La politica occidentale insegue i social: la tirannia cinese trionfa | Rolling Stone Italia
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La politica occidentale insegue i social: la tirannia cinese trionfa

Mentre i governi occidentali perdono autorevolezza e diventano succubi dei like, gli utenti, con la loro isteria volatile e volubile, inneggiano alle meraviglie della dittatura. Naturalmente, attraverso i social che in Cina sono vietati

La politica occidentale insegue i social: la tirannia cinese trionfa

Un gruppo di medici di Jiangsu festeggia dopo aver lasciato Wuhan

Foto: STR/AFP via Getty Images

Pensa a WeChat. Prova a condividere un articolo del New York Times che parla male del governo cinese. Se scrivi “Xi Jinping merda” a qualcuno che vive in Cina, nel migliore dei casi ti chiederà di richiamare il messaggio. Il Partito sorveglia le interazioni di quel social, su cui si basa buona parte della vita cinese: pagamenti al ristorante e nei negozi, bollette, corteggiamenti via chat e narcisismi via selfie, ordini online. Tanto che pare WeChat abbia un ruolo determinante per la profilazione del buon cittadino nel “Sistema di credito sociale”: in base ai punti accumulati comprando pannolini per i figli, per esempio, o persi comprando superalcolici per se stesso, un cittadino può o non può accedere a determinati servizi, godere di determinati diritti.

L’impressione che abbiamo ricevuto a Occidente è che, scoppiata l’emergenza, nonostante occultamenti e tentennamenti, il governo della Repubblica Popolare abbia deciso in totale e ferma autonomia le misure da prendere. Gli utenti hanno ubbidito. Da qui, l’ammirazione di molti europei per la concretezza cinese. Isolamento reale e assoluto di 60 milioni di persone, ospedali costruiti in pochi giorni, calo dei contagi relativamente veloce, eccetera.

I governi democratici hanno invece dato l’impressione di prendere le loro decisioni a furor di social network. Giuste o sbagliate che fossero – ora non è questo il punto – anche bestie bionde come Boris Johnson e Donald Trump, dopo Giuseppe Conte e Emmanuel Macron, hanno dovuto rimangiarsi la parola, ritrattare, calarsi le braghe, piegarsi in avanti e farsi sodomizzare dagli utenti post dopo post, tweet dopo tweet. Tanto che quelle non sono sembrate davvero loro decisioni. Per lo più dicono di avere ascoltato i pareri della scienza. Balle. La scienza ha sempre parlato e la politica se ne è sempre fottuta quando i pareri scientifici non si conciliavano con la sua visione complessiva. I governi occidentali dicono “medici” ma pensano “utenti”. Se Conte dice “Burioni” in realtà pensa “@farfallina85”. Vi ricordate la storia della democrazia diretta? Eccola qui. Ufficiosa, certo, ma altrettanto pericolosa, suicida e schizofrenica di quanto sarebbe quella ufficiale.

E così il mondo adesso è diviso in due: da una parte la dittatura cinese, dall’altra la social-anarchia occidentale. Non due blocchi come nella guerra fredda, perché ora gli stati della materia sono differenti: da una parte un blocco rosso, dall’altra un gas azzurro. Da una parte un dispotismo che controlla maniacalmente i social, dall’altra una politica svuotata di autorevolezza controllata dai social. Le dirette notturne su Facebook del sabato sera di Conte, la diplomazia a colpi di tweet di Trump, i selfie con scenografia da sitcom di Salvini. L’obiettivo degli esecutivi democratici è accumulare like. Come dovessero vendere banner pubblicitari sul sito www.governo.it.

Il fatto è che la gente – così è fatta da sempre – oggi dà il like a Mussolini, domani lo dà a Togliatti. Più o meno gli stessi utenti che inneggiano alle meraviglie del dispotismo cinese contribuiscono, con la loro isteria volatile e volubile – delatori, invocatori di carri armati, performer da balcone, minacciatori di linciaggi, siamo tutti morti, andrà tutto bene –  a destabilizzare quei governi che vorrebbero più forti. Naturalmente, attraverso i social che in Cina sono vietati. Così come è vietato Google. Ma, se gli esecutivi scendono da pari a pari nell’agone del web, comportandosi come un sito tra gli altri, come un utente tra gli altri, rinunciando alla propria autorevolezza, con le regole del web devono allora fare i conti. E quindi, pensiamo: conta di più una confusa frase di Giuseppi col suo bel ciuffo pettinato a mezzanotte, oppure l’indicizzazione di Google, che, ricercando “coronavirus”, può darti come primo risultato un pezzo dal titolo La peste del secolo oppure un altro dal titolo È solo influenza?

Chi si sente ancora a casa nella libertà occidentale non può non temere che il 2020, più che l’anno in cui sono tragicamente morte 20 mila persone per coronavirus, verrà ricordato come l’anno in cui la tirannia cinese ha definitivamente strappato l’egemonia politica mondiale alle democrazie dell’ovest.

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