'Mystify: Michael Hutchence' è il documentario rock perfetto | Rolling Stone Italia
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‘Mystify: Michael Hutchence’ è il documentario rock perfetto

Dai video privati girati con Kylie Minogue alle testimonianze di colleghi e amici, il film sfrutta materiale d'archivio e immagini inedite per risolvere il mistero di uno dei musicisti simbolo del pop anni '80

‘Mystify: Michael Hutchence’ è il documentario rock perfetto

Un frame del documentario ‘Mystify: Michael Hutchence’

Mystify: Michael Hutchence parte subito con la stessa sequenza che avete già visto in ogni singolo documentario sulla vita di una rockstar: c’è Hutch in giubbotto di pelle nera mentre percorre il corridoio verso il palco, dove – indovinate – canterà uno dei brani più conosciuti degli INXS, Never Tear Us Apart. Ma questa è l’unica scelta convenzionale del regista Richard Lowenstein, amico storico e collaboratore della band australiana, che evita il prevedibile tributo agiografico e utilizza il ritratto umanissimo degli alti e bassi di un uomo per aggiungere nuovi pezzi al puzzle della sua storia e della sua morte, con un approccio investigativo vicino a Leaving Neverland o Surviving R Kelly.

Mystify (nelle sale a inizio 2020 con Wanted Cinema) è un manuale di come dovrebbe essere costruito un documentario su un archetipico sexy dio del pop-rock che voleva essere riconosciuto come artista, che era cresciuto in una famiglia australiana piena di glamour, ma infelice e aveva intrecciato una sfilza di relazioni da tabloid con modelle e cantanti: da Kylie Minogue a Helena Christensen.

Mystify Michael Hutchence - Official Trailer

Lezione numero uno: le interviste. Parlano i membri della famiglia: dalla sorella Tina, che ricorda Michael bambino e la sua infanzia a Hong Kong, dove gli Hutchence si erano trasferiti a causa del lavoro del padre, al fratello Rhett, fonte di infiniti sensi di colpa per il cantante, che era partito per l’America con la madre lasciandolo solo in Australia. Ci sono le testimonianze di manager, produttori, amici e partner: da Michelle Bennett a cui Micheal dedicò proprio Never Tear Us Apart, a una giovanissima Kylie Minogue che parla per la prima volta del loro rapporto, di come lui volesse “provare ogni cosa, dal cibo, alle droghe, al sesso, desideri che avevano svegliato qualcosa in me e che abbiamo condiviso” e della fissazione profetica di Michael per Profumo di Patrick Süskind. Di tutti loro però sentirete soltanto le voci perché si tratta di registrazioni audio. L’unico che parla in camera è sempre e solo Hutchence, una scelta fatta per non interrompere il mood onirico Eighties e Nineties delle immagini certo, ma anche per avere i suoi occhi e il suo volto sempre in primo piano.

Lezione numero due: i filmini privati. Ogni documentario sulla vita dei musicisti si vanta di avere dei video inediti. Ma Mystify gioca in un altro campionato: per darvi un’idea, Kylie Minogue ha donato a Lowenstein degli spezzoni molto teneri e personali girati da Michael stesso durante una vacanza in Italia, uno dei quali la ritrae nuda sull’Orient Express.

Lezione numero tre: un documentario per essere considerato tale deve mostrare una prospettiva inedita su un personaggio o raccontare qualcosa di nuovo. La rivelazione è a metà film, quando la top model Helena Christensen – compagna di Hutchence dal 1991 al 1995 – spiega per la prima volta che, dopo aver battuto la testa in seguito a una lite con un tassista a Copenaghen, a Michael erano stati diagnosticati danni cerebrali estesi, responsabili addirittura della perdita dell’olfatto. Una neuroscienziata sostiene la tesi per cui “quando succede, le persone iniziano a perdere il senso di se stessi e questo vuoto peggiora con il tempo”. Gli amici e i compagni di band affermano che in seguito all’incidente il frontman degli INXS era diventato aggressivo e depresso. Bono ricorda: “Era traumatizzato, mi ha confessato che era cambiato tutto, quella che era una dolce insicurezza è diventata qualcosa di più profondo. Aveva smarrito la propria strada, dimenticato chi era”.

Cinque anni dopo, il 22 novembre del 1997, Hutchence veniva trovato impiccato con la cintura dei pantaloni alla porta della sua stanza al Ritz-Carlton di Sydney. Aveva 37 anni. Secondo la compagna di allora, l’ex moglie di Bob Geldof Paula Yates, la morte era stata accidentale, un tentativo di parziale soffocamento autoerotico andato male. Ma il medico legale archiviò il caso come suicidio e, svela il documentario di Lowenstein, l’autopsia mostrò i danni cerebrali che la Christensen, per volere di Michael, aveva tenuto segreti per oltre 20 anni in seguito alla sua scomparsa. Ora Mystify prova a chiudere quell’ultimo conto in sospeso di Hutchence nei confronti della celebrità, in modo mai gridato, con amore e delicatezza.

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