Sceneggiatori italiani, scrivete una serie come ‘Ethos’, grazie | Rolling Stone Italia
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Sceneggiatori italiani, scrivete una serie come ‘Ethos’, grazie

È arrivata su Netflix questa produzione ‘made in Turchia’ bellissima e imperfetta. O bellissima proprio per questo: anche nei difetti si ritrova il racconto della società di oggi. Che qua, forse, abbiamo smesso di fare

Sceneggiatori italiani, scrivete una serie come ‘Ethos’, grazie

Öykü Karayel è Meryem in ‘Ethos’

Foto: Netflix

C’è uno splendido racconto nella splendida raccolta di Shirley Jackson La luna di miele di Mrs. Smith, appena pubblicata da Adelphi, che s’intitola Incubo. Narra di una segretaria che esce dall’ufficio per sbrigare una commissione e si ritrova per strada in mezzo a manifesti, voci dai megafoni, tutti che dicono: cercate una donna col cappottino rosso e vincerete ricchi premi! La donna, ovviamente, è lei medesima, cascata dentro un incubo esponenzialmente kafkiano che però è un’altra cosa ancora: finalmente il mondo s’è accorto che esiste. No: lei stessa s’è accorta che esiste. Mi ha ricordato, leggendolo, Meryem, magnifico personaggio al centro di Ethos, serie turca da poco su Netflix che avevo finito un attimo prima. Ma anche Venite alla fiera, altro racconto di Jackson (trama: zitella acquista finalmente un ruolo sociale nella comunità facendo le carte alla festa del paese), m’ha fatto venire in mente Meryem. E pure quello che dà il titolo alla raccolta, La luna di miele di Mrs. Smith, con la protagonista (anche lei single attempata, almeno per l’epoca: ha trentanove anni) messa in guardia dai possibili raggiri del suo sposo tardivo. Shirley Jackson è la più brava di tutti, dunque questi sceneggiatori turchi l’avranno saccheggiata a piene mani: non è andata così, ma voglio crederlo. Più semplicemente, e casualmente, questi sceneggiatori turchi sanno scrivere, perciò finiscono per assomigliare a chi scriveva prima e meglio di loro.

Meryem – musulmana di campagna, nubile, piena di pudori e timori, serva del patriarcato, direbbero oggi le metooiste, poiché si fida solo del fratello e dell’imam – è vittima di continui svenimenti e allora finisce nello studio della dottoressa Peri – borghese di città (cioè Istanbul), psicologa, atea, bella e irrisolta, del genere Martini da sola al bar – e cambia la vita sua e della gente tutt’attorno. Un abbrivo da novella dei nostri intimi orrori come quelle di Jackson, appunto, che fotografa una società indecisa tra slanci moderni e pulsioni retrograde, fiaccata da pressioni e repressioni d’ogni sorta. Tutti, dicevo, saranno coinvolti: la cognata depressa (ma guai a usare l’aggettivo) di Meryem, la collega psicanalista da cui è in cura la stessa Peri, la figlia dell’imam, l’attrice di fiction generaliste che fa yoga con Peri, più un certo womanizer nel quale tutte cascano (un po’ bruttarello: le donne, invece, hanno visi incantevoli) e nel cui appartamento Meryem sviene all’inizio della serie.

Defne Kayalar è la dottoressa Peri. Foto: Netflix

Come direbbero le recensioni a questo punto: sullo sfondo, c’è la Turchia di oggi, con tutte le sue contraddizioni. I paeselli rurali e bigotti a pochi chilometri dalla metropoli che #nonsiferma (cit.), la restaurazione religiosa e culturale di Erdoğan, il dibattito sociale: quello tra le donne e la loro scelta/obbligo di portare o no il velo. E pure quello social: tenerissimi i genitori di Peri, intellettuali progressisti con bella casa dal design occidentale che sospirano, più o meno: le nuove generazioni hanno la soglia dell’attenzione bassissima (come dargli torto).

Ethos è una serie piena di difetti, e anche questo è il bello. È imperfetta ma anche consapevole del suo impianto da soap popolare, delle coincidenze impossibili ma narrativamente efficaci, delle scene madri chiuse dentro bellissimi quadri illustrati. E dell’estetica che, anche visivamente, mischia telenovela e grande cinema: i primi piani delle ciabattine; ma pure le inquadrature fisse di Meryem nello studio di Peri, che paiono prese da Almodóvar (o forse l’autore, Berkun Oya, ha fatto il giro ed è arrivato a Özpetek).

Foto: Netflix

Guardando Ethos, ho anche pensato che gli sceneggiatori italiani dovrebbero scrivere più copioni come questo. Invece di ricostruire piccoli mondi antichi o continuare a battere la strada del crime (si chiama così, giusto?), potrebbero raccontare in grandi serie per tutti le vite di tutti, delle persone e dei loro incroci impossibili, dei temi che attraversano, oggi, il Paese. Non avremo lo scontro tra neo-integralisti islamici e laici rassegnati, ma potremmo mettere un’estetista col reddito di cittadinanza che continua a lavorare in nero a confronto con la professoressa democratica a cui fa le unghie, non così specchiata come sembra. È un’idea, poi fate voi. Una sola cosa è certa: forse questi turchi non hanno mai letto Shirley Jackson, gli è solo andata di culo; ma gli italiani, ecco, che andassero a darle una sfogliata. Di corsa.

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