22 agosto 1978: storia dell'ultimo live di Sid Vicious | Rolling Stone Italia
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22 agosto 1978: storia dell’ultimo live di Sid Vicious a Londra

Quella sera i Vicious White Kids suonano all'Electric Ballroom di Londra su un palco pieno di vetri rotti, perché dal pubblico lanciano di tutto

22 agosto 1978: storia dell’ultimo live di Sid Vicious a Londra

Tutte le storie possono avere almeno due finali. Immaginate quale realtà sarebbe potuta saltar fuori, se la comunità hippie a cui fece sentire i suoi pezzi si fosse entusiasmata e avesse incoraggiato quel giovane Charles Milles Manson a proseguire sulla strada della musica. E se gli addetti ai lavori a cui mandò le sue prime registrazioni avessero avuto una lungimirante visione indie della musica, come tra l’altro accaduto con un outsider come Wild Man Fisher, il cui primo lavoro fu prodotto da Frank Zappa in persona nel 1969 e ora può arrivare a costare più di 200 dollari. Il massacro di Cielo Drive non sarebbe mai avvenuto. Sharon Tate non sarebbe morta incinta a ventisei anni e magari Manson sarebbe diventato l’ennesimo artista di culto di cui sfoggiare una t-shirt agli Mtv VMAs, al pari di Daniel Johnston.

Non avremmo avuto Marilyn Manson e Brian Warner si sarebbe dovuto creare un altro nome d’arte, i Suicidal Tendencies un’altra icona per le loro magliette, Trent Reznor un studio per incidere The Downward Spiral e i Kasabian un altro nome. Un gioco, questo, che si può fare in tutti e due i versi. C’è una carrettata di jazzisti che per un soffio non sono diventati criminali e tanti altri che invece lo sono stati. Charles Floyd, noto come Pretty Boy Floyd, fu un gangstar della mala statunitense anni ’20 omaggiato da Woody Guthrie, ma pare avesse ottime doti come armonicista. Oppure Sid Vicious, dei Sex Pistols. Il primo mugshot, la foto che ti scatta di fronte e di profilo il commissariato dove vieni portato quando ti arrestano, Sid se lo fa fare agli inizi degli anni Settanta. Allora ancora si chiama John Simon Ritchie, e a scattargliela è l’ufficio di Polizia di High Peak, nel Derbyshire, dove provoca una rissa dentro un pub dopo essere scappato di casa.

In famiglia infatti non va per nulla bene, vive con una madre tossicodipendente e un padre acquisito che detesta dal profondo. Viene trattenuto per ubriachezza molesta e rissa e poi continua a essere fermato perché fa a botte, beve troppo, fa casino a Londra e perché rubacchia quello che può. Dopo il primo scatto, la polizia s’abitua presto all’idea che quel Sid sia un piantagrane e nulla più. Vi basti sapere che, per alcuni, il “pogo” l’avrebbe inventato lui a furia di spintonare e creare disordini ai concerti dove andava.

Vorrebbe sfondare come musicista, Sid, ma anche con la musica non va meglio. Dopo essere stato fatto fuori da almeno tre band per le sue scarse qualità musicali e aver visto gli ex-compari formare solide realtà come i Clash o le Slits o i Pretender, Sid prova a entrare come cantante nei Damned. Siamo nel 1976, viene scartato: il posto lo prende il più talentuoso Dave Vanian. Per un po’ si ricicla come batterista di Siouxsie and the Banshees agli esordi, per poi buttare tutto alle ortiche quando, strafatto di anfetamine, lancia una pinta contro il suo rivale Vanian durante l’esibizione dei Damned al festival 100 Club Punk Special. Morale della favola: ennesima gita in commissariato, ennesima denuncia e addio al posto di batterista coi Banshees.

Sid va avanti ma capisce che per lui le cose si stanno mettendo male quando, a soli diciannove anni, non ha inciso una nota su un disco e scopre che in cima alla sua collezione di provvedimenti disciplinari c’è un foglio, un atto ufficiale, che lo dichiara “delinquente abituale”. Non è bello. Perché nella terminologia giuridica non scritta un delinquente abituale è uno che non cerca neanche il riscatto, è uno che vive alla giornata in attesa di finire dentro per qualcosa di serio e nulla più. Uno completamente senza speranza.

Invece, neanche fosse Gesù, leggenda vuole che per la sua resurrezione siano bastati soli tre giorni. “Sid Vicious mi chiese di insegnargli a suonare il basso. Dopo tre giorni sono stato costretto a dirgli: ‘Senti Sid, il basso non fa per te!’, e lui mi ha risposto: ‘Sì, lo so’ tutto amareggiato”. A parlare è Lemmy dei Motorhead. Ma proprio in quei tre giorni è scoppiata la scintilla per dare alla nostra storia un altro finale. Due mesi dopo, Lemmy incontrò Sid allo Speakeasy Club. “Hey Lem, indovina? Sono nei Sex Pistols!” lo salutò allegro. Il resto, neanche a dirlo, è storia. Storia di un anno vissuto intensamente. Dal febbraio ’77 al febbraio ’78.

