‘The Great’, viva il ‘politically scorrect’ | Rolling Stone Italia
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‘The Great’, viva il ‘politically scorrect’

Nella miniserie su Caterina La Grande con una deliziosa Elle Fanning, il disclaimer ce l’hanno messo subito: "una storia occasionalmente vera". Di più: una dark comedy. Patti chiari, meno menate

‘The Great’, viva il ‘politically scorrect’

Nicholas Hoult ed Elle Fanning in 'The Great'

Foto: Ollie Upton/Hulu

Il disclaimer ce l’hanno messo subito, per fugare ogni dubbio, ché qua siamo riusciti a prendercela pure con i film di Tarantino e ora sembra sempre di camminare sulle uova (fabergè, in questo caso): il titolo The Great (dal 18 giugno su StarzPlay) è accompagnato dall’avvertimento “an occasionally true story“, una storia occasionalmente vera. Leggi: se decidi di guardare, sappi che è tutto esagerato, tutto estremo perché – attenzione attenzione – è una dark comedy. Patti chiari, meno menate (si spera). Un modo semplice ma intelligente per non prestare il fianco a critiche retoriche, evitare video di contesto sull’Impero russo e giustificare una deviazione dagli eventi che serva la narrazione, anticipando allo spettatore che alla verità non sarà consentito in alcun modo di intralciare un buon racconto. Semmai il contrario. Gli anacronismi e le incongruenze abbondano, ci sono attori afroamericani che interpretano nobili russi in un impeto di diversity sotto steroidi, qua e là c’è un linguaggio parecchio contemporaneo, un mood poppissimo e un uso della musica a contrasto, sempre sia lodata Marie Antoinette.

Il creatore Tony McNamara, sceneggiatore di quella meraviglia punk in costume che è La Favorita – diretto da Yorgos Lanthimos – è costantemente a un passo dall’entrare in piena modalità Bastardi senza gloria e riscrivere la storia russa. Il risultato è una rivisitazione larger than life (pure nella durata: 10 puntate, un po’ troppe) che drammatizza la vita di Caterina La Grande, con una dose dichiarata di “politically scorrect” tale da essere rinfrancante.

In realtà c’è già stata una miniserie che ha da poco portato sullo schermo la più potente monarca donna di sempre da adulta, la interpretava una Helen Mirren scatenata. The Great invece si concentra sull’arrivo del personaggio appena sedicenne a una corte russa che pare Animal House, per ripercorrere ciò che ha spinto Caterina, nata principessa tedesca, a innamorarsi tanto della sua nuova patria da sentire il bisogno di organizzare un colpo di stato per salvarla dal marito Pietro III, che è l’imperatore sì, ma pure un bambinone troppo cresciuto, sadico, misogino, ipersensibile e continuamente bisognoso d’approvazione, nonostante abbia potere su tutto e tutti. Non è in grado di governare, bullizza quelli del suo inner circle, la sua amante è la moglie del suo miglior amico, è odiato al punto da non poter essere soprannominato “Il Grande” come il nonno, ma nemmeno abbastanza mostruoso da guadagnarsi il titolo di “Il Terribile”. A sottrarlo al rischio di diventare un cattivo intollerabile è Nicholas Hoult, che ne fa invece un motore comico e un villain quasi inconsapevole e accattivante. “Probabilmente non te lo ricordi, ma una settimana fa, ho sparato al tuo orso e ti ho dato un pugno”, dice a Catherine quindici giorni dopo il suo arrivo (meglio ribadirlo: è una storia occasionalmente vera, di più: una commedia). Vi metterete a ridere, e la cosa vi scioccherà quanto l’atto stesso. E la serie è piena di sequenze così, effetto what the fuck: più di qualcuna vi farà sentire profondamente e volutamente a disagio, riuscendo però a catturare il sentimento di una donna e di un Paese, tenuti sulla corda da un idiota egoriferito. E le situazioni più esplosive sono divertenti proprio perché il mondo in cui Catherine si ritrova è così implacabilmente assurdo e terrificante. Per ogni banchetto lussuosamente rococò, c’è pure uno scatto d’ira di Pietro, una rissa o un accoltellamento improvvisi, con contorno di teste tagliate ai nemici svedesi.

A proposito, c’è una sequenza geniale in cui la protagonista va al fronte della guerra tra Russia e Svezia per dare conforto ai soldati e distribuire loro dei macaron. Non beni di prima necessità, ma dolcetti colorati, perché così le è stato detto di fare. E vedere Elle Fanning camminare sui corpi dei caduti mentre offre macaron ai militari che hanno perso le mani rassicurandoli: “È al pistacchio”, è puro, grande, provocatorio cinema. Ma, ripetiamo insieme: sempre di “occasionally true story” si tratta.

Fanning è sensazionale nel cogliere ogni sfumatura tragica e comica del personaggio: ingenua più che mai ma capace di fare grandi piani per se stessa e per l’Impero, appassionata ma vulnerabile, buffa ma d’ispirazione per chi le sta intorno e capace di rendere le scene più drammatiche realissime e delicate anche nel bel mezzo del grottesco che la circonda. Le basta inarcare un sopracciglio per restituirci uno stato d’animo. Sono lontani tempi in cui Dakota era la sorella più celebre: Elle è cresciuta, e a 22 anni, dopo le consacrazioni d’autore con Nicolas Winding Refn, Sofia Coppola e Woody Allen e l’incoronazione a nuova icona di stile, è entrata davvero a fare parte della Hollywood royalty, grazie anche a questo ruolo clamoroso da inaspettata reginetta della dark comedy.

Che diventa oscurissima (e altrettanto potente) spesso proprio nelle battute più acute sulle donne, impegnate a fronteggiare pericoli e violenza a palazzo. In un episodio, Catherine chiede alla sua domestica Marial com’è andata la sua serata. “Ho evitato lo stupro. E tu?”, risponde Marial. “Pure io”, replica l’imperatrice. Agli uomini va leggermente meglio, anche se le torture a corte sono praticamente la normalità e il rischio di essere massacrati di botte o condannati a morte è sempre dietro l’angolo. The Great è satira durissima, senza sosta che, tra uno cento mille brindisi a base di vodka con lancio dei bicchieri a terra al grido di “Huzzah!”, intrighi e scene di sesso, racconta il pericolo insito nella leadership di un incapace mitomane, le cause profonde della rivolta e l’ascesa al potere di Caterina La Grande, ma soprattutto l’evoluzione di un grande personaggio femminile nel contesto più politicamente, socialmente, umanamente scorretto che si possa immaginare. Chissenefrega se è una storia solo occasionalmente vera.