi ha annunciato che il nostro Paese donerà altri 45 milioni di dosi ai Paesi poveri attraverso il meccanismo COVAX entro la fine del 2021, triplicando gli sforzi annunciati finora. Secondo Draghi, nella distribuzione dei vaccini ci sono ancora “grandi disuguaglianze” e che bisogna aumentare “la capacità produttiva di vaccini e di strumenti sanitari in tutto il mondo, soprattutto nei paesi più vulnerabili” anche in preparazione per altre pandemie future. 

Nonostante le parole di Draghi, però, anche l’Italia ha già cominciato con la somministrazione delle terze dosi. Per ora sono riservate ad anziani e soggetti a rischio, ma con ogni probabilità verranno estese alla popolazione generale – come hanno già anticipato diversi funzionari governativi quali Sileri e Ricciardi. Insomma, a quanto pare si va verso quello scenario che veniva ipotizzato l’anno scorso: il Covid che diventa endemico, i Paesi ricchi che si proteggono con vaccinazioni e continui richiami della vaccinazione, i Paesi poveri che vengono abbandonati al loro destino. 

In tutto ciò, l’elefante nella stanza è il tema dell’abolizione dei brevetti sulla produzione dei vaccini. Un recente rapporto di Amnesty International ha accusato le sei aziende farmaceutiche che producono i vaccini contro il Covid (AstraZeneca, BioNTech, Pfizer, Johnson & Johnson, Moderna e Novavax) di star alimentando “una crisi dei diritti umani senza precedenti” per il loro rifiuto di cedere i diritti di proprietà intellettuale e di condividere la tecnologia necessaria alla produzione dei vaccini. 

Secondo l’analisi di Amnesty, su 5,7 miliardi di dosi di vaccini prodotte finora solo lo 0,3% è andato ai Paesi più poveri, mentre il 79% è andato ai Paesi più ricchi. “Vaccinare il mondo è l’unico modo per uscire da questa crisi”, ha detto Agnès Calamard, segretaria generale di Amnesty International. “In molti Stati a basso reddito neanche gli operatori sanitari e le persone a rischio di contagio hanno ricevuto il vaccino. A fronte di queste enormi inuguaglianze è previsto che alla fine del 2022 BionTech, Moderna e Pfizer avranno realizzato complessivamente guadagni per 130 miliardi di dollari. I profitti non dovrebbero mai venir prima delle vite umane”.

La campagna internazionale contro l’apartheid vaccinale, sostenuta fin dal principio da moltissimi Paesi – in primis Cina, Russia, India e Sudafrica – dopo un inizio promettente sembra essersi arenata a causa della contrarietà di Stati Uniti e Unione Europea, nonché delle aziende produttrici. Aziende che, afferma Amnesty, si sono finora rifiutate anche di partecipare alle iniziative internazionali per condividere conoscenza e tecnologia in modo da aumentare la produzione di vaccini su scala globale. 

Intanto, mentre nei Paesi ricchi a essere vaccinata è già una parte considerevole – ben più della maggioranza – della popolazione, nei Paesi poveri probabilmente non si raggiungerà l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di raggiungere il 40% entro fine 2021. Per farlo mancano infatti 1,2 miliardi di persone, oltre 2 miliardi di dosi – il 50% della produzione totale di vaccini da qui a fine anno. Per raggiungerlo, insomma, l’unico modo sarebbe riuscire a rendere finalmente equa la distribuzione delle dosi.