Dopo 40 anni, gli AC/DC sfrecciano ancora nella 'Highway To Hell' | Rolling Stone Italia
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Dopo 40 anni, gli AC/DC sfrecciano ancora nella ‘Highway To Hell’

Viziosa, epica e sensuale, il 27 luglio 1979 usciva una delle poche, vere pietre angolari del rock, nonché l'ultimo album della band con Bon Scott

Dopo 40 anni, gli AC/DC sfrecciano ancora nella ‘Highway To Hell’

Una volta, il rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta era distintamente tripartito. Primo: un amico più grande, il ragazzo di tua sorella o, in alcuni casi di filmica memoria, il pluri-ripetente della scuola, ti passava una cassetta registrata i cui titoli erano scritti con grafia illeggibile. Secondo: le tue orecchie venivano perforate dal sound testosteronico di gruppi come Iron Maiden, Deep Purple o Judas Priest. Terzo: consumavi quella cassetta a furia di ascolti nel Walkman, mentre ti aggiravi nel quartiere con l’aria di uno che è appena uscito incolume dall’incredibile nottata di The Warriors – I guerrieri della notte. E’ appurato che della vita anche tu ancora non avessi capito un cazzo ma quella colonna sonora nelle orecchie ti scioglieva tutta una corazza di insicurezze, delusioni, baffetti ridicoli e brufoli in posti improbabili costruita con cura certosina negli anni delle scuole medie. Come dire: “Da oggi ragà, sò mejo io!”.

Nel mio caso, che poi credo sia quello di molti di voi, sul nastro registrato da tale Stefano Segarelli, un ripetente che frequentando me cercava inutilmente di farsi mia sorella, c’era su Highway To Hell degli AC/DC. Highway To Hell è uno di quei dischi che iniziano con la canzone che da il titolo al disco. E Highway To Hell è una di quelle canzoni che dopo neanche due minuti già la sai, già è tua. Neanche un minuto e la voce tenorile di Bon Scott è già lì a tessere la propria acida melodia; così ti ritrovi a battere il piedino, muovere la tasta e fare le corna pur non avendo visto una puntata una di Beavis and Butthead in vita tua. Se resti fermo, invece, è assai probabile che da adulto dilapiderai il tuo stipendio per vedere Laura & Biagio in poltronissima. Highway è, fuori da ogni dubbio, LA canzone degli AC/DC dell’era Bon Scott tanto quanto Back In Black è quella dell’era Brian Johnson – perché, volenti o nolenti, da vivo o da morto, Bon Scott resta comunque l’anima della band.

La nostra storia non inizia a Sidney, dove la band si è formata, e nemmeno in terra americana, dove la band sta iniziando ad avere un massiccio successo di pubblico, nonostante la loro etichetta, ossia la Atlantic, sembra fare di tutto perché il successo statunitense non arrivi finché la band non si adatti ad avere un approccio più radiofonico. Non spedisce i vari singoli alle radio e si rifiuta di distribuire Dirty Deeds Done Dirt Cheap, il loro terzo album. L’anno è il 1979 e il luogo è Chalk Farm, a nord di Londra. Gli AC/DC vi si trasferiscono per non dilapidare gli incassi di cinque dischi entrati nella classifica australiana. Soldi che, però, non sono ancora arrivati: “Non avevamo soldi in tasca – dirà Angus Young – Powerage era andato benissimo in Australia ma in America andò meglio il disco dal vivo If You Want Blood, troppo recente per vederne gli introiti e gli assegni delle royalities non si vedevano ancora. Credo che il management ci passasse un piccolo stipendio, una paghetta”. Certo, ci sarebbe da dare un feedback alle richieste della casa discografica ma, paradossalmente, sembra essere l’ultima idea nella testa della band: i ragazzi son completamente disorientati, la testa altrove. “Per tutto il primo mese in Australia, finito il tour, non facemmo che bere”, ammise poi Bon Scott.

A cercare di smuoverli sarà la stessa Atlantic che gli proporrà la produzione di Eddie Kramer, deus ex machina dietro il sound di Jimi Hendrix ma anche di Led Zeppelin e Kiss. Tutto è bene quel che finisce bene? Ma neanche per finta. Fossimo stati in un altro anno forse l’idea della Atlantic sarebbe andata a segno ma siamo nel 1979. E se suoni hard rock nel 1979, e ne sapranno qualcosa i fan dei Motorhead, la tua musica è ancora più debitrice dell’ondata punk appena sepolta che di quel candore “classic” che ancora classico appunto non è. Pare così che l’idea subliminale di ammorbidire la band via-Kramer andò allegramente a farsi fottere. Le parole di Malcom Young a tal proposito restano a oggi inequivocabili: “Quel Kramer è senza speranza! Avrà pure lavorato con Hendrix ma non deve averci capito nulla!”. Così la band, che era stata mandata addirittura a Miami per lavorare, si ritira nel nord della capitale inglese, a Chalk Farm, nei Roundhouse Studios, portandosi Robert Lange di cui hanno apprezzato il lavoro sul disco dei Boomtown Rats del 1977, anno d’oro del punk rock.

