90mila aziende sono già fallite per il coronavirus, e altre 600mila rischiano | Rolling Stone Italia
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90mila aziende sono già fallite per il coronavirus, e altre 600mila rischiano

I nuovi dati di Confesercenti e Swg fotografano una situazione drammatica: il 7% delle attività commerciali, turistiche e di pubblico esercizio ha dichiarato di essere fallito, e chi non è fallito teme di fallire nei prossimi mesi

90mila aziende sono già fallite per il coronavirus, e altre 600mila rischiano

Stefano Montesi - Corbis/ Getty Images

Passata la fase più acuta dell’emergenza coronavirus, passata la pausa estiva, è il momento dei primi bilanci sull’impatto della pandemia sull’economia nazionale, e le notizie non sono affatto buone. Secondo un sondaggio elaborato da Confesercenti e Swg, infatti, nel 2020 ben 90mila aziende – hotel, bed and breakfast, negozi, bar, ristoranti – hanno chiuso per colpa delle diminuzioni di fatturato associate alla crisi e al lockdown. E altri 600mila sono a rischio se la situazione nei prossimi mesi non dovesse stabilizzarsi e i fatturati non dovessero risalire. E ancora: 500mila taglieranno posti di lavoro, a tempo indeterminato e non.

Secondo lo studio, che prende in esame il campione degli associati alla Confesercenti, ben il 7% delle attività commerciali, turistiche e di pubblico esercizio ha dichiarato di essere fallito. E chi non è fallito teme di fallire nei prossimi mesi: bar, locali e ristoranti hanno paura di cosa succederà in autunno quando non si potrà più fare sevizio all’aperto per via del clima ma resteranno in vigore le restrizioni al numero dei coperti al chiuso per evitare il contagio. 
 
Per il momento, a soffrire sono soprattutto le strutture alberghiere e turistiche. Come riporta Repubblica citando a dati dell’Istat, infatti, la quota di imprese che ha lamentato seri rischi operativi che ne mettono in pericolo la sopravvivenza nel 2020 è pari al 38%, ma sale al 57,8% nel settore degli alloggi, al 60% in quello di cultura, sport e intrattenimento e al 66,5% nella ristorazione: tutti settori direttamente collegati all’indotto turistico, che soffre per le limitazioni degli spostamenti. 

Come al solito, a livello territoriale i dati mostrano la frattura nord-sud che un tempo si sarebbe chiamata “questione meridionale”. Per quanto la situazione sia drammatica in tutta Italia, infatti, le regioni del nord-est e del centro soffrono leggermente meno rispetto a sud e isole, più dipendenti dal turismo.