Carole Baskin, il white privilege e la cosa che ci riesce meglio: far finta di non essere cattivi | Rolling Stone Italia
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Carole Baskin, il white privilege e la cosa che ci riesce meglio: far finta di non essere cattivi

La vera villain di 'Tiger King' è la bionda signora animalier che oggi compie gli anni (auguri!), e che indirettamente ci insegna molto dell’America che stiamo vivendo in questi tumultuosissimi giorni anche noi dai nostri divani

Carole Baskin, il white privilege e la cosa che ci riesce meglio: far finta di non essere cattivi

Carole Baskin, una delle protagoniste di 'Tiger King'

Il personaggio più bello di Tiger King – e dei nostri mesi di quarantena – non è Joe Exotic: è Carole Baskin. I cattivi sono sempre più interessanti dei buoni, lo sanno tutti. Io lo so da quando, bambino, apparve per la prima volta davanti ai miei occhi Malefica (che adesso è diventata buona: ma questa è un’altra storia, la storia dell’epoca della Nuova Correttezza). Il punto, sanno tutti pure questo, è che Joe è il finto cattivo di questa storia. La vera bitch è la bionda signora animalier che oggi compie gli anni (auguri!), e che indirettamente ci insegna molto dell’America che stiamo vivendo in questi tumultuosissimi giorni anche noi dai nostri divani, anche se non ne sappiamo e non ne sapremo mai niente, anche se c’illudiamo che basti un hashtag per dirci attivisti.

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Carole Baskin è l’incarnazione del white privilege suo malgrado. È l’ex ragazza molto bellina (un mix tra Amanda Seyfried e Chiara Ferragni), molto middle class, molto cattolica, ribelle per posa (piantò il liceo e si mise a girare l’America in autostop), che nella vita non ha mai dovuto fare nessuna fatica: a parte, dicono i detrattori, dare in pasto alle tigri il cadavere del primo marito (ed ereditare la fortuna con cui fondare il suo impero animalista). Carole Baskin è difatti – per quei tre che ancora non lo sanno – la tenutaria del piccolo zoo aperto per la salvaguardia di tigri e bestiario felino assortito. E, soprattutto, è la rivale di Joe Exotic, pure lui gestore di un parco poco distante; dove però, è la tesi della nemica, i tigrotti vengono maltrattati. Oggi Joe è in carcere, secondo la maggioranza degli spettatori-giudici ingiustamente, con l’accusa di aver provato a far fuori Carole: diciamo che le sue esternazioni pubbliche nei confronti della donna non hanno aiutato né lui né gli innocentisti. Ed è notizia dei giorni scorsi che Carole, con la sua associazione Big Cat Rescue, ha assunto il pieno controllo dell’ex proprietà di Joe. La parabola perfetta per quella che, se potesse, di sicuro direbbe: «Io non sono cattiva: è che mi disegnano così». Altra forma di quel vittimismo di chi ha tutte le fortune che si porta molto negli States e non solo: Taylor Swift insegna (non me ne vogliano i fan).

In questo senso, Carole Baskin racconta molto di quello che siamo, anche se non siamo disposti ad accettarlo. C’è una sua battuta cruciale che vado ripetendo da tutta la quarantena (e oltre), ormai è il mio manifesto: «Ciascuno nella vita deve capire qual è la cosa che gli riesce meglio, e fare solo quella». Lei ha scelto i big cats, come li chiamano da quelle parti. Io pensavo di avere la risposta, ero solo indeciso tra l’organizzazione del calendario domestico delle proiezioni di film e serie e la mantecatura del risotto. Poi, nel giorno del compleanno di Carole, ho capito: la cosa che ci riesce meglio è occuparci solo di noi stessi. Con l’illusione di fare del bene agli altri, che siano delle tigri in dorata cattività o delle buone cause da social; ma restando i cattivi egomani e vittimisti di questa storia, la nostra storia. L’importante è riuscire a farla franca, mettere su un sorriso (e una camicetta leopardata), e postare l’ennesima storia su Instagram: hey you all cool cats and kittens, noi siamo quelli dalla parte giusta, venite a fare i buoni con noi.

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