Con Lange in cabina di regia, i lavori iniziano a ingranare: la band compone altre quattro canzoni, in aggiunta ai sei già scritte di nascosto da Kramer, che Robert rivede nei dettagli. Già, perché pure se Lange, detto simpaticamente “Mutt” ossia cane bastardo, ha un approccio punk e tutta la band dirà che esprima al meglio il sound “minimale” dietro tutta la loro produzione, quando lavora è un rullo compressore. Costringe i ragazzi, che finora avevano registrato i loro dischi in due settimane, a passare 15 ore al giorno, giorno dopo giorno, per quasi tre mesi, in studio. Studiando tutti i suoni di ogni strumento, insegnando a Scott a equilibrare le sue melodie in voce di testa della m1 che, come molti di voi in questo momento, non sapeva neanche che volesse dire e pare che gli rispose: “Fallo tu stronzo, se sei così bravo!”. Così, il 27 luglio del 1979, piombò sugli scaffali Highway to Hell.

Sembra che il titolo però esistesse già da prima. Sembra che un giornalista chiese ad Angus con la sua divisa lacerata al termine di un concerto, com’era la vita in tour per una band come gli AC/DC. Lui allora rispose: “Come una fottuta autostrada per l’inferno!”. Ma c’è anche una versione diversa. Bon Scott è un habitué del Raffles Hotel, un pub dove anche Godzilla avrebbe problemi al bancone; raccontò che, per arrivarci, bisognava percorrere Canning Highway e scendere una collina scoscesa attaccata a un incrocio dove c’erano stati più morti che a Hiroshima. L’avevano battezzata Highway To Hell. Voilà. Puro manuale hard rock. Bon aveva ennui origini scozzesi come i fratelli Young ma vantava di esser tra i primi musicisti arrestati per possesso di marijuana, quando con un improbabile caschetto canta ancora nei Valentines, e poi un incidente motociclistico serio, la galera per il furto di dodici galloni di petrolio, tatuaggi, matrimoni falliti e un istinto antisociale che lo fa cacciare anche dall’esercito, quando prova ad arruolarsi volontario.

Highway To Hell ne è il figlio diretto. Che con un blues-rock abrasivo come dei Free dopati, rivela al mondo la chitarra di Young sì, ma soprattutto le doti di shouter-blues di Bon Scott. Sesso (Beating Around the Bush, Touch Too Much, Walk All Over You), droga (Get It Hot, Shot Down in Flames) e rock and roll (Love Hungry Man, Girls Got Rhythm). Letteralmente. E poi quella canzone sul finale: Night Prowler. Bellissima, crepuscolare ed estenuante. Oltre sei minuti che danno spazio anche a una slide e che pare essere stata la soundtrack degli omicidi del serial killer Richard Ramirez. Roba che al confronto Ozzy Osbourne andava a scuola dalle Orsoline. Un anno dopo, mentre quel disco è ancora fisso nelle classifiche americane, Bon muore dentro una Renault di un amico, soffocato nel vomito e assiderato dal freddo. Aveva 33 anni, gli anni di Cristo: facile che per uno come lui il Club 27 fosse solo un gioco per figli di papà viziati.

Col tempo la fanbase degli AC/DC è diventata tra le più odiate dell’intera scena. Un po’ come quella di Vasco ma con Brian Johnson alla voce. Molti fan della vecchia guardia se ne sono distaccati e, in alcuni casi, sono arrivati a rinnegare di avere avuto una fase AC/DC. Non è il caso nostro. Noi tutti ancora pensiamo che, assieme a Tony Iommi e Jimmy Page, Malcom Young sia stato uno dei grandi maestri di chitarra nella storia del rock. La combo colossale dei riff che ha scritto e il suo ritmo nel suonarli rappresenta una delle fondamenta del genere. Pensiamo che gli assoli scritti da Angus su questo disco potrebbero bastare da soli a fare da pietra angolare su cui decidere gli ascolti a venire nella vita di molti. Crediamo, soprattutto, che non ci sia mai stato commiato così figo nella storia della musica come quello di Bon Scott e Highway To Hell. Vizioso, vissuto e verace. E, mentre lo diciamo, un brivido ci corre lungo la schiena e un sano odore di dopobarba ci arriva alle narici.

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