E se domani Salvini assicurasse di essere una donna? | Rolling Stone Italia
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E se domani Salvini assicurasse di essere una donna?

E se dopo aver indossato felpe di ogni regione, città, frazione, azienda e impresa, il leader della Lega decidesse di conquistare l'elettorato femminile con una mossa a sorpresa?

E se domani Salvini assicurasse di essere una donna?

Matteo Salvini

Foto: Getty Images

Ogni riferimento a persone e fatti reali è moderatamente casuale.

Una sera Matteo Salvini, sdraiato accanto alla compagna, per addormentarsi legge sul tablet un paio di articoli: uno sulla proposta del governo britannico di autorizzare le persone a identificarsi come uomini o donne in base alla loro preferenza personale, e non al loro sesso biologico né a una qualsiasi certificazione medica; un altro secondo cui la Lega, a differenza del PD, è molto più forte tra gli uomini che tra le donne. Poi cade in un sonno tormentato.

E così, dopo aver indossato felpe di ogni regione, città, frazione, arma, azienda, impresa, singola partita IVA (nome a destra della cerniera, cognome a sinistra), dopo aver imitato, in Emilia, Andrea Roncato con l’osso buco incastrato tra i denti del giudizio, si sveglia nel cuore della notte con un’idea: “Io sono una donna!”

“Matteo, svegliati”, lo scuote la compagna.
“Lo sono, sveglia”, lui (che d’ora in poi sarà lei) accende la luce. Passato qualche secondo, la compagna dice: “No, te lo assicuro, non sei diventato donna”, si schiarisce la voce. “Noi siamo fatte in un altro modo”.

“Non fare la maestrina. Di questo passo voterai PD”.

“D’accordo, ma quantomeno dovrai raderti”.

“Il tuo amore per me è una questione di estetista?”

“Ma no, che c’entra, è che io voglio…”

“Tu vuoi, tu vuoi… non fare il marito patriarcale” dice Matteo.

Il giorno successivo tiene un comizio a Lubballone sul Poncio. Tra la folla di leghisti, qualche gruppetto di contestatori. Con Matteo, sul palco, il sindaco. A un certo punto Salvini dice: “Quando sono stata…”

“Stato” lo corregge il sindaco, ridacchiando.

“Stata” ripete Salvini. “Io sono una donna”.

Il sindaco rimane con un ghigno ebete.

“Salvini bugiardo”, urla una contestatrice femminista.

Matteo si rivolge a un manipolo LGBT che tiene alto lo striscione: L’IDENTITÀ DI GENERE È UNA LIBERA SCELTA.

“Sentito?”, Salvini indica le femministe al manipolo LGBT. “Queste qui impediscono l’autodeterminazione del mio genere”.

“Però nella targhetta su quel tavolo c’è scritto Matteo”, dice un transessuale.

“Adesso, per una “o”, non posso essere me stessa” fa Salvini.

Il sindaco dice: “In effetti, esiste pure Consuelo”.

“Troppo comodo dichiararsi donna a cinquant’anni”, dice una femminista. “Dopo aver conquistato il potere”.

“Ma io sono sempre stata donna” sospira Salvini. “Però ho trovato solo ora il coraggio di sfidare i pregiudizi del patriarcato”.

Il pubblico è confuso. Dapprima tace, poi montano qua fischi, là applausi. Approvazione e indignazione si dividono equamente tra leghisti e antileghisti. Partono grida, accendini, reggiseni, un assorbente: “Mettiti questo allora” urla qualcuno.

La sera stessa, Matteo accetta di partecipare a un talk show su La7.

Con Salvini, oltre al conduttore, due giornalisti e uno psicologo.

I due giornalisti ripetono che quella di Salvini è una trovata disgustosa, l’ennesima e la peggiore.

“Bella forza”, dice Matteo, barbuta, in jeans e maniche di camicia, “i telespettatori a casa lo vedono che siete quattro maschi contro una singola donna”.

“Ma in che cosa consiste il suo essere donna, mi perdoni?” chiede lo psicologo.

“E in cosa mai dovrebbe consistere?” fa la Salvini.

“Non so” indugia lo psicologo, “beh, per dire, ha mai avuto un ciclo mestruale?”

“Eccoci qui” dice la Matteo, “adesso direte che Salvini è umorale, che non fa abbastanza sesso”, intanto conta con le dita, “che usa il suo corpo per fare carriera”.

“No, questo proprio no”, ride un giornalista dopo averlo misurato dalla punta delle sneaker taglia 44 a quella del mento irsuto.

“Perché sono una cessa?”, fa la leader leghista, “Avanti, lo dica, tanto gli italiani l’hanno capito che state già toccando il fondo del maschilismo”.

“Sì, lei è una cessa dentro e fuori” sbotta l’altro giornalista. “Ma non si fa schifo?”

Salvini attacca a piagnucolare, tira fuori un fazzoletto e si copre il volto.

“Tutto bene?” fa il conduttore.

“Sì, grazie, è che, sa, sono in quel periodo del mese…”

“Ma come?” salta su lo psicologo.

“Che c’è?” Matteo si ricompone. “Io sono una donna, io posso ironizzare sulla minoranza a cui appartengo”. E, intanto, digita qualcosa al cellulare. In pochi secondi, sui suoi profili social compaiono diversi post: “Il cambiamento fa paura”, “Viva l’Occidente, viva la libertà”, “È per difendere quelle come noi che combatto l’invasione islamica!”, ecc.

Subito si accumulano decine di migliaia di commenti, like, condivisioni.

“Avranno diritto a una famiglia anche quelle come me?”, dice la Matteo Salvini. “Ecco, la mia famiglia è il popolo italiano, sento tanto calore intorno a me”.

I due giornalisti abbandonano la trasmissione.

Lo psicologo, con fare pensoso, dice: “Però, almeno, lei ce la deve dare, una prova del suo cambiamento di genere”.

Salvini, che stava per inviare a Morisi la bozza del sesto post dall’inizio della trasmissione, dice allo psicologo: “D’accordo”. E chiude il messaggio a Morisi, invece che con “bacioni”, con “bacini”. Informa lo studio della sua trovata lessicale. “Vedete?”, col cellulare in mano mostra il nuovo post di Facebook alla telecamera, “è già abbastanza: più di così non intendo snaturarmi”.

“In effetti, la sostituzione di un accrescitivo con un diminutivo”, lo psicologo si massaggia la fronte, “è un primo passo verso la sublimazione, di cui il dibattito pubblico avrebbe bisogno come dell’acqua, della violenza in gentilezza, dell’arroganza in modestia”.

Salvini si alza e, piangendo, abbraccia forte lo psicologo, e poi il conduttore fino a inumidirgli di lacrime le spalle della camicia bianca.

Il giorno dopo, per i sondaggi la Lega schizza al 43% e Matteo, che è comunque donna emancipata, invita al ristorante il marito, nonostante i retaggi patriarcali di quest’ultimo, per festeggiare a champagne e lume di candela.

Anche se la bottiglia rimane piena nel cestello del ghiaccio perché nessuno dei due, dopo aver guardato di sottecchi i clienti dei tavoli vicini, si decide a versarlo a se stesso o all’altro, la serata fila che è una bellezza. E però, al momento di uscire dal ristorante, con tutti gli occhi del locale puntati addosso, chi deve spalancare la porta e cedere il passo? Da quanto ci risulta, la coppia è ancora lì impalata sulla soglia.

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