Levante, ‘Magmamemoria’ e il coraggio di essere solo una cantautrice | Rolling Stone Italia
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Levante, ‘Magmamemoria’ e il coraggio di essere solo una cantautrice

Nel nuovo album, la cantante racconta una nudità assoluta e si prende una libertà di scrittura pressoché totale, un tentativo di legarsi a un cantautorato più tradizionale come quello del suo mito Carmen Consoli

Levante, ‘Magmamemoria’ e il coraggio di essere solo una cantautrice

Un dettaglio della copertina di 'Magmamemoria', il nuovo album di Levante

Quando all’inizio dell’estate abbiamo capito che la più interessante hit italiana della stagione nuova sarebbe stata Lo stretto necessario, scritta da Levante con Colapesce e Di Martino, e cantata dall’autrice insieme a Carmen Consoli, i più attenti alla storia di Levante si saranno certamente sentiti a casa. In quel duetto, un pezzo pop scritto magistralmente, adatto, come ogni hit estiva dovrebbe essere, a stare in ideali onirici jukebox contemporanei ai bordi dei bar dei lidi marittimi ma pure a consumarsi nell’intimità della controra mediterranea, prendeva forma la realizzazione di un incontro musicale tra madrina e figlioccia, tra ispiratrice e ispirata, si concretizzava insomma un risultato di un percorso artistico, quello di Levante, che a quello di Carmen Consoli ha sempre guardato con qualcosa in più della semplice ammirazione: con, appunto, ispirazione, devozione e cura filiale.

Il duetto ha dato l’occasione di cogliere chiaramente due aspetti centrali del percorso di Levante, oggi uscita con il nuovo capitolo discografico Magmamemoria: da un lato un legame con un mondo cantautorale italiano a cui la sua giovane storia musicale sempre più apertamente si vuole ricondurre, dall’altro una caratteristica essenziale propria della sua scrittura, quella forma di autenticità semplice, laddove con semplice, intendiamo pura, immediata, autoevidente. Sui social Levante non nasconde l’appartenenza emotiva al nuovo lavoro e lancia il singolo con Carmen Consoli ricordando i giorni di ragazzina in cui scriveva i testi di lei sul diario di scuola o quelli in cui, ancora bambina, attendeva il momento di premere rec per registrare su una TDK vergine una sua canzone che stava passando alla radio – cose che, insomma, ognuno di noi ha fatto con i propri artisti preferiti quando ancora quello era il modo più veloce per portare con sé le canzoni in ogni momento.

In qualche modo, Magmamemoria è un passo decisivo, almeno come dichiarazione d’intenti: in primis è il disco che, appunto, conferma il ruolo cantautorale di Levante, un ruolo di fatto da sempre complicato da portare avanti nella discografia italiana, dove le pur diverse nuove penne femminili contemporanee, quando non immerse in interessanti sperimentazioni più o meno pop (poco di frequente in lingua italiana), sembrano ancora non essere prese abbastanza sul serio, non tanto dagli ascoltatori quanto dal mercato. La penna del cantautore maschio italiano da sempre fagocita quella delle donne che solo in precisi casi in Italia è riuscita a svincolarsi ed emergere – e certamente, sia chiaro, non per colpa dei cantautori. Sono tanti gli esempi storici di questo tipo che potremmo chiamare in causa, uno su tutti quello di Donatella Rettore, cantautrice – fatto salvo per l’esordio con Gino Paoli – per quasi tutta la carriera eppure nota ai più unicamente dal punto di vista interpretativo e specialmente estetico, performativo.

In un momento in cui non solo continua a essere difficile affermarsi come autrici ma pure, a differenza di quanto accadeva in passato, come interpreti – i fasti di Vanoni, Mina e Pravo sembrano lontani centinaia di anni e il discorso include qualità delle signore ma pure lungimiranza e profondità delle scelte dell’intera macchina discografica – Magmamemoria è un buon punto di slancio coraggioso, il tentativo di prendersi una libertà di scrittura pressoché totale, o di cominciare, quantomeno, a prendersela sul serio.

Una cosa che certamente Magmamemoria è, quindi – a partire dalla title track – carta d’identità, magica invenzione della parola chiave, che è probabilmente il punto più alto, struggente e interessante dell’album intero – è un lavoro autoaffermativo, che si prende spazio, che racconta una nudità assoluta, in alcuni momenti con dichiarazioni, slanci e aperture disarmanti e commoventi, in altri con passi che ancora vorremmo più sottili, precisi, fuori dall’espressione che potrebbe apparire persino troppo semplificata e da quella caverna sonora che tanto funziona, ma fino a quando? Qui, tra gli altri, c’è ancora Dario Faini, e la combo Colapesce-Di Martino torna nell’ottima Regno animale, ma la sensazione è che ci sia Levante a definire davvero e definitivamente il proprio passo, a prendere una strada, dove ci saranno ancora tanti fiori da piantare e crescere, dove sarà necessario misurare quel passo ma è bene procedere così, speditamente.

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