‘Il senso delle cose’ è il bellissimo catalogo degli errori di Morgan | Rolling Stone Italia
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‘Il senso delle cose’ è il bellissimo catalogo degli errori di Morgan

Come una ‘My Favorite Things’ in cui va tutto male, la canzone scartata da Sanremo è un elenco di cose perse: amici, donne, occasioni. Ma anche un inno agli artisti che sanno cogliere "il senso delle cose"

‘Il senso delle cose’ è il bellissimo catalogo degli errori di Morgan

Morgan

Foto: Gabriele Micalizzi

C’è una sottocategoria di canzoni che attraversa la storia del pop e va dai geni del grande canzoniere americano ai giorni nostri, da My Favorite Things a All I Really Want to Do di Bob Dylan e 50 Ways to Leave Your Lover di Paul Simon. Sono le canzoni-elenco costruite catalogando cose, sentimenti, fatti, persone, immagini. Sono messi in fila in modo apparentemente asettico, come una banale lista della spesa. Se giocate bene, diventano filastrocche moderne e irresistibili. Se giocate benissimo, diventano grandi canzoni.

Morgan l’ha giocata benissimo. Il senso delle cose è una grande canzone-elenco. Presentata a Sanremo 2021 e scartata dal direttore artistico Amadeus, pubblicata stanotte sui social, racconta una vita attraverso un catalogo di “cose” perse. Morgan sa essere feroce verso gli altri (“Ho perso tempo dietro a una svitata”), ma soprattutto con sé stesso, con questi anni di mattane, di denaro buttato, di pensieri suicidi e progetti fatti e poi accantonati, di occasioni sprecate. Tanto è andato: la voce, la memoria, lo spirito critico, persino il gusto di fare canzoni. C’è qualcosa di drammatico in questa confessione, che però è vigorosa, non scade mai nel patetico, nell’autocommiserazione.

A fronte di questo patrimonio di vita consumata e lasciata alle spalle, o forse no perché cantarla significa anche rivendicarla, c’è la capacità dell’artista di guardare un po’ più in là, di cogliere lo spirito dei tempi. La capacità, appunto, di vedere Il senso delle cose. Questa canzone è apologia d’artista. È un pezzo sulla dissipazione della vita redenta dalla musica, dal gusto per il bello, dal senno altrove smarrito, dalla capacità d’intuire che cosa sarà il domani che rende grandi gli artisti, quelli veri.

Morgan sa scrivere grandi pezzi autobiografici e il titolo di uno di 13 anni fa, Contro me stesso, dice tanto della capacità d’essere spietato con sé stesso. Il senso delle cose è più immediata, ha dentro qualcosa di struggente e definitivo senza essere patetica. S’inserisce nel solco della canzone d’autore di casa nostra, ricorda certe cose di Eugenio Finardi, l’autore dice che dentro c’è anche un po’ di Dylan. Ha un arrangiamento in versione demo che promette grandi cose, uno immagina certe fioriture rifatte dell’orchestra, il break alla Queen reso ancora più divertente ed elaborato, gli staccati più feroci. La voce è sporca, adatta a una confessione.

Ci sono versi terribili smussati dall’ironia. “Ho perso amici, genitori, figli e cani”, dice il testo. Per descrivere una canzone così Rolling Stone non basta. Ci vorrebbe un gigante, ci vorrebbe De André: Morgan, lei è un uomo piuttosto distratto.

 

 
 
 
 
 
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