Sarà il déjà vu delle attese quello che deciderà le sorti delle elezioni presidenziali francesi il prossimo 24 aprile. Emmanuel Macron e Marine Le Pen, già rivali nel 2017, hanno raggiunto rispettivamente il 27.8% e il 23.2 % delle preferenze, migliorando in entrambi i casi la percentuale complessiva raccolta nel loro primo confronto elettorale. Ma se, similmente a cinque anni fa, l’attuale presidente e leader della République en Marche e la matrona del conservatorismo francese si troveranno l’uno contro l’altra al ballottaggio, questa volta chi uscirà vincitore dovrà essere capace di gestire la chimera di un astensionismo in ascesa e per giunta giovanissimo, buona parte del quale si ritrova orfano della proposta radicale di Jean-Luc Mélenchon e non sembra trovare più nell’europeismo targato Macron un fattore di convergenza sufficiente per recarsi alle urne, diversamente da quanto accadde nel 2017.
“Né Macron né Le Pen” è lo slogan che ha tappezzato le università francesi all’indomani del primo turno. Giovedì scorso la Sorbona di Parigi è stata bloccata da centinaia di manifestanti, similmente a quanto accaduto a Nancy, Reims e altre città francesi. Lo sdegno giovanile trova ossigeno nella retorica della “falsa scelta”, secondo cui queste elezioni saranno l’ennesimo esempio di una politica che si sottrae alle richieste delle nuove generazioni. Se per una parte consistente di loro Marine Le Pen resta la maschera di una nuova deriva fascista da scongiurare, allo stesso tempo la riconferma di Macron significherebbe altri cinque anni di “ultraliberismo” inaccettabile, per dirla con quanto circolato su Twitter in queste ore.
Président des jeunes, hein…
🎥 @ClementLanot#SorbonneOccupée pic.twitter.com/OhDiubQEri— Marcel (@realmarcel1) April 14, 2022
Stando al comune sentire della “jeunesse enragée” che srotola drappi dalle finestre dalle università, Macron è ora più che mai il presidente dei privilegiati, oltre a restare un’anima convintamente “fossile” dal punto di vista energetico. La Francia non scopre certo oggi il risentimento dei suoi ragazzi, ma la virata in massa verso Mélenchon e le proteste d’ateneo hanno messo sul piatto più argomenti del previsto. A questi si aggiunge il dibattito sul futuro dell’Europa e sul percorso di integrazione comunitaria di cui la Francia si è sempre fatta portabandiera, ma che secondo alcuni oggi rischierebbe di diventare un sentiero scricchiolante in caso di una riconferma di Macron, dal momento che sia Mélenchon che Le Pen si sono fatti megafono di posizioni critiche nei confronti dell’Unione.
Detto questo, è importante evitare di prestare il fianco alle semplificazioni. Una su tutte: il successo di Mélenchon in primis e, in parte, l’allargamento della base di Le Pen tra gli elettori più giovani, non andrebbe tradotto in maniera quantomeno precipitosa in un risveglio euroscettico di questi ultimi. Un’analisi elaborata da Politico nei giorni scorsi ha messo in relazione i risultati del primo turno con alcuni dati raccolti a fine marzo sull’euroscetticismo dei francesi. Sebbene lo scorso fine settimana Macron abbia capitalizzato il proprio vantaggio soprattutto tra le schiere degli over 65, l’attuale presidente è stato surclassato da Mélenchon per quanto riguarda la fascia di età tra i 18 e i 34 anni, mentre Le Pen si è imposta in quella di mezzo dai 35 ai 64. Come si legge nel rapporto sul voto pubblicato da Harris Interactive, infatti, il quasi il 38% dei giovani tra i 18 e i 24 anni hanno votato per il candidato di France Insoumise, a cui si aggiunge l’oltre 30% degli elettori tra i 25 e i 34 anni.
Ciononostante, le posizioni apertamente critiche nei confronti dell’Unione Europea propugnate dagli avversari di Macron non sembrano costituire il fattore principale di attrazione per l’elettorato giovane. Sempre citando Politico, non più di qualche settimana fa il 76% delle persone di età compresa tra i 18 e i 24 anni si dichiarava fiero di essere europeo, mentre il 42% sperava in un’ulteriore spinta nel progetto di integrazione dell’Unione. Una percentuale, quest’ultima, molto più alta che in qualunque altra fascia d’età, compreso il 30% raggiunto dagli over 65, lo zoccolo duro macroniano. Un’ultima considerazione in questo senso andrebbe fatta anche sulla tipologia del voto a Mélenchon. Secondo quanto fatto notare dal sociologo e professore universitario Vincent Tiberj in un’intervista a Libération, pur non essendoci alcun dubbio che parte dei voti raccolti dal candidato nato a Tangeri derivino da un sincero appoggio alle sue idee su temi come la lotta contro le disuguaglianze sociali, la creolizzazione e la narrazione della diversità, è altrettanto vero che un’altra parte delle preferenze sia in realtà «un voto di influenza e mobilitato, per dire che possiamo eliminare Marine Le Pen».
Più che l’anti-europeismo sembrano dunque essere i numeri dell’astensione giovanile a preoccupare. Oltre il 40% degli elettori tra 18 e i 34 anni non è andato a votare, facendo registrare un astensionismo record alle presidenziali non solo in Francia – nel 2017 era poco sotto il 28% – ma addirittura rispetto al tasso globale, fermo al 25% circa. Con ogni probabilità è stata proprio questa apatia nei confronti del voto ad aver tolto terreno a Mélenchon proprio sul più bello, estromettendolo dal ballottaggio per poco più di 400mila voti. Il leader di France Insoumise è l’unico ad aver salutato positivamente i numeri della partecipazione giovanile, continua Tiberj: «C’era da aspettarsi che i giovani non avrebbero partecipato. Va ricordato che nelle ultime elezioni regionali, l’82% dei 18-34enni non si presentò alle urne. Ma qui – con Mélenchon ndr – hanno mostrato il contrario. Eppure ci sono molte ragioni per cui potrebbero essersi allontanati dal voto. Quando si dice di essere preoccupati per le disuguaglianze sociali, il riscaldamento globale e quando si sente parlare di immigrazione e di grande sostituzione, ci si può sentire un po’ sopraffatti. Viene da chiedersi: i giovani erano al centro di questa campagna? Di questo si può dubitare».