King Crimson: 50 anni di anomalie prog | Rolling Stone Italia
Storie

King Crimson: 50 anni di anomalie prog

Nonostante la band si sia riformata miliardi di volte, in mezzo secolo Robert Fripp e i suoi hanno ridisegnato la storia del rock britannico, dal classical pop fino agli avanguardismi del jazz rock

King Crimson: 50 anni di anomalie prog

Nella musica non può esser sempre una gara a chi ce l’ha più lungo – il brano. Non so come e perché, ma fra gli amanti del prog è sempre aleggiata l’idea che se un disco è stato registrato con meno di dieci strumenti e non ha almeno una traccia da 7 minuti allora è una porcheria.

Una delle poche eccezioni in questo senso è data dai King Crimson, un insieme di persone e non soltanto di musicisti capacissimi, una formazione di quelle immense. Rispetto però alla loro produzione, sono una mosca bianca. Solitamente ci sono due fazioni: chi adora tutto quello che Robert Fripp ha fatto in cinquant’anni, dal 1969 a oggi, e chi lo prenderebbe in disparte per fracassarlo di legnate con uno di quei bassi a trentasei corde di Tony Levin.

Io faccio parte di quelli che, pur capendone il genio e la portata storica, apprezzano soltanto qualcosa, stando inevitabilmente sul culo a entrambe le fazioni. Per esempio, sin dalla tenera età ho sviluppato una passione per Lizard, album del 1970 considerato da molti (e a torto) un “minore” nella produzione della band ma che invece fu quello che di più li aprì a un suono più astratto e trascendentale.

Ed è stato durante una di quelle immersioni giovanili che me ne sono reso conto: i King Crimson sono un universo a sé stante. Di sicuro non sono un gruppo “progressive” come potrebbero esserlo decine di altri gruppi. A partire dal nome. Non c’è nulla di positivo o esortativo nello scegliere King Crimson piuttosto che Yes o Genesis o un altro nome tra i tanti in voga in quel preciso contesto. Il Re Cremisi è infatti un sinonimo di Beelzebub, ovvero Belzebù, il principe dei Demoni, ma anche una variazione di B’il Sabab cioè “l’uomo con uno scopo”.

All’epoca d’oro Robert Fripp, che del Re Cremisi è il profeta da sempre, si era avvicinato alle teorie di un mistico armeno chiamato Georges Gurdjieff. Tra i suoi insegnamenti c’era il preciso tentativo di scavalcare tutti gli meccanismi sociali e psicologici ed esistenziali che agiscono come zavorra sull’essere umano, per il raggiungimento di uno stato di calma e isolamento ideale. Ossia diventare sé stessi. Ovvero Robert Fripp. Uno abituato al satanismo adolescenziale da toppa degli Slipknot sullo zaino di scuola, per come viene si solito infarcito di tutti i possibili influssi demoniaci propagati per mezzo della musica (parole al contrario, messaggi subliminali, 666 e simbologie infernali), si immaginerebbe che gli alfieri del Maligno abbiano almeno l’aspetto adatto per essere immediatamente sgamati dal genitore paranoide i turno: brutti, sporchi, ambigui, vestiti di nero, con lo sguardo assente e il solito armamentario da messa nera. Tutte supposte mosse per instradare il giovine di turno al Male (o a un sacco di buona musica).

King Crimson - 21st Century Schizoid Man (Live at Hyde Park 1969)

Basti pensare al ridicolo ginepraio sollevato ogni volta per Marilyn Manson. Lo tanano all’istante. Invece questi demonologi dilettanti, nella foga di andare da Giletti, sbagliano tutto. Però vaglielo a spiegare che un pacioso settantaduenne della tranquilla contea del Dorset, con poco mefistofelici gilet grigi e cravatte dalle tinte pastello, è da decenni più vicino alla teoria thélemaica di Aleister Crowley di quanto lo possa esserlo un metallaro a caso. O che ha chiamato Discipline, il disco del 1981 improntato a una ricerca scarna e intelligente, in onore della Disciplina Esoterica e non certo per invogliare chicchessia a tenere in ordine la stanza.

