‘365 giorni – Adesso’: non si capisce una fava (mentre ‘l’altra’ fava c’è ancora, tranquilli) | Rolling Stone Italia
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‘365 giorni – Adesso’: non si capisce una fava (mentre ‘l’altra’ fava c’è ancora, tranquilli)

È arrivato su Netflix il sequel dello ‘scult’ erotico polacco che mischia scopate (molte), crime e… ‘Uomini e donne’. E che riesce pure a peggiorare, tra il fake femminismo e un doppio (!) Michele Morrone

‘365 giorni – Adesso’: non si capisce una fava (mentre ‘l’altra’ fava c’è ancora, tranquilli)

Michele Morrone e Anna-Maria Sieklucka in ‘365 giorni – Adesso’

Foto: Netflix

Sinceramente? Non ci ho capito una fava. Dico davvero: dopo aver visto 365 giorni – Adesso, ovvero il sequel dello “scult” con Michele Morrone the new manzo, non saprei esattamente dirvi cosa io abbia guardato. Un film erotico? Bah. Un film sulla mafia e l’onore? Non scherziamo. Un film e basta? Probabilmente manco quello. Le due ore – sì, due ore! – di immagini e suoni che scorrevano su Netflix erano qualcosa di vagamente simile a quella che noi chiamiamo storia. Ci somigliavano molto, devo ammetterlo, ma dentro di me una vocina continuava a sussurrare: “Ma che è?”. Ebbene sì, gli autori di 365 giorni sono riusciti a fare peggio del peggio, ossia qualcosa di ancora più agghiacciante del primo Cinquanta sfumature di grigio in salsa polacca. Impresa notevole, non c’è che dire, anche se difficilmente sortiranno il medesimo effetto del precedente capitolo.

Quando infatti uscì 365 giorni era febbraio 2020: la pandemia stava per sconvolgere le nostre vite e, insomma, non è che eravamo proprio presenti a noi stessi. Lì, chiusi in casa, abbiamo preso a smanettare su Netflix e alla fine, va a capire perché, 365 giorni è diventato il titolo più visto sulla piattaforma. Sapevamo che era una coattata pazzesca, lo riconoscevamo, ma allo stesso tempo era una di quelle trashate che “facevano il giro” diventando, per l’appunto, uno scult. Il che ha fatto la fortuna di Michele Morrone, un po’ meno quella dei nostri neuroni, che non ne sono usciti proprio benissimo dalla visione del film.

Così, due anni dopo, arriva il sequel e, tra un po’, pure un altro film perché, signori miei, questa è nientemeno che una trilogia con tanto di bestseller alle spalle, ossia la saga di Blanka Lipińska. In 365 giorni – Adesso ritroviamo dunque Morrone nei panni di Massimo Torricelli, Anna-Maria Sieklucka in quelli di Laura e la Sicilia nostra che viene spacciata ora per la nuova California ora come il Medioevo di ritorno. In questa location suggestiva, fatta di mari cristallini e onori familiari da difendere, Massimo e Laura si sposano, non prima però di avere rivisitato (a modo loro) il detto “sposa bagnata sposa fortunata”. Prima della cerimonia, infatti, Massimo va a vedere la sposa in abito bianco (“Non resistevo alla curiosità”, spiega) e decide di possederla in loco.

Che poi, in realtà, è quello che i due fanno per tutta la prima mezz’ora del film, che alterna a loop “inserto musicale/dialogo a caso/sesso”. Non succede nient’altro: zero. Alla terza scopata di fila, quasi rivaluti l’action di Don Matteo. Il problema però non è solo la noia, ma anche che sono ridicoli. Alcuni giochini suscitano domande esistenziali più che morbosa curiosità, tipo “Ma come fa a non rovinarsi l’abito da sposa?” o “Deve avere i genitali rivestiti di amianto, se si fa tirare tra le gambe la pallina da golf” (sì, fanno anche questo…). L’apice, si fa per dire, si raggiunge però quando Laura dice frasi femministe a caso.

Già, perché dopo 365 giorni, ossia Adesso, gli sceneggiatori non potevano ignorare le critiche mosse loro dal mondo femminista che, giustamente, aveva contestato l’immaginario proposto dal film. Lo riassumiamo così: una donna, rapita da un uomo chiaramente instabile e violento, finisce per amare il suo aguzzino e assoggettarsi alla sua mascolinità tossica. Capite bene che una roba così distrugge una mezza quintalata di battaglie #MeToo. Quella però è di fatto la storia: pure nel sequel Massimo continua a essere padre e padrone e, più lo guardi, più pensi che un buon analista gli servirebbe tutto.

Da qui, il colpo di genio degli sceneggiatori: anche se non possiamo cambiare l’impianto, si saranno detti, possiamo trasformare Laura in una mancata suffragetta femminista. Tra un coito e l’altro, la nostra se ne salta quindi fuori dicendo massime esistenziali tra le quali “No, sarai tu a fare tutto quello che dico io!”; “Non prendo ordini, non sono un oggetto da spostare dove vuoi”; fino all’epico “Stiamo insieme perché l’ho deciso, ma non puoi dominarmi”. Peccato che, nonostante i proclami, la nostra continui a fare tutto quello che faceva prima. Compreso tentare la fuga.

Simone Susinna, alias Nacho, è la new entry del film. Foto: Netflix

Ed è a questo punto che parte la, assolutamente caotica e nonsense, linea crime. Evidentemente anni e anni di Padrino e serie mafiose non hanno insegnato nulla ai polacchi. Proviamo a riassumere senza troppi spoiler: come sapete, Massimo non fa il commercialista di professione ma guida una banda criminale mafiosa. Il boss rivale vuole però prendersi tutt’ chell che è suo, e così viola il “patto di non aggressione” (sul serio, dicono proprio così) e tenta di piegare Massimo rompendo il suo idillio d’amore. Ma mica ammazza Laura. Semplicemente fa un’operazione in pieno stile Uomini e donne (forse vedono più quello, in Polonia, che Gomorra) il cui scopo ancora ci sfugge. In mezzo comunque ci sono un aitante giardiniere (ma anche surfista, modello, mezzo gangster, pugile e sosia giovane di Morrone) di nome Nacho, alias Simone Susinna. E pure il gemello di Massimo: interpretato da Morrone, of course.

Ecco, questo forse è l’aspetto più epico e imbarazzante di 365 giorni – Adesso: la prova attoriale di Morrone in stile Orphan Black. Il nostro ce la mette tutta: addirittura accetta di farsi spettinare (per sembrare più brutto, ovvio) perché questa è la sua occasione di dimostrare che oltre gli addominali c’è di più. Bisogna osare. Deve farlo. Può farcela. Risultato: quando si cala nei panni del gemello, Morrone si incarta in una serie di smorfiette labiali sincopate, e il tuo pensiero fisso è uno solo, ossia “Ma ha un tic nervoso?”. La domanda diventa sempre più assillante, e cresce, cresce sempre di più, fino a farti ignorare tutto il resto: bicipiti, six pack, pettorali al vento e persino il finale (occhio allo spoiler). Ebbene sì: Laura cade ferita per terra, in una pozza di sangue, potrebbe essere morta o forse no, in fondo c’è un terzo film di mezzo, ma tu continui solo a chiederti una cosa sola. E cioè: “Ma quello era un tic nervoso?”.