‘Ora’ di Giovanni Lindo Ferretti parla di noi e della nostra solitudine molesta e sovraesposta | Rolling Stone Italia
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‘Ora’ di Giovanni Lindo Ferretti parla di noi e della nostra solitudine molesta e sovraesposta

Nella canzone pubblicata a sorpresa ieri pomeriggio il cantante usa la base di ‘La lune du Prajou’ dei CSI per raccontarci la quarantena: siamo connessi, tracciabili, asettici, ma isolati. "La stagione picchia duro"

‘Ora’ di Giovanni Lindo Ferretti parla di noi e della nostra solitudine molesta e sovraesposta

Foto: Alex Majoli

“Non il tempo perduto / ma il tempo ritrovato”. Inizia come un canto liturgico Ora, ritorno sulla scena a sorpresa di Giovanni Lindo Ferretti – se di scena per lui si può ancora parlare. Sembra di essere in una chiesa di paese, con l’atmosfera austera e sacrale, l’odore della campagna intorno, la giusta eco. E il suo timbro inconfondibile, che a cappella taglia l’aria: preciso, composto, puntuale. “Un tempo sconosciuto / stagnante nel regno dell’accelerazione”. E però, dopo aver pronunciato “sconosciuto”, incontra come un’incertezza, un istante d’esitazione. Poi, appunto, dice “stagnante”, e nel farlo la voce improvvisamente gli si flette, sale e si sporca, stona dalla linea che seguiva. Eccolo, il solito punkettone che non riesce smentirsi neanche dentro quello che sembra, a tutti gli effetti, un canto religioso.

Da anni Giovanni Lindo Ferretti fa vita da eremita a Cerreto Alpi – poche case e «una settantina di vecchi» in mezzo alle montagne Emiliane. Religione, isolazionismo, simpatie destrorse… sappiamo tutto, lo ha raccontato anche nella nostra intervista. Niente CCCP, CSI, PGR. Poche dichiarazioni, solo una manciata di concerti l’anno e tanto tempo da dedicare alla lettura, ai cavalli, alle radici e ai suoi (appunto) vecchi. Insomma: serviva una pandemia per farlo scendere dall’Appennino? Evidentemente sì: Ora, pubblicata senza preavviso ieri pomeriggio su YouTube, è la sua visione della quarantena. Dal piccolo borgo dove vive, con lo sguardo a tutta Italia. Perché questi giorni a casa, dicevamo, non sono tempo perduto, ma ritrovato. Aria soprattutto, un freno a mano nel regno dell’accelerazione che è il nostro mondo, in linea con la poesia di Mariangela Gualtieri (Nove marzo duemilaventi) che ha un po’ inquadrato l’isolamento con il verso “ci dovevamo fermare”.

Però, ancora Ferretti: “Irrompe in streaming senza consolazione”. Ecco, sentirlo scandire la parola streaming è un brivido: è lui che tocca con mano il 2020. È la sua voce, soprattutto, che credevamo legata al passato, ai proclami “Fedeli alla linea” e della storia della Repubblica partigiana di Alba, al lessico elevato delle varie Allarme e A tratti, fra gli ’80 e i ’90, che invece abbraccia i nostri inglesismi da progresso tecnologico, che ai tempi nemmeno erano nel vocabolario. Lui, che vive in campagna i social network nemmeno li usa. E però ci afferra comunque, parla di noi, delle dirette Instagram e degli aperitivi su Skype: “Connessi, tracciabili, asettici / comunichiamo solitudini / moleste e sovraesposte”.

Pochi versi, a cappella, finché non parte La lune du Prajou, una vecchia strumentale dei C.S.I. da Ko de mondo del 1994. E quindi sì: in Ora c’è anche Zamboni, come ci sono le chitarre di Canali, il basso di Maroccolo, i colpi profondissimi di Gulli, le tastiere di Magnelli e i cori, soprattutto, di Ginevra Di Marco. Su questa “base” (che di fatto non rende un vero inedito il brano) scura e notturna, dicevamo, Ferretti resta in silenzio, dando tempo alle parole appena dette di pattinarci sopra. Nel videoclip – grezzo, che sembra girato con uno smartphone – intanto scorrono le immagini in bianco e nero di una Cerreto in quarantena: le stradine deserte, un cane, la neve, i muri. Una chiesa, soprattutto, che ha sospeso le messe fino al tre aprile.

E proprio lo stop delle funzioni religiose, in effetti, pare turbarlo più di tutto, per quanto questa manciata di parole siano comunque un rimbalzo fra la sua vita da eremita e la nostra solitudine in diretta Instagram. Che lui compatisce come figlia di questo tempo, e non biasima, mentre si fuma una sigaretta a casa, in uno dei pochi frame in cui è inquadrato di primo piano. Non siamo mai stati tanto vicini, forse. Poi, sfumata La lune du Prajou e un “2020” scritto a numeri romani, ci lascia con un consiglio: “Senza lavoro, senza liturgia / la stagione picchia duro. / Prudenza e fortezza / in buona compagnia”.

Appunto, la buona compagnia. Giovanni Lindo Ferretti non pubblicava musica dal 2018, e si trattava di un recital. Per risalire a roba sua dobbiamo tornare al 2013, al concept sui cavalli Saga, il canto dei canti. Sette anni che, per quanto accaduto nel frattempo, fino a un mese fa sembravano mille, oggi duemila. Per questo sentirlo pronunciare la parola “streaming” è così importante: perché in un momento tanto difficile attualizza la sua voce, ce la rende vicinissima. Ed è un rischio, questo, in primis per lui. Che però non molla un centimetro, resta austero; ma ci lancia anche un sorriso. Mentre gli altri fanno dirette, lui fa musica. E comunque, isolamento o no, c’è. Mi piace pensare che proprio la durezza del periodo che stiamo attraversando l’abbia spinto a scendere dai monti, proprio per tenerci compagnia. E che magari qualcuno di noi abbia pure smesso di volergli bene, ma lui non abbia smesso di volerne a noi.

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