Gli americani ci hanno salvato un’altra volta | Rolling Stone Italia
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Gli americani ci hanno salvato un’altra volta

Incastrati com’eravamo in un ventennio di 'Zelig' e 'Colorado', avevamo bisogno della stand up comedy: un salvagente per liberarci dalle grinfie di una comicità oramai superata, tra macchiette e stereotipi

Gli americani ci hanno salvato un’altra volta

Dave Chapelle a New York nel 2017

Dimitrios Kambouris/Getty Images

Sebbene la sua intenzione fosse esclusivamente quella di venderci un catalogo sterminato di intrattenimento in cui farci annegare, l’America di Netflix ha avuto una funzione propedeutica per la comicità italiana svelandoci il mondo della stand-up comedy, ovvero il cabaret ripulito da tutti quegli orpelli farseschi à la Mediaset, un ritorno alle origini in cui un monologhista, in un ambiente intimo (che sia un club o un teatro poco importa, l’intimità deve ritrovarsi nell’attitudine e nel rapporto con il pubblico), torna al suo mestiere: far ridere.

Questa ondata ha permesso, oltre all’emersione di alcuni dei nostri migliori talenti italiani (sulla piattaforma americana trovate gli show di Saverio Raimondo, Edoardo Ferrario, Francesco De Carlo, ma c’è un sottobosco emergente in arrivo), la nascita di un nuovo pubblico che ha desiderio di supportare la nostra scena nei piccoli club che la promuovono, come ad esempio il Ghe Pensi Mi a Milano o il Pierrot Le Fou a Roma. Un ruolo di spicco in questa geografia della risata lo sta avendo Santeria che, in collaborazione con Aguilar Entertainment, sta portando a Milano una seria e credibile programmazione di comedy, ospitando anche artisti stranieri. Proprio per tastare il polso di tutto quanto detto finora, non abbiamo perso occasione per essere presenti all’unica data italiana sold out di Daniel Sloss, uno dei più promettenti comedian internazionali, arrivato alla ribalta mondiale grazie ad una combo di show presenti su Netflix diventati subito dei must-see: Dark e Jigsaw.

Assistere ad una performance di Sloss ci palesa come il dislivello tra la comicità italiana e quella dei pesi massimi anglofoni in questo momento sia ancora abissale. È evidente il differente grado di consapevolezza, di coscienza di sé, di utilizzo della propria fisicità sul palco. Basti osservare lo sconosciuto Kai Humphries (che sta seguendo Sloss negli ultimi tour): ha un altro passo. Non c’è la foga di dover far ridere. Il comico scozzese ha un ritmo che modifica a piacimento, a volte accelerando in una mitragliata di jokes, a volte trascinandoci in lunghi passaggi chiusi da una succosa punchline. È proprio il modo di gestire il tempo e le dinamiche delle battute a dimostrarci che siamo di fronte ad un pro. E ancor più esplicito è il modo di far ridere. Se in Italia rimaniamo ancora predisposti in una certa ricerca della risata facile, attenendoci ai macro-temi a noi tanto cari come campanilismo e sesso, qui notiamo la voglia di aprire ad un discorso più ampio, non oppresso nei confini di una geografia autoriferita.

Sloss non parla praticamente mai di Scozia e Inghilterra (quante battute sulla Brexit avrebbe potuto fare?), ma indaga i temi della mascolinità tossica e dell’educazione sessuale, come in passato quelli delle relazioni umane e dei lutti familiari, senza mai cadere nella trappola del trash o del pressapochismo. In questi monologhi è presente un messaggio implicito che si sviluppa battuta dopo battuta conducendo il pubblico ad una messa in discussione di sé. Come insegnano maestri come Ricky Gervais, la comicità ha la capacità di costruire architetture di significati, fermarsi ai primi strati di superficie è uno spreco. La risata che ci mette in discussione fa un doppio lavoro, ancor più utile in un periodo storico in cui tendiamo ad essere così ciecamente ancorati alle nostre idee e ai nostri punti di vista. Per questo Sloss viene a prenderci proprio nel quotidiano, un po’ per quel suo sadismo nel vederci in difficoltà su alcuni temi, un po’ per quella voglia di smuoverci la sedia sotto al culo.

Di particolare interesse è stato notare come il pubblico italiano si stia abituando ad apprezzare performance in lingua anglofona, aprendosi così alla conoscenza di culture non tradotte e non mediate. Sloss e la platea dialogano, si cercano, si punzecchiano. E così il lavoro propedeutico della comicità si sviluppa a più livelli, diventando una zona di confronto di punti di vista inediti, un luogo dove mettiamo in discussione le nostre convinzioni scoprendo nuovi angoli di noi stessi. Perché quella sedia sotto al culo si muove con una certa violenza.

La stand-up comedy funziona perché oltre a farci ridere, ci imbarazza. E questo imbarazzo ci aiuta a spingere più in là i confini del nostro pensare. E quando una società inizia a non prendersi così dannatamente sul serio significa che è una società sana. E noi abbiamo bisogno di ritrovare questa sanità e per questo speriamo nel futuro della stand up. Se dobbiamo andare incontro alla fine del mondo, tanto vale farlo ridendo. Magari ad uno show di Daniel Sloss.