La geopolitica delle sneakers e il made in Italy tamarro di Sfera Ebbasta | Rolling Stone Italia
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La geopolitica delle sneakers e il made in Italy tamarro di Sfera Ebbasta

Nella nuova puntata della rubrica/dialogo a due by Robertini & Piccinini per ‘Rolling’: l’ossessione di Future per le borsette, il mistero Rondo da Sosa, le Nike false ai profughi ucraini

La geopolitica delle sneakers e il made in Italy tamarro di Sfera Ebbasta

Sfera Ebbasta nel video di 'Italiano Anthem'

G.R. Sai la novità? Sono stato nel videoclip di Rondo da Sosa ma alla fine mi hanno tagliato. Spiego: martedì 26 aprile sono passato in bici per il Ticinese e ho visto centinaia di ragazzini che correvano verso il campo da basket, tutti vestiti blu elettrico, anzi blu drill. Erano le riprese per lo street clip di Sturdy, il regista francese William Thomas – un ventenne super hype che ha fatto video per Central Cee e e Niska e per brand come Reebok e Adidas – girava con la sua camera tra il corteo di strada che zompava e twerkava a ritmo. Roba che al confronto la manifestazione del 25 aprile sembrava un film zombie di Romero: il blu drill della bandiera della Nato, i Crips di Gramellini contro i Bloods putiniani di Orsini, il carro del Pd con le canzoni di Frankie Hi Nrg mentre Rondo, a ventiquattr’ore di distanza, si appendeva a un canestro di Piazza Vetra, da sempre laboratorio di sperimentazione della street culture. Qui, dagli anni Settanta a poco tempo fa, è passato di tutto: i movimenti studenteschi, la sinistra extra-parlamentare, i punk, i dark, gli emo, il primo hip hop milanese dei Lordz of Vetra. Poi il reflusso, le cancellate al parco, l’apericena, la chiusura del Bar Rattazzo, i negozietti per lo shopping di moda che cambiano insegna ogni mese, il deserto sociale della movida discount, fine del gioco. Così fino a ieri, la proto banlieu araba di San Siro, la Seven Zoo della gang di Rondo, dalla periferia si è presa il centro, tagliando fuori tutti, pure i boomer come me che in Vetra ci sono cresciuti.

A.P. Pace. Come ti ricordi in Vetra c’ho abitato per un po’. Dalla mia finestra ho visto tirare su l’inutile cancellata del sindaco Formentini e aprire il primo all-you-can-eat orientale del mondo, credo. Ricordo a un certo punto il cambio della guardia giù in strada tra i pusher dell’est e quelli nordafricani che già chiamavano tutti “ziu”. Avantissimi. E questa è stata una grande lezione di geopolitica. Follow the money. Segui la droga. A proposito, l’altro giorno sentivo Italiano Anthem di Sfera Ebbasta, convinto lì per lì che il suo socio Rvssian fosse un rapper russo di cui inutilmente ho aspettato il featuring cirillico. E ci sono rimasto male quando ho capito che era il produttore giamaicano, perché diversamente mi sarebbe tornato tutto. Seguimi. C’è soltanto un popolo che apprezza davvero il made in Italy inteso come catalogo delle nostre peggiori tamarrate. Quel popolo è il popolo russo ricco: straricco, oligarchico, esagerato. Guarda il video: Toto Cotugno, gli spaghetti al pomodoro impiattati da Cannavacciuolo, lo yacht parcheggiato sotto il faraglione di Capri, la Ferrari, le fighe impossibili. Per Sfera Ebbasta è iperrealismo, ma per loro – i russi ricchi – è il paradiso in terra. E adesso metti tutto al passato. I russi per un po’ non si faranno vedere. Bene. Quanto conta nella folle deriva filoputiniana di un parte di questo paese l’incondizionato e credulone amore del russo tamarro per l’Italia? E la montagna di soldi che ha versato nelle casse di discoteche e ristoranti? Ti dirò di più: in Italiano Anthem, sento proprio questa assenza/presenza vertiginosa. E così il pezzo mi sale immediatamente a livelli geopolitici.