Di Robert Fripp nel 1973 venne scritto: “Se non fosse un hippy civilizzato, andrebbe in giro per la city facendo cruciverba del Times”. E certo il Fripp odierno, quello per intenderci da almeno trentacinque anni a questa parte, con i suoi completi gessati, i capelli corti, le cravatte Regimental, collima più che mai con la descrizione raffinatamente borghese dell’economista mancato che con quella del piccolo aiutante di Belzebù. Se non fosse che quello stesso ometto dal senso dell’umorismo imprevedibile (“Me and a book is a party. Me and a book and a cup of coffee is an orgy”, occorre tradurre?) ha inventato un modo tutto suo di concepire la chitarra, oltre a sostenere a forza di carisma un gruppo enigmatico con il nome tanto echeggiante come King Crimson.

Perché se ci sono quattro musicisti che, ognuno seguendo la sua strada, hanno segnato in maniera decisa lo sviluppo della musica fin dagli anni Settanta, quei musicisti sono Brian Eno, Peter Gabriel, Robert Fripp e David Sylvian, ma l’unico ad aver lavorato con tutti gli altri tre è proprio solo Robert Fripp. C’è qualcosa che fa da collante tra la sua personalità e quella degli altri, ovvero il fare musica con una motivazione profonda, quasi spirituale, non per desiderio egocentrico di dimostrare agli altri qualcosa.

Ma al di là del sotto-testo enigmatico, nel corso di cinquant’anni, parlare di Robert Fripp e, per naturale conseguenza, dei King Crimson, ha voluto dire ridisegnare la storia del rock britannico per come lo intendiamo, dal periodo del classical pop fino agli esperimenti più avanguardisti del jazz rock, passando dal rock, e non senza tirare in ballo persone (oltre a quelli ricordati fin’ora) come Peter Giles, Pete Sinfield, Mel Collins, John Wetton, Trey Gunn e così via tutti quelli che si sono lasciati affascinare dalla sua idea di una musica in movimento, instabile e poco addomesticabile.

King Crimson - Matte Kudasai (Live Frejus '82)

Nonostante abbia sciolto e riformato la band così tante volte come nemmeno i Blues Brothers (otto per la precisione), il sound del gruppo, pur riconoscendo diversi ascendenti, che vanno dal più tradizionale background jazz e rock alle più avvedute esperienze new wave, dal profondo amore per tribalismi e ritmi africani ed esperienze dell’avanguardia minimali, ha una sua intima vocazione a scoprire le potenzialità stesse della musica. Stupisce, specie da parte di persone che si diceva nate vecchie, la poca ricerca di assoli e di dichiarazioni narcisiste, la non comune idea di agire in collettivo. Che di sicuro non farà dei King Crimoson un gruppo punk ma questa essenza del percorso musicale così consapevolmente ascetica (“Vissuta in uno stato di veglia prossima al sonno”) affascinò uno che a suo modo punk lo fu come Kurt Cobain, che definì l’album Red del 1974 “il più grande disco di tutti i tempi”.

Così è un po’ strano stare qui a celebrare i cinquant’anni dei King Crimson come si trattasse di una band (progressive) come un’altra, quando il suo mentore e indubbio cardine di tutta la storia, Robert Fripp, ha sempre disconosciuto sia l’idea stessa di band che negato il suo ruolo centrale. Ripetendo che “I King Crimson non esistono se non sui giornali, piuttosto esiste King Crimson: un laboratorio, ossia un modo di fare musica” secondo quella che lui stesso definì attività di “prima divisione”.

La terza è ricerca e sviluppo, idee interessanti e stile di vita civile, ma non ti permette di guadagnarti da vivere. Invece la seconda ti da di che vivere se ti adatti e ti dà rispettabilità professionale, ma non cambierai mai il mondo. “La prima divisione – secondo quanto scritto da Fripp in un diario personale pubblicato su un periodico statunitense negli anni Ottanta – è tutto un altro paio di maniche: al suo peggio è solo massima penetrazione del mercato e successo come cultura di massa; al suo meglio significa i migliori musicisti, la crema delle idee nuove e l’apice della penetrazione popolare. Però implica un impegno totale di fede, energia, stile di vita e tempo.

Sei sospeso su un filo: devi saltare in qualche modo, e se cadi perdi la tua salute fisica e mentale, a volte anche l’anima. Ma puoi anche alzarti in volo”. Il batterista Bill Bruford gli faceva eco dicendo: “Non so come spiegarlo, ma nei King Crimson se ti comporti bene riesci a entrare in un’area di coscienza dove non suoni, sei usato come uno strumento e tutto quello che devi fare è affidarti al processo di ricezione e di trasmissione”. Con chi decidetelo voi. Roba che comunque al confronto Burzum è un boyscout e che a loro riesce egregiamente.

Altre notizie su:  king crimson opinione