A Sid Vicious infatti, che entrò nel gruppo in sostituzione di Glen Matlock, bassista dal 1975 e autore di 10 delle 12 canzoni di Never Mind the Bollocks, bastò un anno per diventare per tutti IL bassista della band. Dodici mesi a base di eroina, autolesionismo, sputi, botte, vomito e anatemi al suo stesso pubblico che fecero di lui una vera e propria icona punk. Nonostante fosse totalmente incapace di controllare i propri eccessi, fino a diventare (con)causa (per molti insieme alla sua compagna, l’ex-prostituta eroinomane Nancy Spungen) della fine della prima e unica band disposta a dargli una chance.

The Vicious White Kids - Live At The Electric Ballroom

Dopo lo scioglimento dei Pistols, Sid Vicious pianificò di trasferirsi a New York con la sua ragazza. Prima di partire, però, decide di mettere insieme una band, i The Vicious White Kids. La line-up è da mal di testa, nel senso che è essa stessa una capriola di senso logico mica da ridere: c’è Matlock, proprio quel Glen che aveva sostituito nei Sex Pistols, al basso; Rat Scabies, ovvero il batterista di quei The Damned che per un soffio non lo mandarono in galera; e il chitarrista dei Rich Kids, Steve New. Sid “ovviamente” (virgolette d’obbligo) alla voce, per dare sfogo più alle sue manie narcisiste che alle sue reali doti canore. O ancora meglio, per dare sfogo alle sue manie narcisiste e soddisfare orde di fan attratte dal suo fascino oltraggioso, non tanto dai suoi reali meriti sul campo. Gruppi come i Clash, del resto, sono a un passo dal firmare un contratto con la Sony e la moda del punk stava per diventare una caricatura. Affermava Matlock: “I giornalisti locali parlavano di questo Sid Vicious con le guance trafitte da spillette. Non solo lui ma nessun membro di un gruppo punk ha mai fatto questa stronzata di ficcarsi le spillette nelle guance. Ma qualche settimana dopo, la gente cominciò a farlo, perché lo aveva letto sul giornale”.

Comunque, dopo una data fantasma nel giorno di ferragosto del 1978 (in realtà poco fantasma, dal momento che esiste pure un omonimo bootleg, ma c’è chi dice si tratti dello stesso live), il 22 agosto del 1978, la band suona all’Electric Ballroom di Londra. Tra il pubblico accalcato sotto il palco, qualcuno nota i Blondie, Elvis Costello e Joan Jett che, dopo aver assistito a questo concerto, decise di produrre il primo e unico disco degli immensi Germs. Qualcuno, si legge nelle rare recensioni, si era messo delle spille al naso ma senza bucarsi la pelle. Sid sale sul palco. Qualcuno, dalle prime file, sputa, Sid risponde colpendo un tizio con l’asta del microfono e si prende il suo meritato posto davanti alla platea: partono le note di C’mon Everybody e per molti è un sogno che si avvera.

«La gente tirava di tutto», ricorda Scabies. «Il palco era coperto di vetri ancora prima che ci salissimo sopra. Io e Glen, che c’eravamo persi tutta quella violenza del tour americano dei Pistols, eravamo scioccati. Sid fu l’unico a prendere la mira e tirare l’asta contro un tale stava per lanciare una lattina. Alla fine Sid mi domandò perché ero rimasto immobile, risposi che senza il mio “one, two, three” il concerto non sarebbe probabilmente mai iniziato!». Quando il leader di una band prende l’asta del microfono per darla in testa a uno degli spettatori, è chiaro che la situazione è ormai fuori controllo, che nell’aria ci sono guai seri. Recensendo quella data, Roberta Bayley di NME scrisse che “Se fossero stati i Pistols a suonare a Londra, in un qualunque posto, ci sarebbe stata la fila a baciargli il culo. Ma questo era un concerto di Sid Vicious da solo, il che voleva dire pubblico di integralisti ma anche buona parte di ex-fan che lo avrebbero volentieri sbattuto al muro per la fine della band”.

Dal canto suo, Sid ha sempre voluto cantare. Il ruolo di bassista non gli è mai andato a genio ma, nel suo essere totalmente punk e scazzato, si è scordato un piccolo dettaglio: le canzoni. Così, all’Electric Ballroom, Sid ha all’attivo soltanto My Way che rende quell’happening un bizzarro incontro tra il mondo punk e non si sa bene cosa: crooning di Frank Sinatra, glam dei New York Dolls, rock’n’roll di Eddie Cochran, garage degli Stooges e pop-rock dei Monkees e Dave Berrys – tutti coverizzati in chiave viciousiana. La maggior parte degli spettatori era andata lì come si va a vedere uno di quei fenomeni da baraccone alle fiere o tutt’al più si aspettava di vedere una cover-band dei Sex Pistols – speranza delusa, eccezion fatta per Belsen Was a Gas – che rese l’ambiente incandescente.

