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Ecco perché non vinciamo mai l’Eurovision

Quello è un palco per tamarri, e da tamarri bisogna comportarsi. Antonio, abbiamo qualche consiglio per te

Ecco perché non vinciamo mai l’Eurovision

Diodato. Foto di Marco Piraccini/Mondadori Portfolio via Getty Images

Diodato trionfa a Sanremo e sembrano essere tutti contenti. Tutti tranne il leghista che lo accusa di aver vinto perché schierato dalla “parte giusta”, quella dei porti aperti e delle ONG. Anche se fosse, la forza sinistroide di Diodato è stata azzerata da quella sovranista di Rita Pavone, quindi siamo pari.

Il problema semmai è un altro, e si chiama Eurovision. È giusto che il vincitore di Sanremo partecipi di diritto? Succede dal 2015. Una specie di ulteriore premio in aggiunta al bouquet con i fiori della riviera. Vinci qui e ti spediamo là. Come succede nelle televendite: compri la bici e ti diamo il set di padelle. Figata, ma non è detto che se voglio andare in bici io voglia anche cucinare. O che lo sappia fare.

Niente contro Diodato, Fai rumore si meritava decisamente la vittoria. Ma sarà abbastanza per l’Eurovision? Quel palco è genitore 1 e genitore 2 di alcune delle esibizioni più trash che si siano mai viste su questo pianeta. Un circo a ritmo di eurodance. E noi neanche quest’anno vogliamo sporcarci le mani. Se escludiamo Soldi infatti, le canzoni che abbiamo presentato su quel palco non hanno mai funzionato a dovere. C’è il problema linguistico, sì, ma c’è soprattutto il problema che il pop italiano nasce, cresce e corre (cit) per arrivare al massimo a Lugano.



Un paio di volte abbiamo anche vinto, ma sono passati secoli. La prima volta nel 1964, con la 16enne Gigliola Cinquetti (ora l’avrebbero spedita al Collegio), e poi nel 1990 con Insieme di Toto Cutugno. Non un granché in tutti questi anni. Poi abbiamo saltato il giro per 14 edizioni. Dal 1994 la RAI ha sospeso l’Eurovision per ascolti bassissimi, salvo poi tornare nel 1997 schierando i Jalisse, che si piazzarono quarti con Fiumi di parole. Forse traumatizzata dal duo, l’Italia decise di non concorrere più fino al 2010. Quattordici lunghi anni in cui l’Eurovision è scomparso dalle nostre vite. E i Jalisse pure.

All’inizio dello scorso decennio però i pianeti del trash si sono riallineati, e la RAI ha annunciato il ritorno. Un brivido ha percorso le schiena di Ricchi e Poveri, Albani e Pupi. La scelta però è ricaduta sul giovane Raphael Gualazzi, vincitore della categoria Nuove Proposte di Sanremo. Una scelta classy – anche se purtroppo non indossava ancora il cappello – effettuata da una commissione creata ad hoc. Si piazza secondo. Non male per Gualazzi, malissimo per la RAI. Solo il 6% di share. Seguono negli anni Nina Zilli (9°), Marco Mengoni (7°), Emma (21°), Il Volo (3°), Francesca Michielin (16°), Francesco Gabbani (6°), Ermal Meta e Fabrizio Moro (5°), Mahmood (2°).

Siamo spesso entrati in top ten, e l’anno scorso abbiamo davvero sfiorato la vittoria. Ma allora, cosa manca? La risposta è una: ci crediamo troppo poco. Quello è un palco per tamarri, e da tamarri bisogna comportarsi.

L’anno scorso ha vinto Duncan Laurence – che in effetti è po’ la quota Diodato dell’Eurovision – ma con un pezzo interamente in inglese nonché colonna sonora perfetta di roba tipo The O.C. o Riverdale. Nel 2018 ha vinto Toy di Netta. In pratica un’esibizione del Cantante Mascherato. Capite? O si fa un gran carnevale o si raccontano storie tristi. Meglio se insieme. Non c’è una via di mezzo. Nel 2017 quel pesantone di Salvador Sobral, che ha omaggiato il fado portoghese con un pezzo strappalacrime. Nel 2016 Jamala, con una canzone sulla deportazione dei tatari di Crimea negli anni ‘40. Nel 2015 vince Måns Zelmerlöw, con l’inno nazionale degli autoscontri. Il 2014 è l’anno di Conchita Wurst, e non c’è altro da aggiungere. Anzi, sì: che la via di mezzo c’è. E siamo noi.

Se vogliamo conquistare quel palco dobbiamo fare una rivoluzione. Iniziando magari con l’istituire una commissione che selezioni i partecipanti in base a requisiti fondamentali: la capacità di coreografare, di travestirsi, di twerkare a comando. Oppure preparando seriamente i vincitori di Sanremo nei tre mesi che li separano dall’Eurovision. Quest’anno, per esempio, Diodato dovrebbe abbandonare i look sobri e cantare Fai Rumore vestito come Achille Lauro (a lui la scelta tra body color carne o la più impegnativa versione Marchesa Casati Stampa). In alternativa, potrebbe imparare a muovere il culo a ritmo di musica. Fai entrambe le cose e ci portiamo a casa pure un (Latin) Grammy. Forza, Antò (e il resto scompare).