‘Fuori noi’ dimostra che l’itpop è Zero Assoluto | Rolling Stone Italia
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‘Fuori noi’ dimostra che l’itpop è Zero Assoluto

Una decina d’anni fa lo si considerava il peggio del peggio. Ora il duo di ‘Svegliarsi la mattina’ torna con un singolo con Gazzelle e reclama il ruolo di iconcina per i cantautori da cameretta. E non senza buone ragioni

‘Fuori noi’ dimostra che l’itpop è Zero Assoluto

Zero Assoluto, ovvero Thomas De Gasperi e Matteo Maffucci

Chiudiamo gli occhi, fingiamo di essere nel 2009. Gli Zero Assoluto – cioè Thomas De Gasperi e Matteo Maffucci – ricevono dischi di platino a valanga per le varie Svegliarsi la mattina, Semplicemente, Per dimenticare. Sono la pop band di punta in Italia, per quanto con un’identità teen, quindi ostracizzata da critica e parte (adulta) del pubblico. Gira persino una loro parodia in cui i comici di Colorado li ritraggono sul palco mentre, cantando, mostrano sensuali gli addominali, belli belli in modo assurdo. Ed è un’immagine che, per quanto macchiettistica e grossolana, indica comunque un sentiment: famosissimi, sì, ma anche per ragazzine – ergo, all’epoca, il peggio del peggio. Oggi, dieci anni (di quasi silenzio: tre album dall’eco mediatica pressoché nulla) dopo, senza abiurare nulla tornano con Fuori noi, un singolo in duetto con Gazzelle, esponente importante dell’itpop o nuovo pop italiano. E non c’è niente che non va, anzi le due parti non sono mai stati tanto affini.

Ok, la canzone – che è una scheggia: due minuti e mezzo – ha un arrangiamento minimale di sintetizzatori basilari e clap, ed è molto più vicina ad alcuni episodi di Superbattitto (ma anche ad Aurora dei Cani: la prima parte sembra l’ascensione di Una cosa stupida) che all’elettro-acustico di una Svegliarsi la mattina; e però i synth che non sono condizione necessaria e sufficiente del nuovo pop, e questo è davvero un pezzo itpop in cui, però, gli Zero Assoluto giocano in casa. Per dire: c’è la strofa quasi rappata, il racconto della solita relazione post adolescenziale eternamente incerta, perennemente sfumata e ambigua, in cui in fondo gongoliamo, racchiusa nel “dubbio” dell’inciso; in mezzo, frasi a effetto fra malinconia e le solite, piccole cose. E sono elementi, questi, già ampiamente presenti nelle loro canzoni passate. E Gazzelle? Lavora di pura affinità: dà apertura melodica al ritornello, concretezza e agognati giochi di parole (“per andare fuori a cena / per non andare fuori noi”), oltre a cantare con la loro stessa voce, senza picchi ma funzionale. In un certo senso, è come se aggiornasse con piccoli ritocchi una formula in realtà pronta a questa svolta da dieci anni: suona attuale, non forzata, naturale.

Perché non è la prima volta in cui si dice che il nostro nuovo pop debba molto al vecchio, quello all’epoca considerato generalista in maniera oltraggiosa, da ragazzini e neanche degno di un guilty pleasure. Ma se prendere in prestito una certa narrazione della provincia da Vasco nobilita, è indubbia l’influenza di gruppi come i Lùnapop – nel 2000 kryptonite di chiunque si dichiarasse amante della musica, oggi alla base del nostro immaginario condiviso – come pure degli 883 e, appunto, degli Zero Assoluto. Già: persino Gazzelle, che dell’itpop – prima ancora che Paradiso, di impostazione più vintage – è alfiere principale, pur citando gli Oasis ha tanto in comune con la creatura di De Gasperi e Maffucci. E, con lui, i suoi “figli”.

Da una parte, c’è continuità rispetto alla semplicità delle loro melodie leggere e dei giri d’accordi killer che ritornano – guarda caso – in Fuori noi, oltre che al taglio da cantautore prestato all’airplay e agli arrangiamenti elettro-acustici innocui. Dall’altra, prendiamo Per dimenticare: allo stesso modo dell’itpop, ha una narrazione per elenco di momenti concreti vicini all’ascoltatore (il Natale in famiglia, il rapporto coi parenti, i “mal di testa ricorrenti”), distanti dall’astrattezza della tipica canzone d’amore generalista, con un lessico – anche qui – quotidiano, su scenario post adolescenziale parecchio comune (il matrimonio di lei, ma con un altro). Il tutto rivestito da una malinconia compiacente per un amore in realtà non contraccambiato: non c’è l’angoscia del pop classico verso il sentimento non corrisposto, ma la voglia di ridersi addosso, di dissimulare con un sorriso una condizione da perdenti che alla fine, dai, sotto sotto comincia a piacerci – un po’ come Gazzelle, bello dei suoi guai e della sfiga, no? Se l’itpop è agli antipodi di artisti “tradizionali” come (per citarne due) Morandi e Pausini, lo sguardo agrodolce degli Zero Assoluto, pur con i suoi limiti e le accuse di frivolezza legittime, era quindi in anticipo, a suo modo distante da un certo passato. Basta farsi un giro sull’intimismo soft di Semplicemente (quanto l’abbiamo odiata? Eppure eccoci) e la nostalgia di Grazie, che racconta una relazione attraverso la concretezza de “le nostre chiacchiere” e del “ridammi l’accendino”, per trovare le coordinate della nuova scena.

A livello comunicativo, poi, non è da sottovalutare nemmeno il look di De Gasperi e Maffucci: relativamente bellocci, ok, ma con la faccia pulita da bravi ragazzi. E anche qui, come gli 883, erano avanti, visto che poi il “nuovo pop” ha normalizzato l’impatto estetico degli artisti, ora poco più che gente comune dal profilo basso, che punge più per testi (da cui, immagino, l’appellativo spesso improprio di cantautori) che per look sopra le righe o doti canore. Perché, per un Tiziano Ferro che – pur nella sua modernità – flirta con l’icona di Massimo Ranieri, ci sono i cantanti delle piccole cose che non vogliono prendersi troppo sul serio, e la delicatezza ostentatamente disincantata di Svegliarsi la mattina (dove l’affetto “non è niente di speciale”) ne è antesignana.

In questo contesto Fuori noi, che non rinuncia a niente del passato pur collimando con Gazzelle e soci, rappresenta la chiusura simbolica del cerchio, se ancora non l’anticamera di una rinascita della popolarità del duo – che ha i favori del pronostico e i contro dei pregiudizi. Ma il punto, comunque, è un altro: non voglio dire che gli Zero Assoluto siano tornati a riprendersi tutto ciò che è loro, ma è chiaro che non diano l’impressione degli imbucati alla festa, degli wannabe giovanilisti fuori tempo massimo, restando gli stessi di dieci anni fa. Anzi, con un pezzo del genere magari verranno ancora considerati per ragazzine, ostracizzati, ma in ogni caso suoneranno coerenti e il problema – ammesso che ci sia – non sarà comunque loro. Ci stiamo girando intorno, ma la questione è chiara: semmai, chi dovrebbe farsi delle domande, dopo questo duetto, è l’itpop.

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