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993 morti. Eccola la “nuova normalità post-Covid” di cui parlavamo a marzo

Ormai psicologicamente 500, 700, 1000 morti al giorno non ci evocano più le immagini dei camion militari pieni di bare a Bergamo ma ci sembrano un prezzo accettabile da pagare

BSIP/UIG Via Getty Images. Collage via Twitter

Se guardiamo solo i dati, che sono gli unici che non possono mentire o svicolare, ieri è stato il giorno peggiore dall’inizio della pandemia di coronavirus in Italia: 993 morti. Nemmeno a marzo, nei giorni del lockdown totale e dell’emergenza nazionale in cui eravamo tutti terrorizzati e cantavamo l’inno sul balcone, abbiamo mai avuto un numero di morti così alto. Il totale dei morti di Covid-19 in Italia è 58mila, di cui 12mila solo nell’ultimo mese. Però, a differenza dei giorni di marzo, l’atmosfera è molto diversa. 

Se fossero arrivati solo sei mesi fa, numeri come questi avrebbero terrorizzato l’opinione pubblica, che ai tempi della prima ondata era andata nel panico per un numero di casi ridotto e concentrato in poche zone del Paese. Avrebbero messo in difficoltà la politica, costringendola a restrizioni molto più dure di quelle in vigore in questo momento. E soprattutto avrebbero portato il premier Conte a rivestire di nuovo i panni bonapartisti che aveva indossato durante il primo lockdown e a fare una delle conferenze stampa contrite che l’hanno reso così popolare nei sondaggi sulla fiducia nei leader politici. 

Invece, arrivando oggi, questi numeri non provocano niente di tutto questo. Gli italiani, comprensibilmente stanchi dopo un anno di restrizioni di vario genere, sembrano essersi definitivamente stancati della pandemia e sembrano iniziare a comportarsi con l’immaturità di chi pensa che ignorando il problema questo se ne andrà da solo. È per questo che si parla di salvare il Natale, di poter vedere i parenti, di poter andare a sciare; è per questo che i giornali parlano della grande folla per la riapertura dei negozi o segnalano la corsa al tampone – privato – prima delle feste, indicando che anche i più diligenti non hanno intenzione di posticipare la gratificazione del cenone coi parenti.

Il governo, da parte sua, asseconda questi sentimenti. Le scelte politiche di marzo, quando si era deciso di mettere al primo posto la salute e chiudere tutto, ci sembravano coraggiose: la verità è che lo erano ben poco, in un momento in cui tutto il Paese reclamava a gran voce misure radicali. Adesso la situazione è rovesciata, con tutto il Paese che vuole andare a sciare e il governo che arranca cercando di non scontentarlo troppo – sia mai che finisca come le proteste di Napoli contro De Luca di qualche mese fa. Tirare a campare e aspettare il vaccino sembra essere l’unico piano a lungo termine possibile.

Ieri, in effetti, una conferenza stampa di Conte c’è stata – anche se è stata molto diversa da quella che sarebbe stata necessaria nel giorno, ricordiamolo ancora una volta, più nero per il Paese dall’inizio della pandemia. Il premier non ha speso nemmeno una parola sul numero dei morti, ma ha fatto polemica sulla scorta per la sua fidanzata e promosso il piano “extra cashback di Natale”, un rimborso del 10% per chi paga con la carta. L’impressione, per chi come me guardava la conferenza stampa online sul canale della Presidenza del Consiglio, è stata chiedersi se non fosse partita la pubblicità di YouTube. 

Dopo la fase della tragedia nazionale, siamo ben dentro la fase della farsa. Dopo aver passato la fase della negazione (“è solo un’influenza”), della rabbia (“è il virus dei cinesi”), della depressione di marzo, oggi siamo all’accettazione. Ma nel senso che ormai abbiamo accettato che quella “nuova normalità” post-Covid di cui parlavamo a marzo è finalmente arrivata: solo che non è post-Covid nemmeno per finta. Ormai psicologicamente 500, 700, 1000 morti al giorno non ci evocano più le immagini dei camion militari pieni di bare a Bergamo ma ci sembrano un prezzo accettabile da pagare – ed è questa la cosa agghiacciante.

Il tutto mentre – è sempre bene ricordarlo – il 20% circa della popolazione mondiale in Paesi come la Cina ma anche il Vietnam, Taiwan e la Corea del Sud, fa una vita normale senza restrizioni di sorta da circa sei mesi.  

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