Perché non riusciamo a goderci Niccolò Contessa? | Rolling Stone Italia
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Perché non riusciamo a goderci Niccolò Contessa?

Riflessione a margine dell'inedito de I Cani 'Alla fine del sogno': ci lamentiamo degli omologati e cerchiamo gli alternativi. Poi, quando li incontriamo, pretendiamo che si comportino come tutti gli altri

Perché non riusciamo a goderci Niccolò Contessa?

Niccolò Contessa all'Home Festival di Treviso nel settembre 2016

Foto: Francesco Prandoni/Redferns

La scorsa notte è successa una cosa, questa: è uscito un inedito de I Cani, dopo due anni di silenzio assoluto e cinque dall’ultimo disco. Mi tengo sul generico – e quindi non scrivo il nuovo singolo de I Cani, ecc – perché per ora ne sappiamo davvero poco: senza preavviso, in una data abbastanza insolita per eventi di questo tipo (fra domenica e lunedì, per di più nei giorni morti appena dopo le Feste), Alla fine del sogno è comparso solo su Soundcloud, e rigorosamente in versione demo. Stop: nessun dettaglio sui motivi dell’assenza da piattaforme più convenzionali tipo Spotify, né su un eventuale quarto album in programma per il 2021 (di cui nel caso sarebbe l’anticipazione) o sul perché si tratti di una semplice “prova”. Tant’è: il web è esploso e sta condividendo a manetta il brano, come testimone di una nuova, storica epifania di Niccolò Contessa. Evidentemente l’attesa nei suoi confronti era troppa.



E visto che non comunicare è in qualche modo lo stesso “comunicare”, la latitanza dell’artista romano dai social e dalla musica cantata in prima persona – nel frattempo ha contribuito a definire il suono dell’it-pop di Coez, Calcutta e Tutti Fenomeni, ma non si è prestato a concerti né a inediti a proprio nome – più che contribuire a eclissarne la fama (come magari avrebbe voluto lui stesso: chissà), l’ha trasformato in una sorta di messia della scena, con gruppi Facebook che lo venerano in stile culto della persona, indagano le sue giornate, fanno aggiornamenti quotidiani sulla “venuta” del suo fatidico nuovo disco. Di cui, a proposito, si dice: lui, che nel 2011 con Il sorprendente album d’esordio de I Cani è stato primo motore della rivoluzione della nostra musica indipendente, e che con Aurora (2016) ha pressoché inventato un genere pur senza continuare a sguazzarci dentro, anzi sparendo, dieci anni dopo il debutto starebbe per tornare per riprendersi una sorta di scettro e chiudere metaforicamente un cerchio. Tutto era partito su Soundcloud, del resto.

È facile intuire che, con un hype del genere sullo sfondo, un’uscita tanto zeppa di misteri e reticenze come questa non poteva che portare all’isteria collettiva, voluta o meno che fosse dallo stesso Contessa. Anche perché Alla fine del sogno è un enigma: ha solo in parte l’elettro-pop di Aurora, di cui semmai recupera volentieri l’esistenzialismo cosmico del testo; piuttosto sceglie una base fatta coi cari, vecchi sintetizzatori “da cameretta” che è un vortice con dentro il Cosmo di Cosmotronic e l’elettronica gommosa di MGMT e Gorillaz, ovviamente in salsa lo-fi (e grazie, direte voi, è una demo). La voce non è pulitissima, ma abbastanza da scandire un mantra nel ritornello che sa di palingenesi, morte, rinascita. A volo d’uccello: “Sono arrivato al termine anche questa volta”; “Sento che dimentico il mio nome e tutto il mio passato”; “Quello che sono stato non mi serve più a niente”. Non è una hit, ma non vuole neanche esserlo.

E allora? E allora giù a fare congetture: è l’inizio di un nuovo progetto, un’altra colonna sonora (sarebbe la terza), l’addio alla musica, l’anticipazione del seguito di Aurora costantemente evocato dai fan in questi anni di digiuno a ogni segnale (o fraintendimento, ehm) poi smentito dall’entourage de I Cani; oppure solo una canzone rimasta nel cassetto, magari risalente agli esordi, pubblicata senza troppe pretese forse solo per celebrare il decennale del primo disco, che cadrà il prossimo giugno.



La verità è che non sappiamo goderci Niccolò Contessa, non riusciamo ad accettare come lui – e su questo c’è poco da dubitare – sia sinceramente schivo e avulso dalle logiche di comunicazione, promozione e in generale di lavoro del mercato della musica. Tipo: sa produrre un successo (Coez ancora lo ringrazia), eppure non ne fa per sé; detiene lo scettro di padre dell’it-pop, ma quando nel settore sono arrivati gli ascolti veri e dei numeri relativamente facili, impensabili fino a prima della sua stessa rivoluzione, si è fatto fuori e ha preferito lavorare dietro le quinte; da anni non fa concerti, non si fa vedere in tv e in radio; ha cancellato la pagina del gruppo da Facebook e su Instagram ha addirittura il profilo privato. Il suo silenzio è fuori dall’ordinario, persino impopolare nello scegliere una vita sempre più nel backstage e lontana dai riflettori; ergo ci riempie d’ansia, ci fa reagire in maniera compulsiva. L’amore diventa ossessione.

Ecco: si fosse trattato di un altro artista, le elucubrazioni sul testo di Alla fine del sogno e la sua strategia (?) di comunicazione non sarebbero neanche esistite. Perché ci lamentiamo di una scena di omologati e cerchiamo gli alternativi; poi, quando li incontriamo per davvero, pretendiamo si comportino come tutti gli altri, che siano sempre davanti a un microfono e, se proprio non ci devono stare, che ci bombardino di stories, opinioni, aggiornamenti. Ma se anche quest’uscita fosse senza senso, se anche Contessa stesse davvero a dire addio a I Cani per sempre, be’, sarebbe lo stesso bellissimo così.

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