Carlo Freccero: «Capire l'uomo guardando lo zombie» | Rolling Stone Italia
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Carlo Freccero: «Capire l’uomo guardando lo zombie»

"In The Walking Dead non si usa mai il termine zombie, ma definizioni come: ambulante, che cammina, che si sposta. In sintesi, migrante." Da Pop Culture, la rubrica di Carlo Freccero

Carlo Freccero: «Capire l’uomo guardando lo zombie»

Se non parti in viaggio, le feste finiscono per essere una trappola claustrofobica, per cui sei bloccato agli arresti domiciliari con l’unico diritto/dovere di coltivare rapporti familiari, consumando insieme le specialità tipiche.

Io mi sono procurato una via di fuga facendo ricorso alla risorsa della fiction: una bella maratona di serie americane, consumabile a domicilio, ma comunque capace di generare un senso di straniamento totale. La maratona è una total immersion, che ci permette di avere uno sguardo diverso sulla fiction. Prendiamo l’oggetto della mia maratona: The Walking Dead. Avevo già visto, distrattamente, alcuni episodi e non avevo trovato niente di interessante. Solo la maratona ne ha restituito il senso. Ho letto anche alcune critiche. La serie avrebbe ormai raggiunto una noia totale, perché costruita su una trama che non conosce evoluzione: ma proprio qui sta la forza della serie.

The Walking Dead nasce come serie nel 2010 e da allora non ha fatto che crescere. Un successo di questo tipo parla da solo: l’identificazione del pubblico, la sua trasformazione in fan club nasce da un processo che può verificarsi soltanto quando la fiction intercetta lo spirito del tempo. Il senso di accerchiamento, di insicurezza, che caratterizza i protagonisti della serie senza alcuna speranza di salvezza, è lo stesso senso di ineluttabile scoraggiamento, accerchiamento, che la crisi economica ha prodotto in tutti noi. Nel 2008 la crisi ci è stata presentata come un evento temporaneo, una fase di correzione dell’economia che andava sopportata in attesa di una più o meno rapida soluzione. Quella che viviamo da troppo tempo è invece una mutazione genetica delle nostre condizioni di vita. Come in The Walking Dead.

C’è un’epidemia e i più ingenui, come il ricercatore medico e il veterinario, pensano, almeno agli inizi, a qualcosa di reversibile con i progressi della scienza, ma attenzione. In Romero l’epidemia si diffonde con il morso. Sino a che non si trasforma in zombie, l’uomo, il personaggio, conserva la sua umanità, la sua alterità rispetto al male. In The Walking Dead il contagio è precedente al morso e alla morte conseguente. L’epidemia ha cambiato radicalmente tutti, e gli ultimi umani non sono che portatori sani di una mostruosità che si paleserà con la morte. Questo capovolge le cose da subito. Non si tratta di un’epidemia, ma di una sorta di mutazione genetica per cui, come dalla scimmia è scaturito l’uomo, dall’uomo scaturisce un essere non umano. È la fine dell’umanità. E di tutto quell’apparato di valori e di diritti umani che hanno caratterizzato l’Umanesimo. C’è l’ex avvocato dei diritti umani, Andrea, che si reinventa come killer. E ci sono i personaggi più anziani, Dale e il veterinario Hershel Greene, che non credono di poter continuare a vivere in un mondo non umano. Dale crede che l’umanità consista nel rispetto, nonostante tutto, delle fondamentali regole morali. Hershel rimpiange la sua fattoria, ultima isola felice in un mondo in cui i valori borghesi come l’estetica, le buone maniere, il decoro non hanno più senso. Estinto l’uomo o almeno il concetto umanistico di discontinuità nei confronti del mondo animale, si regredisce in una dimensione precontrattuale, a uno scenario da “homo homini lupus”. L’unico scopo della vita diventa la sopravvivenza. L’unico valore riconosciuto, la sicurezza. L’unica casa sicura, il carcere.

I personaggi di The Walking Dead ci coinvolgono perché parlano di noi, del destino dell’uomo occidentale. Solo per noi l’uomo è stato a lungo il centro dell’universo. La postmodernità prima e la globalizzazione poi hanno fatto giustizia sommaria di questa concezione, dei nostri valori, dei nostri stili di vita. Attribuiamo questa perdita alla contaminazione culturale che le migrazioni ci hanno imposto. Per il resto dell’umanità l’uomo è nulla, rispetto a Dio e alle forze della natura. E il male arriva sempre da fuori. In The Walking Dead non si usa mai il termine zombie, ma definizioni come: ambulante, che cammina, che si sposta. In sintesi, migrante. Un’orda migrante che travolge la civiltà. Ma The Walking Dead va più in profondità rispetto alla mitologia dei vari nazionalismi e leghismi. Gli zombie sono l’altro, ma sono anche noi. Non vengono dall’esterno, sono solo la completa metamorfosi di noi stessi, l’esternalizzazione di quella mutazione interiore che ha distrutto la nostra umanità.

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