Succedesse oggi, ci sarebbe il pubblico delle grandi occasioni, tutto attento e motivato da chi sa quali principi. Questo invece è il primo e unico concerto della band, ancor prima che l’ultimo di Sid a Londra: i ragazzi hanno preparato una scaletta di soli 20 minuti, così decidono di suonarla per due volte. Al secondo giro, Nancy Spungen sale sul palco a cantare e urlare insieme a Sid, nonostante il resto della band l’abbia già fermamente respinta come corista alle audizioni. C’era da aspettarselo, se c’è una cosa che Sid non ha mai fatto è compiacere pubblico e amici dandogli quello che si aspettavano. Nonostante ciò, i The Vicious White Kids suonano compatti, tesi ed esaltati, offrendo pochissimi sorrisi e le parole tra un brano e l’altro sono selezionate con il contagocce. Lui cita (immancabile) le parole di Iggy Pop: “Voi idioti pagate e noi ce la ridiamo”. Ma sarebbe potuta andare peggio. In Texas, qualche mese prima, appena salito sul palco aveva esclamato: “Voi cowboy siete tutti froci!”. Ma pare che Sid fosse proprio così: da un lato egocentrico che la metà basta, e dall’altro confusissimo e infelice, privo di qualsiasi atteggiamento auto-celebrativo tipico di chi sa di avere il proprio nome scritto nell’enciclopedia del rock. C’è solo la musica, sottostimata, e la coerenza con cui Sid rivendica la padronanza della propria arte, adesso come nel 1978. Prendere o lasciare.

25 agosto 1978. Dall’oblò dell’aereo la città di Londra si fa sempre più piccola. Sid e Nancy hanno deciso di trasferirsi dall’altro capo del mondo, a New York City. Sid metterà su un’altra band di cui sarà il cantante e lei gli farà da manager. Sono fatti ed eccitatissimi: dopo mesi a vivacchiare a casa di amici, cercando uno scopo, brillando di luce riflessa dei Sex Pistols (come nel caso del film The Great Rock’n’Roll Swindle di Julien Temple), dei componenti di altre band e dei giornalisti inglesi in caccia di un altro scoop musicale, per la prima volta si apprestano a condividere con l’America la loro versione riveduta e corretta del rock and roll. C’è gente da incontrare, un disco da completare e un tour da organizzare. Atterrano al JFK e la station wagon a noleggio che li porta al Chelsea Hotel, almeno a loro, sarà sembrata una limousine. Però, come succede a volte ad alcune rockstar, non è che i guai con la legge smettono di arrivare con il successo, anzi. Dopo neanche due mesi di permanenza a New York, c’è un altro mugshot che ritrae Sid di fronte e di profilo: ha le basette tiratissime ma il ciuffo decisamente moscio, un accenno di sorriso e la giacca di pelle chiusa sul torso nudo. Tiene il cartello del dipartimento di polizia di NY tutto storto, ha lo sguardo a metà tra l’intontito e lo strafottente, non è preoccupato né spaventato, ma nemmeno sbruffone. È stato arrestato perché sospettato dell’accoltellamento della sua compagna Nancy. Esce su cauzione pagata dalla Virgin, che ha in programma per lui un nuovo album.

La situazione non è chiara: i due hanno litigato, ok, ma sono sempre entrambi troppo fatti per capire se si sia trattato di un omicidio o un incidente. E il fatto che abbia chiamato i soccorsi lui stesso col coltello ancora infilzato in un unico mortale colpo allo stomaco di lei ingarbuglia ancora di più la faccenda. Poi, pochi giorni dopo, Sid prova a tagliarsi le vene, viene soccorso e curato, gli viene somministrato del metadone per ristabilirlo. Lo rifarà ancora e ancora, cercherà anche di buttarsi dalla finestra, vaneggiando di volere raggiungere la sua amata Nancy. E così via per quattro mesi, fino all’overdose fatale del 2 febbraio del 1979, con dell’eroina comprata da sua madre.

In una delle ultime interviste dichiarò: “Lo ammetto, sono un tipaccio! Perdo la pazienza e tratto male tutti, soprattutto le ragazze, bevo e faccio a botte. Ma dovete capirmi, non è stato facile vivere per me”. Più o meno quello che diceva Ed Kemper, il serial killer di Burbank che finì per decapitare sua madre e usarne la testa per giocare a freccette. E che dicevano Richard Kuklinski, il sicario della mafia, e Baby Face Nelson. Solo che Sid ha incontrato i Sex Pistols, e anziché un criminale è diventato per tutti un’icona del rock.

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