G.R. Ma poi l’hai visto il videoclip di Rondo quando firma gli autografi sui pacchetti di spaghetti Barilla? Scusa l’ossessione, ho passato la giornata a cercare info su di lui. A parte il Daspo della Questura per una rissa davanti a una discoteca, una sparatoria di cui sarebbe il mandante (al momento rimane un titolo di giornale) e il trasferimento a Londra, di lui in rete c’è poco. Non fa interviste, se non a un sito inglese che gli chiede di un parere sui capi d’abbigliamento più cool, e un reportage francese sulla scena di San Siro con il socio Vale Pain protagonista. Il resto, il grosso, è fuori dai nostri radar, viaggia nelle Stories, nei dissing, lui in blu e Shiva in rosso come a Los Angeles anni fa, rivalità di quartiere e ormoni adolescenziali col passamontagna. Tutti maschi con marcato immaginario etero, del resto questo è quello che gli/ci rimane: il rap, la guerra e il calcio. Battaglione Azov, baby drill gang e Champions League sui siti pirata, eccolo il nuovo No Future. A proposito di calcio, sono andato sulla pagina Instagram di Radu, il portiere interista della disastrosa papera, puoi immaginare gli insulti. Facciamo un movimento e chiamiamolo Je suis Radu, in difesa del diritto al fallimento, dissiamoci da soli, senza vittimismo, e intasiamo i social: postiamo una nostra foto e sotto ci scriviamo le peggio cose. Chi inizia?

A.P. Lo sai che ho pensato anch’io alla guerra quando ho visto il video di Rondo? Dovevano essere qualcosa di simile le manifestazioni interventiste degli anni ‘13-’14, quelle di cui leggevamo sui libri di scuola, coi futuristi molesti che poi andarono a morire davvero in battaglia al fronte. Per questo e altri motivi vorrei aggiungere anche che il verso di Sfera “morirei per la mia famiglia da vero italiano” è la cosa più incredibile ascoltata negli ultimi tempi. Allora sono andato alla fonte. È uscito il disco di Future I Never Liked You e mi sono messo d’impegno un pomeriggio ad ascoltarlo coi testi di Genius e il dizionario slang, livello di difficoltà filologia bizantina. Future è famoso per affiancare momenti di cedimento tossico alla sua performance fumettistica da maschio alfa, e questo si capisce soprattutto dalla voce roca e spezzata. Lui è “skinny nigger”, magrolino ma con le tasche fuori misura. “Cambio bitches come scarpe da tennis/ amo solo i miei soldi non voglio storie”, però “dopo che abbiamo fatto l’amore/ fammi piangere sulla tua spalla”. Bah. Mi ha colpito l’ossessione per le borsette: “Buy a birk for the bitch/ before I buy her flowers”. Tutti gli analisti della mutua sanno cosa Freud pensava delle borsette come metafora, lo stesso Freud però non immaginava che una Birk di Hermes potesse costare 10.000 euro, né che Chiara Ferragni, per dire, ne possedesse una ventina. Nemmeno io. Da maschio beta forse gamma di sinistra quale sono pensavo che Birk stesse per Birkenstock. Ecco, mi sono già dissato abbastanza.

G.R. Ci sono due notiziole di guerra molto laterali che mi hanno colpito. La prima è il racconto di un soldato ucraino, parlava di quando l’esercito russo ha catturato il suo battaglione: per prima cosa si sono portati via le sneakers di marca che avevano ai piedi, lasciandoli scalzi. La seconda è la donazione da parte delle Forze dell’Ordine italiane di 20000 paia di Nike false ai profughi ucraini: avrebbero dovuto rifornire i mercati rionali del Nord per un fatturato di 1 milione e mezzo e ora invece di essere distrutte verranno donate alla popolazione in guerra. La geopolitica delle sneakers, prossimamente nel vostro talk show di fiducia…

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