Il quarantesimo di Noyz Narcos non è un compleanno qualunque | Rolling Stone Italia
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Il quarantesimo di Noyz Narcos non è un compleanno qualunque

Il rapper romano entra negli -anta. È uno dei pochi che, alla sua età, non rinnega l’hop hop, ha ancora un immaginario estremo e continua a scrivere 'dal basso', non seduto su un trono immaginario

Il quarantesimo di Noyz Narcos non è un compleanno qualunque

“Sto stronzo nacque nel ’79 in mezzo al Tevere, ci metto la mia intera vita in questa merda – sempre che ci vuoi credere”. È rispondendo a un dissing di Jamil che, in Lobo, nel 2018 Noyz Narcos tracciava un bilancio della propria vita dal giorno zero. Oggi, 15 dicembre, come suggerisce quella barra lo “stronzo” dell’Isola Tiberina compie 40 anni ed è un traguardo da studiare per almeno due motivi.

Primo: perché sono pochi i rapper in Italia che hanno passato quella soglia senza ammainare l’hip hop, o perlomeno senza riprogettarsi l’estetica. Secondo: perché il nostro ci arriva con un immaginario al limite come nessuno, e per di più al top della popolarità. Nel 2019, infatti, Emanuele è ancora l’MVP nostrano dell’hardcore e del gangsta rap, e lo è da almeno quindici anni, in maniera credibile nonostante il ricambio generazionale, le mode e l’aspetto l’età. Ma come ha fatto?

Intanto chiariamo: gli -anta rappresentano un passaggio simbolico, ovviamente, e non una tassa da pagare. Però è vero che, se si inizia a fare musica ai 20, verso i 40 si presenta il conto: ti trovi in mezzo ai piedi le nuove scuole a dettare i tempi, con paradigmi e riferimenti differenti. E inseguirli è – ehm – difficile. È il cambio della guardia, per cui si diventa adulti anche senza volerlo: perché cambia il contesto. Poi mettiamoci il resto: Neffa, patriarca dell’hip hop nei ’90, crescendo ha virato verso la musica leggera già nei primi 2000, mentre recentemente Fabri Fibra (pressoché coetaneo della Doppia N) con Fenomeno (2017) ha scoperto le carte da popstar. Sono solo due esempi, ma qualcosa vorrà dire, no?

Bene: Noyz, al contrario, non indietreggia di un millimetro. Un caso raro, ancor più pensando che il suo immaginario non è semplice da crescere: parliamo del più mediatico del TruceKlan, collettivo-istituzione del rap romano degli anni 2000 dai tratti hardcore, violenti e (appunto) ‘truci’. E lui, al netto di ciò, resta la voce nerissima del tormento di Verano zombie, col coltello nella tasca, i b-movie horror in testa e i riferimenti a una vita di strada stile splatter, fra copertine insanguinate, basi metal, collaborazioni con Chicoria e barre blasfeme. Idolo dei giovanissimi (specie verso il 2007), se all’epoca qualche mamma avesse controllato fra i pezzi che i ragazzini si scambiavano col bluetooth si sarebbe incazzata parecchio con lui, altro che Sfera Ebbasta. Non è successo, ma il nostro nel frattempo ha fatto comunque grandi numeri senza cambiare. Anzi: forgiando un’immagine riconoscibilissima.

E, arrivato ai 40, ha lo stesso aspetto di dieci anni fa: le Jordan, il baffo, il cappellino. Romanissimo, ancora ‘cattivo’ e ancora maledetto. Ancora sulla cresta, ancora credibile. Merito di una svolta adulta silenziosa ma concreta, che ha colpito la forma senza intaccare il nocciolo. Si era capito nel 2015, quando è uscito l’album Localz Only: la ferocia è rimasta quella di Verano zombie, ma più che verso soluzioni horror-core è stata indirizzata verso uno stile di scrittura sottile, con un lessico ricercato – ma non per questo meno rabbioso – e metriche acrobatiche. Non è cervellotico: semplicemente, è un Noyz affinato che dimostra di stare un passo avanti ai colleghi.

Eppure, nonostante ciò, non fa neanche il santone. Anzi: Enemy (2018) è zeppo di collaborazioni con artisti come Achille Lauro, Franco126, Coez – eredi, insomma, di quel rap romano di cui lui è icona, ma distanti anni luce dal TruceKlan. Come a riposizionarsi di traverso nei gusti del nuovo pubblico, riportando figli e figliocci (la 126 è nata ascoltando Narcos e i suoi) sotto la propria cifra, ancora cruda. Perché se gli anni in strada cominciano a pesare, è sempre dal basso – e non da un ipotetico trono – che il nostro scrive, con l’incazzatura che resta accesa e non diventa più prevedibile malinconia. Al massimo sdegno, nausea, rancore.

“Ritornasse il ’99, avessi Roma di quel tempo indietro, mi prospetterei un futuro meno tetro” è una delle barre cult di Attica (2013), uno dei pezzi più famosi del nostro. E poi, in quella Sinnò me moro scritta proprio alla soglia degli -anta, chiudeva con: “Un bacio a mamma mia, pure stanotte dormo preoccupato”. Insomma: magari Noyz è solo stupito di essere giunto vivo ai 40, e non si farebbe tante domande. Noi però non possiamo che essere contenti che ci sia arrivato crescendo. Non era scontato, davvero.

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