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Cambridge Analytica: Mark Zuckerberg ha ragione!

In seguito allo ‘scandalo’ sui dati personali venduti ci siamo lamentati per nulla: i primi a farsi fottere siamo noi, volontariamente

Cambridge Analytica: Mark Zuckerberg ha ragione!

Mark Zuckerberg, co-founder, Chairman e CEO di Facebook. Foto di Kristoffer Tripplaar.

Al contrario di quanto potreste pensare, lo scandalo Cambridge Analytica non è uno scandalo. I vostri dati, i miei dati, i nostri dati, sono alla mercé di tonnellate di aziende che speculano su informazioni personali che rivendono al miglior offerente. E si tratta di realtà commerciali forse poco etiche, ma non per questo illegali. Benvenuti nel mercato dei dati personali, un mercato che siete voi ad alimentare.

Nelle puntate precedenti

Prima di arrivare al dunque, è il caso di rinfrescarci la memoria su quel che è successo. Un ricercatore americano realizza un’app che, sulla base di alcune informazioni fornite da un contatto Facebook, gli ritorna una valutazione sulla sua personalità. Una di quelle app scherzose di cui spesso condividiamo i risultati proprio su Facebook. L’app, di discreto successo, va così a comporre un enorme archivio di informazioni personali che il ricercatore, contravvenendo alle regole di Facebook, rivende a Cambridge Analytica, società specializzata nel marketing aggressivo. Tanto per dire, Cambridge Analytica, ma non è certo l’unica a farlo, utilizza questi dati per supportare diverse campagne elettorali in tutto il mondo, compresa quella americana di Trump, nel 2016. Sembra un giro complesso ma non lo è e per spiegarlo porto sempre, come esempio, quello della Terra piatta. Fa già ridere così, nevvero? Eppure.

Quasi tutte le persone dotate di cervello sanno che la terra non è piatta, eppure nel mondo esiste ancora qualcuno che lo crede possibile. Questi individui, in genere, sono sbeffeggiati e per questo tendono a fare gruppo, a essere solidali tra di loro. Ora mettiamo che realizzo un’app per Facebook che, in base a una serie di domande, ti dice quanto sei intelligente. La chiameremo “IntelliApp”. Tra le domande di IntelliApp c’è pure “Credi che la terra sia piatta?”. Ovviamente a chi risponde in modo affermativo viene diminuito il punteggio (spero di molto), ma l’utente non saprà mai quali sono le risposte giuste e quelle sbagliate. L’app, però, ha schedato i profili di chi crede che la Terra sia piatta. Questi e altri dati sono venduti a un’agenzia come Cambridge Analytica, che chiameremo RollAnalytica. Al momento giusto, per esempio durante una campagna elettorale, RollAnalytica crea una serie di siti web nei quali sono raccolte notizie che confermano che la Terra è piatta e li pubblicizza, come post sponsorizzati, su Facebook, puntando proprio a quei profili sensibili all’argomento. Dopo qualche tempo, oltre ai suddetti post, RollAnalytica lancerà post sponsorizzati dove il candidato cliente dell’agenzia si impegna, una volta eletto, a far diventare la Terra piatta Patrimonio dell’Unesco.

Colpito e affondato

Il sistema pubblicitario di Facebook è un meccanismo perfetto e diabolico: con i dati giusti, è possibile far arrivare messaggi pubblicitari esattamente al proprio pubblico di riferimento. E per questo non è esagerato affermare che un’azienda come RollAnalytica, ops, Cambridge Analytica, è in grado di modificare l’esito di un’elezione sulla base di qualche milione di profili defraudati di alcuni dati personali.
Ho usato un esempio di finzione, e anche piuttosto stupido, ma spero sia chiaro un concetto: se la mia IntelliApp avverte chiaramente l’utente che utilizzerà alcuni suoi dati personali e che questi potrebbero essere sfruttati per scopi di marketing, il danno è bello che fatto. E ammettiamolo: quante volte abbiamo letto messaggi simili, accettandone le condizioni pur di provare app e software stupidissimi? Chiarito questo passaggio, in effetti il più delicato, tutto il resto del processo è automatico e perfettamente legale. Ed è proprio su questo meccanismo che centinaia di aziende costruiscono business dorati e in crescita costante.

Una normale attività

Il 3 giugno del 2010, tanto per dire, il colosso editoriale Hearst ha acquisito per 325 milioni di dollari iCrossing. Si tratta di una agenzia digitale che fa da cappello a una serie di servizi legati alla promozione e al marketing sui nuovi media. Tra questi, l’analisi dei dati. La pagina di descrizione recita: “Our team of quants and analysts leverage their deep experience in cross-channel media marketing and data collection, mining and analysis, to build people-focused marketing programs”. Che può essere tradotto in: “Il nostro team di analisti mette in azione la propria grande esperienza nel marketing cross-mediale e la raccolta dati, il mining e l’analisi, per costruire programmi marketing focalizzati sugli individui”.

In realtà, società come questa non fanno altro che applicare funzioni di ricerca avanzata sui social network, disponibili in forma gratuita e il cui unico costo è in termini di apprendimento delle tecniche migliori per raggiungere lo scopo. Del resto, registrandosi come sviluppatori di app Facebook e leggendo la ricca documentazione messa a disposizione dal colosso di Zuckerberg è possibile avere accesso, in modo semplice e centralizzato, a decine di statistiche, preferenze e parametri pronti a profilare gli utenti. Non è sempre necessario estorcere questo materiale, molto più spesso siamo noi, di nostra spontanea volontà, a fornire questi dati. Avete presente le pagine che seguite su Facebook? Sono un ottimo indicatore non solo dei vostri gusti musicali, se seguite qualche band, ma anche di orientamento politico, sessuale, ideologico. Manna digitale che può essere raccolta come uva settembrina per ottenere un elisir pronto a essere venduto a caro prezzo dalle società di marketing.

Il singolo e il tutto

Ho sentito qualcuno dire che i nostri dati non valgono nulla e quindi è perfettamente inutile preoccuparsi di che fine faranno. Di base è vero: i dati del singolo non valgono nulla, a meno che si tratti di qualcuno che ha i codici per lanciare testate nucleari, che abbia la formula della Coca Cola nel taschino o che conosca a memoria la ricetta del pollo fritto di KFC. Il problema arriva quando i dati del singolo entrano a far parte di un archivio enorme. Magari di 87 milioni, tanti sarebbero, stando a quanto si è appreso nelle ultime ore, i profili scandagliati da Cambridge Analytica. Il problema è che, col giochino che vi ho spiegato, con una massa critica del genere è possibile mirare post sponsorizzati con precisione balistica e andare a segno 9 volte su 10. E allora quegli 87 milioni di singoli, inutili, dati, diventano 87 milioni di voti che ballano sulla base di qualche post Facebook. Il che, a pensarci, è deprimente, ma ricordatevi che Facebook è gratis. E se qualcosa che usate è gratis, il prodotto siete voi. E piantatela con questi test idioti, per la miseria.

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