In difesa di Euphoria e di Sam Levinson (manco ce ne fosse bisogno… o forse sì?) | Rolling Stone Italia
Serie

In difesa di Euphoria e di Sam Levinson (manco ce ne fosse bisogno… o forse sì?)

Lo sapevo io, lo sapeva Zendaya, lo sapevamo tutti noi adepti che prima o poi qualcuno si sarebbe sentito offeso, indignato, violato - inserite voi l’aggettivo che preferite. L’internet e i social da giorni abbondano di prese di posizione al limite del ridicolo nei confronti della serie HBO

In difesa di Euphoria e di Sam Levinson (manco ce ne fosse bisogno… o forse sì?)

Zendaya in 'Euphoria 2'

Foto: HBO


Lo sapevo io, lo sapeva Zendaya, lo sapeva Sam Levinson, lo sapevamo tutti noi adepti di Euphoria: prima o poi qualcuno si sarebbe sentito offeso, indignato, violato, inserite voi l’aggettivo che preferite. L’internet e i social da giorni abbondano di prese di posizione al limite del ridicolo nei confronti della serie HBO, in Italia trasmessa su Sky: prima di andare avanti, per una questione di onestà intellettuale, forse è il caso che specifichi la mia – nonostante ritengo sia già abbastanza chiara. Ho visto Basic Instinct a tredici anni; Pulp Fiction a quattordici (che gran tono che mi davo, quando riuscivo ad aggirare i divieti ai minori al cinema); a quindici anni ho letto Lolita. Oggi, a quaranta, non ho ancora ammazzato nessuno con un punteruolo, non sono mai andata in overdose e l’uomo più grande con cui sono uscita aveva cinque anni più di me. Pochissime cose mi sconvolgono: ho il terrore di aghi, amputazioni e ratti; l’unico film che mi ha turbata al punto da non riuscire a chiudere occhio la notte è stato Le onde del destino.

Lo confesso, sono una bimba di Euphoria, che ritengo perfetta sotto ogni punto di vista: estetico, musicale, attoriale, registico e di scrittura. Non si era mai visto in tv un prodotto simile, e tanto dovrebbe bastare visto il sovraffollamento che ci costringe a scremature spesso forzate: Euphoria per me è una specie di droga (no pun intended) che guardo, riguardo e guarderei all’infinito. Ovvio, di adolescenti deviati, tossici e sessualmente promiscui si parla, quindi non è che m’aspettassi di vedere sedicenni intenti a giocare a burraco, mi pare fin stupido doverlo specificare. Eppure. Eppure, la settimana scorsa m’è caduto l’occhio (insieme a qualcos’altro) su un articolo uscito su Refinery29, intitolato “Perché ho smesso con Euphoria” (che suona un po’ come “Perché ho smesso col metadone”). L’autrice, tale Katherine Singh, dichiara che l’ultimo episodio, Stand Still Like the Hummingbird, «mi ha fatta sentire fisicamente male», che la sorella ha avuto un attacco di panico mentre si stava lavando i denti, «sorry Zendaya, ma tutti i tuoi Emmy non valgono il trauma perenne che m’hai arrecato».

Euphoria | Nuova stagione | Trailer ufficiale

Il pezzo è al limite del folle, e riflette chiaramente il delirio collettivo che inizia a mietere più vittime dell’eroina: assistere a un qualcosa di reale – a cui viene applicato un trattamento glamour, sì, ma d’altronde a che servono film e serie tv se non a interpretare anche in chiave visiva gli eventi? – senza nascondere i lati più violenti, abusivi e perversi delle singole storie e dei singoli personaggi non solo offende, ma traumatizza. Penso a mia nonna, che a venticinque anni correva a nascondersi nei rifugi antiaerei di Bologna per non crepare sotto ai bombardamenti tedeschi, poi a Katherine Singh, che a ventinove ammette di aver sviluppato un PTSD a causa di una serie televisiva, e non riesco a non chiedermi: cos’è andato storto? Perché abbiamo permesso al feticismo della fragilità, come lo chiama giustamente Guia Soncini, di prendere il sopravvento? Da quando osservare Zendaya in crisi d’astinenza che s’inietta della morfina o un rispettabile padre di famiglia far sesso con una ragazza trans che potrebbe essere sua figlia non ci mette soltanto a disagio, ma ci indigna? Vogliamo illuderci che certe robe brutte non accadano nella vita reale? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Siamo diventati le tre scimmiette sagge?

Come in qualsiasi crimine ai danni dell’umanità, pure qui abbiamo un responsabile, che di nome fa Sam Levinson e che di Euphoria è il creatore, nonché regista. Levinson a dir la verità è colpevole di più reati: oltre a ciò, è un maschio bianco etero cis, dunque la feccia della società (a tal proposito urgerebbe un aggiornamento della scala del privilegio: io donna bianca etero cis come mi colloco rispetto a un uomo bianco gay cis? Chi vince nella hit parade?); e – in quanto appunto maschio bianco etero cis – non deve prendersi la libertà (stando agli utenti di Twitter) di scrivere storyline relative a gay, trans, bisessuali e minoranze di vario genere, poiché egli stesso non ne fa parte. Secondo questo principio, gli uomini dovrebbero girare film o scrivere libri esclusivamente sugli uomini e le donne sulle donne, perché ehi, tu, dotato di pisello tra le gambe, è oltraggioso che vagheggi su come ci si senta ad essere portatrici di vagina. In una delle canzoni più belle di Noi, loro, gli altri, Marracash si scaglia proprio contro simili bestialità – «Dio mi salvi da polemiche su attori e doppiatori, che per darti i ruoli devono sapere con chi scopi» – centrando esattamente il punto, al quale io aggiungo: ma chi ve lo dà tutto il tempo che perdete in polemiche sterili, noiose e inutili come le zanzare d’estate? Non avete un lavoro, degli impegni, non dovete fare le lavatrici, la spesa o portar fuori il cane?

Levinson è anche un one-man-band, nel senso che non conta collaboratori con cui spartirsi il peso della scrittura o della regia: essendo Euphoria una sua creatura a trecentosessanta gradi, è lui a prendersi la libertà di decidere quali personaggi approfondire, quali narrazioni e come. Ci sta, no? Ebbene, no. Una fetta di pubblico gli contesta di aver abbandonato alcuni protagonisti (Kat e McKay, interpretati da Barbara Ferreira e Algee Smith) a causa di presunte divergenze creative circa lo sviluppo delle relative sottotrame (nello specifico, ai due attori non piaceva la piega troppo forte che stavano prendendo le loro storie, e non è che nella prima stagione – aridaje – giocassero a burraco). Sam allora ha fatto quello che chiunque detenga il potere contrattuale avrebbe fatto: si è concentrato su quelli che non gli rompevano le palle, tagliando i menosi.

Ne usciremo mai? No, siamo solo all’inizio. Però probabilmente una soluzione c’è: se sapete di essere sensibili, facilmente impressionabili, dall’offesa e dall’indignazione facile, spegnete la tv e non guardate Euphoria. Il mondo pullula di serie tv leggere, inutili, semplici e rispettose dei cliché sociali, razziali e sessuali: rifatevi una vita televisiva con quelle, e piantatela di spaccare l’anima a noi voyeuristi amanti del marciume. Rifletteteci, staremmo molto meglio tutti: noi, voi, loro, gli altri.

Altre notizie su:  Sam Levinson Zendaya Euphoria