45 anni fa, questo foglietto poteva salvarci dal riscaldamento globale | Rolling Stone Italia
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45 anni fa, questo foglietto poteva salvarci dal riscaldamento globale

Un breve memorandum giunto sulla scrivania del presidente Carter nel luglio del 1977 avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, anticipando gli sforzi globali per la riduzione delle emissioni e sottolineando l'urgenza di abbandonare i combustibili fossili. E invece non se ne fece nulla

45 anni fa, questo foglietto poteva salvarci dal riscaldamento globale

La consapevolezza della crisi climatica non è mai stata tanto diffusa come oggi: la comunità scientifica è ormai unanime sull’origine antropica del riscaldamento globale, la maggioranza dell’opinione pubblica chiede di intervenire tempestivamente per contrastarne gli effetti e la società civile si è intestata questa battaglia scendendo in campo attivamente attraverso scioperi per il clima, manifestazioni e azioni di protesta. Allo stadio attuale, il climate change rappresenta uno dei punti fondamentali del dibattito pubblico e dell’agenda dei governi; eppure, fino a pochi anni fa le cose non stavano così.

Non stavano sicuramente così nella seconda metà degli anni ‘70, quando il movimento ambientalista internazionale era ancora poco strutturato e sprovvisto del potenziale di pressione attuale. Certo, 5 anni prima la pubblicazione del rapporto The Limits to Growth aveva incentivata una prima, embrionale presa di coscienza sullo stato di salute precario del nostro Pianeta, ma le sue previsioni furono largamente sottostimate: il consesso economico internazionale non aveva alcuna intenzione di preparare il terreno per un mondo libero dai combustibili fossili. Eppure, nel luglio del 1977, ben prima dello sdoganamento definitivo del riscaldamento globale nel mainstream della discussione politica, il presidente americano Jimmy Carter ricevette sulla propria scrivania un foglietto apparentemente insignificante che, però, avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi, anticipando gli sforzi globali per la riduzione delle emissioni. Quel documento, poco più di 2mila caratteri battuti a macchina, metteva in chiaro i propri intenti fin dal titolo dell’oggetto: Release of Fossil CO2 and the Possibility of a Catastrophic Climate Change. Era stato redatto da Frank Press, un geofisico americano, consigliere di quattro presidenti degli Stati Uniti nonché presidente della National Academy of Sciences degli Stati Uniti per due mandati consecutivi, dal 1981-1993.

La versione completa del memorandum di Press. Credits: Ufficio del Presidente degli Stati Uniti d’America

In quel breve memorandum, Press utilizzava parole così avveniristiche da dare l’impressione di essere un profeta tornato indietro nel tempo per informare il genere umano delle sue tristi sorti e scongiurare la sesta estinzione di massa. Ad esempio, scriveva che «La combustione di carburanti di origine fossile è aumentata a un ritmo esponenziale negli ultimi cent’anni. Di conseguenza, la concentrazione atmosferica di CO2 è ora del 12% al di sopra del livello della rivoluzione preindustriale e potrà crescere da 1,5 a 2,0 volte tale livello nei prossimi 60 anni. A causa dell’«effetto serra» della CO2 atmosferica, l’aumento della concentrazione indurrà un riscaldamento climatico globale compreso tra 0,5 e 5°C» e che gli «effetti climatici» sarebbero «diventati evidenti» a partire dal Duemila. Il geofisico sottolineava, inoltre, l’importanza di abbandonare i combustibili fossili e l’urgenza di avviare il prima possibile una transizione razionale verso nuove fonti di energia (anche in questo caso, la precisione di Press è sconcertante se pensiamo che, oggi, la maggior parte dei governi ha istituito specifici ministeri incaricati di dare seguito a questo preciso mandato): «Con la fine dell’era del petrolio in vista, dobbiamo prendere decisioni a lungo termine sulle future politiche energetiche. Una lezione che abbiamo imparato è che il tempo necessario per la transizione da una fonte importante all’altra è di diversi decenni».

Purtroppo, com’è facile intuire, il foglietto che avrebbe potuto salvarci dalla catastrofe è finito nel tritacarte abbastanza rapidamente: Carter ha sottostimato la portata delle osservazioni di Press e il ministro dell’Energia che serviva nella sua amministrazione, Jim Schlesinger, liquidò la questione abbastanza frettolosamente, derubricandola a problematica di secondo piano, come dimostra la sua nota di commento in cui scrisse che «La mia opinione è che le implicazioni politiche di questo problema siano ancora troppo incerte per giustificare il coinvolgimento presidenziale e iniziative politiche».

Di conseguenza, il “presidential memo” che avrebbe potuto cambiare la vicenda della lotta ai cambiamenti climatici venne cestinato e riposto nel dimenticatoio. La storia della profezia di Press è stata ripercorsa nel dettaglio sul Guardian in un articolo di Emma Pattee, che ha lanciato una provocazione interessante: cosa sarebbe accaduto se Carter fosse stato rieletto? Probabilmente avremmo potuto bruciare le tappe, agendo con decenni di anticipo sul fronte della riduzione delle emissioni. E, invece, sfortunatamente le cose non andarono così: a Carter seguì infatti la parentesi di Reagan che, dopo aver vinto le elezioni nel 1981, demolì i pannelli solari installati nella Casa Bianca dal suo predecessore. Nel frattempo, l’industria dei combustibili fossili ha iniziato a spendere decine di milioni di dollari per seminare dubbi sulla scienza del clima. In quegli anni, infatti, gli scienziati interni all’azienda Exxon avevano scoperto il legame tra l’attività di bruciare combustibili fossili e l’aumento delle emissioni. Secondo i documenti e i promemoria interni alla compagnia, la Exxon sapeva tutto quello che c’era da sapere per affermare l’esistenza del cambiamento climatico e ammettere la propria responsabilità. Eppure, invece di cambiare rotta, ha fatto di tutto per nasconderlo, costruendo una campagna di disinformazione durata decenni. Con la proverbiale comodità del senno di poi, però, possiamo ritenere che, se quelle 2mila battute fossero state prese sul serio, oggi il percorso di decarbonizzazione sarebbe più agevole: una presa di coscienza così importante da parte del governo più potente al mondo avrebbe reso, giocoforza, la strada più difficile alle lobby del fossile e agli esperti a loro libro paga che, per anni, hanno fatto di tutto per rimandare la regolamentazione del settore.