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Se non hanno pane, che mangino ristori

“Ristoro” viene dal francese “restorer”, cioè “confortare, specialmente lo stomaco”. Cosa potevamo aspettarci da un decreto con un nome così? E dov’è finito il titolista del vecchio #TuttiaCasa?

Se non hanno pane, che mangino ristori

Foto: VINCENZO PINTO/AFP via Getty Images

Ieri sera, all’inizio della conferenza in cui Giuseppe Conte ha presentato agli italiani il #DecretoRistori, non devono essere stati pochi i titolari di pizzerie, bar, pasticcerie, cinema, teatri, palestre e piscine (i più colpiti dalle misure restrizioni del DPCM di lunedì) a tirare finalmente un sospiro di sollievo. Almeno questa volta le intenzioni del Governo sembravano buone. Del resto, 2,4 miliardi di euro a fondo perduto non si stanziano tutti i giorni, soprattutto a uno solo dall’inizio della messa a ferro e a fuoco dei principali centri abitati della Penisola. Certo, forse si sarebbe potuto comunicare restrizioni e aiuti insieme. Ma non sempre la passione della politica per il tempismo è un amore ricambiato o felice, specialmente quando fretta, ansia, e pandemie si mettono a dare dritte all’una su come irretire il secondo.

Fatto sta che perfino il più facinoroso dei gelatai scesi in piazza, vuoi perché stanco di essere caricato dalla Celere armato solo di un porzionatore a pallina, vuoi per seguire meglio lo streaming, aveva momentaneamente deposto le armi e dedicato tutta la sua attenzione alle parole e alle cifre del Premier Giuseppe, che mai come allora gli era apparso come una riga di lato castana tra le parole bonifico ed entrata.

Immaginate la delusione del nostro gelataio, ancora col volto ricoperto dal preparato in polvere per fiordilatte (a chiara riprova della sua sediziosità), quando scopre, nel prosieguo della conferenza, a quanto effettivamente ammonti la cifra che gli spetterebbe e, per giunta, in corrispondenza di quale fatturato mancato. Ma cosa ci si poteva aspettare da un decreto chiamato così? Anche #DecretoDelGiornoDopo, col senno di poi, sarebbe stato meglio. O #Ristoroliberatutti. Ma, che volete, in ventiquattro ore di tempo non è ci si potesse rivolgere chissà a quale namer di grido. Dove vola il titolista del Decreto #TuttiaCasa?, in inverno?

Per il Vocabolario Etimologico di Ottorino Pianigiani la parola ristoro deriva dal francese antico restorer: “riconfortare, specialmente lo stomaco”. L’area semantica è quella del sollievo alle fatiche del viandante montano, tutt’al più del pastore transumante o comunque di genti dalla geolocalizzazione precaria come pellegrini, militari, emigranti, che vengono soccorsi in modo transeunte da una scelta lessicale governativa che vale come un’autocertificazione socio-linguistica delle proprie intenzioni strategiche, o della mancanza di esse. I più cattivi potrebbero dire che è come se i cittadini beneficiari di questo provvedimento non avessero fissa dimora nella nostra politica nazionale.

È affascinante come approfondendo le regole del decreto-legge in questione sembri poi di leggere un manuale per Dungeons & Dragons, sempre per rispettare un framing narrativo retrò, in questo caso in odore di revivalismo nostalgico degli anni ’80, emotivamente consolante ma numericamente ansiogeno, in cui l’effettiva efficacia di una pozione ristoro è affidata a un tiro di dado a venti facce: “Quattro le fasce individuate: ristoro al 100% (coefficiente 1) delle somme già incassate con il Dl rilancio riservato agli esercizi e alle attività che con la chiusura alle ore 18 possono provare a contenere le perdite e comunque lavorare (pasticcerie o gelaterie); 150% (coefficiente 1,5) per chi ha subito un danno parziale, come i ristoranti […][riporta il Sole 24 ore]”

La paura è che la scelta non fortunatissima della parola non derivi tanto da una volontà maldestra di significare generico conforto ma, dovendo il governante restituire speranza, all’indomani della rivolta, alla prima categoria imprenditoriale che gli è venuta in mente, abbia scelto una parola che condivide la radice coi ristoratori. Come se, nel caso l’ultimo DPCM avesse colpito particolarmente gli impresari funebri, avessero titolato l’ipotetico, successivo intervento riparatorio: #DecretoPompe, con la differenza che, nel caso del lessema ristori, il conforto sarebbe più effimero di quello rappresentato dalla morte.

Chiamarlo direttamente #DecretoRistoranti, però, sarebbe parso brutto o segnale di favoritismo ai danni delle altre categorie imprenditoriali da ristorare. A quel punto sarebbe andato benissimo anche chiamare tutta l’iniziativa #DecretoAutogrill (e i singoli articoli Camogli, Rustichella, ecc.), se solo non fosse subentrato il potenziale conflitto con l’annosa questione Benetton e Autostrade per l’Italia e, soprattutto, col fatto che gli Autogrill comunque non devono chiudere alle 18. Oggi il rischio è che quello che è stata la parola congiunti per la prima era della pandemia da Coronavirus, la parola ristori rischi di essere per la seconda. Solo che dove congiunti, nei limiti della comprensione della relativa definizione, ci aveva uniti, ristori rischia di separarci.

Lungi noi dal sospettare che il governo, proprio in questi giorni in cui l’approvvigionamento beni di non prima necessità minaccia di tornare più difficile, abbia a disposizioni dosi considerevoli di siero della verità. Quel che resta è però una sensazione di triste ammissione di inadeguatezza, e non possiamo pensare che questa scelta lessicale così infelice sia dovuta solo all’assenza giustificata di Rocco Casalino dal suo ufficio comunicazione, ma a un disagio più diffuso.

Sia storicamente che ultimamente la politica ha eccelso più nell’infondere sicurezze — anche qualora non ce ne fossero i presupposti — piuttosto che nell’erogare fondi istantanei. Di questo dobbiamo dare atto all’onestà intellettuale del Governo Conte II. Questo fa tenerezza, ma non di quella tenerezza tutto sommato positiva, da genitore in evidente difficoltà, che con una mano ci allunga cinquanta euro e con l’altra controlla l’app dell’home banking. Il fatto è che, mettendo il naso appena sopra il livello del selciato calpestato dalla protesta, sembra che la politica ci stia confessando, con i suoi stessi atti, nero su bianco, di non farcela più, di poter dare solo premi di consolazione.

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