Elogio della vigliaccheria, l’unico baluardo contro le carneficine | Rolling Stone Italia
Società

Come il leone da tastiera è diventato massa

I social network hanno reso solo più evidente la natura bestiale della gente. Un primo attacco sotto un post, poi un altro, e a quel punto è finita: gli individui cominciano a sentirsi impunibili

Come il leone da tastiera è diventato massa

Foto IPA

Se le dinamiche dei social network si trasferissero nella realtà, la vita quotidiana si trasformerebbe in uno splatter. Per fortuna la massa, oltre che stupida e violenta, è miracolosamente vigliacca. Anzi, la vigliaccheria è la qualità migliore che possieda. Andrebbe insegnata a scuola. Due ore settimanali dedicate al vaglio delle possibili conseguenze nefaste di uno scontro frontale: sbattere la testa sul marciapiede in una scazzottata, sostenere lo sguardo di qualcuno a cui stai augurando la morte, ascoltare gli scongiuri di chi ama colui che stai massacrando.

L’insegnante finge di dare una sberla allo scolaro e, se quello si protegge il volto, siamo sulla buona strada. Se poi lo studente sfoga la propria frustrazione appiccicando sulla schiena della maestra un post-it con scritto sopra “crepa, coglione”, allora il ragazzo ha dei numeri: difficile che affronti qualcuno viso a viso. “Bravo, bimbo Gianni: 8 in vigliaccheria! Ora puoi usare il tablet”.

La massa non è diventata peggiore, è sempre stata peggiore. I social network ne hanno reso più evidente la natura bestiale e ne hanno agevolato la formazione in ogni ora e in ogni dove. Un primo attacco sotto un post, poi un altro, poi un altro, poi un altro, e a quel punto è finita: gli individui cominciano a sentirsi massa, diluiti negli altri, impunibili. Gli schermi di migliaia di smartphone in giro per il mondo iniziano a emanare odore di sangue. Tra gli aguzzini si diffonde un senso di fratellanza. Sono uniti da un unico, potentissimo collante: il desiderio di distruzione del nemico comune. Aprono la sua foto profilo, la ingrandiscono, prendono la mira col proprio odio. Che venga licenziato, lasciato dalla moglie, abbandonato dagli amici, che perda qualsiasi fiducia in se stesso, che sparisca – chiedendo scusa per averlo fatto comunque toppo tardi. Perché la causa è buona, è giusta, è inoppugnabile, è santa.

Va da sé che qualsiasi massa sanguinaria si senta depositaria della Giustizia. Le folle che incitavano i comizi di Hitler si sentivano giustissime: noi siamo il bene, l’ebreo è il male. Non esistono sfumature, la massa non può essere ironica. Può essere entusiasta, indifferente o distruttiva. La torta della responsabilità viene tagliata in fette così sottili che qualsiasi coscienza può digerirle. E allora, di fronte alla massa distruttiva, non si possono che fare tre cose: aizzare, bombardare, scappare.

Si dice che chi attacca dalla distanza è un vigliacco. Ecco, smettiamo di dirlo, santo cielo, non aizziamo la massa, che scocchino pure commenti dai loro ufficetti part time, dai loro divani Ikea, dai loro letti matrimoniali con una piazza abbandonata dal coniuge: l’esercito di arcieri può diventare esercito di fanti e poi ce li ritroviamo sotto casa con la scure in mano. Al di là di casi più o meno sporadici, il linciaggio fuor di metafora si verifica di rado. Brava, la mia massa: stay hungry, stay coward. Ma non c’è da crogiolarsi sugli allori, il dolore è il più efficace tonico per il coraggio.

Da quando veniamo al mondo starnazzanti in un lago di lacrime e liquido amniotico non smettiamo di soffrire se non per brevi istanti di amore ed estasi, di sesso, droga e rock and roll. C’è chi soffre di più degli altri per via di un evidente squallore esistenziale: la vita non ha mantenuto le proprie ottimistiche – al limite del cialtronesco – promesse. La qual cosa fa male e, come quando si batte la mano sul tavolo dopo essersi morsi la lingua, il dolore vuole sfogo. Sotto quella mano ci sei tu, individuo. Così è sempre stato e così sempre sarà.

Eppure oggi prendersela con Dio è anacronistico, i governi sono sempre più fluidi e lontani, si ha bisogno di facce a portata di pollice. Per quanto passiamo ore nel cyberspazio, spazio rimane. Non possiamo prescindere dalla corporeità (basti pensare all’importanza per aziende e testate di apparire in alto nelle ricerche su Google). La foto profilo, gli occhi, gli echi di una vita reale, gli interessi, gli amici: ecco che da qualche parte quell’account deve avercelo, un corpo. La massa comincia a salivare, è questo che la gente – stanca di entità astratte, marchi, algoritmi, codici binari, istituzioni impalpabili – cercava. Un volto tutto da massacrare senza sentirne le ossa che si rompono sotto le nocche, senza vedere gli ematomi che si allargano, senza rischiare rappresaglie e contrattacchi fisici.

Il piacere per l’altrui morte supera tutt’ora raramente la paura per la propria morte: dio benedica la vigliaccheria. Chissà se questa qualità benedetta basterà a salvarci dal massacro, ora che stiamo armando legalmente lo stesso esercito dei commentatori di Facebook.

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