Aperto nel 1965 al 213 di Park Avenue da Mickey Ruskin, figlio di un avvocato che evidentemente alla legge preferiva di gran lunga i fuorilegge, il Max's Kansas City era l'epicentro della vita notturna artistoide: ci passavano Andy Warhol con tutta la sua corte, Mick Jagger, Janis Joplin, John Waters, Oliviero Toscani, Salvador Dalì...
E poi, dal 1972 all'81 ci hanno suonato Alice Cooper, Velvet Underground, Bruce Springsteen, Manhattan Transfer, Wayne County, Ramones, New York Dolls, Iggy Pop... Insomma, era il classico posto dove la cocaina imbiancava la faccia e i brillantini intasavano le narici.
Bruce Springsteen - "Henry Boy & Growin Up"
(Max's Kansas City, NY 1972)
Promiscuità ed eccessi à go go, sul menu i drink avevano i nomi delle band newyorkesi: The Fast costava 2 dollari e 50 centesimi, tequila e via! 20 dollari invece per un Patti Smith: champagne e stout, bibita che – stando alla descrizione del menu – ha sempre eccitato i poeti.
Frustino, mascherina e stivaloni con i tacchi a spillo. Questo c'era sulla copertina del libro che ha ispirato i Velvet Underground, il nome della band arriva da lì. E chi se ne frega della pace e dell'amore, evviva la decadenza e il nichilismo
Una loro canzone straziante si chiama "Heroin" e ha un verso che descrive minuziosamente l'ingresso trionfale dell'ago in vena.
Il titolo di un altro loro pezzo non propriamente brioso è "Venus in Furs" ed è un tributo, appunto, al sado-masochismo.
All'inizio della loro carriera, intorno alla metà degli anni Sessanta,
Lou Reed e i Velvet Underground suonavano al Cafe Bizarre, un locale del Greenwich Village,
ma non c'entravano niente con i cantautori folk simil "A proposito di Davis" che li circondavano.
Hanno avuto la fortuna di ritrovarsi tra il proprio pubblico Andy Warhol,
che (sotto consiglio del suo braccio destro Paul Morrissey, convinto che il rock&roll fosse
una potenziale fonte di buon guadagno) ha spalancato loro le porte della sua Factory a Midtown Manhattan,
mettendoli assieme a quella bella stangona di Nico e trasformandoli così in una performance di arte psichedelica,
ossia l'Exploding Plastic Inevitable.
Poi, nel marzo del 1967, è uscito "The Velvet Underground & Nico", l'album con in copertina la banana da sbucciare con estrema cura.
Ebbene sì, a quanto pare ai primi concerti dei New York Dolls al Mercer Arts Center c'erano manifestazioni di gay e lesbiche contro i travestiti che si esibivano sui palchi di quel teatro, ovvero Wayne County, Magic Tramps e, loro, i New York Dolls.
Mondo davvero bizzarro.
I New York Dolls sono forse il gruppo più figo e sfigato della storia della musica rock.
Suonavano fondamentalmente come i Rolling Stones, però vestiti da mignotte
pur non essendo omosessuali (o, almeno, non tutti lo erano).
Ai loro concerti – sia quelli al Mercer Arts Center dove erano resident band che al Max's Kansas City –
si presentavano tutti, e tutti puntualmente rimanevano a bocca aperta,
anche David Bowie e i futuri Kiss che tanto, forse tutto, devono a loro.
New York Dolls - "Chatterbox"
(Club 82, NY 1973)
Dove sta la sfiga dunque?
Che al primo tour oltre-oceano, nel 1972 in Inghilterra, hanno perso il primo batterista Billy Murcia.
Causa del decesso: overdose accidentale.
David Johansen, Johnny Thunders, Arthur Killer Kane, Sylvain Sylvain e il sostituto di Murcia, Jerry Nolan,
hanno pubblicato due album epocali prima di implodere, schiacciati tanto dal peso di Malcolm McLaren
- che aveva provato a fare con loro quel che poi fece effettivamente con i Sex Pistols –
quanto dall'abuso di qualsiasi cosa.
Presente la foto di John Lennon a braccia incrociate con la t-shirt New York City? Bene, è una delle tante immagini – sì, iconiche – scattate da Bob Gruen, il fotografo rock per eccellenza, come lui nessun altro.
Newyorkese, classe 1945, Gruen ha reso immortali tutto e tutti, catturando immagini live e stralci di vita quotidiana di rock star e outsider: Elton John al Filmore East di NY City nel 1971, Elvis a New York nel 1972, i Rolling Stones al Madison Square Garden nello stesso anno e pure tre anni dopo, lo sbarco a NY dell'aereo dei Led Zeppelin nel 73 e Bowie nel 1974, sul palco del Madison Square Garden con i guantoni da boxe...
Ma Bob Gruen, oltre a essere per esempio il fotografo della copertina del secondo album dei New York Dolls oppure di quella di "Dressed to Kill" dei Kiss, è colui che ha tramandato ai posteri momenti di giubilo e perdizione all'interno e all'esterno di Max Kansas City e CBGB.
"Danny says we gotta go..." cantavano i Ramones nella canzone che hanno dedicato a Danny Fields, giornalista / talent-scout / manager / fotografo senza il quale – forse, chissà?!? – il mondo mai avrebbe conosciuto gruppi come Stooges ed Mc5.
Classe 1939, newyorkese, Fields sapeva giocare con i media e le pop star, aveva fiuto: pare ci abbia messo del suo nel pompare la dichiarazione di John Lennon
relativa ai Beatles "più famosi di Gesù" e sicuramente ha contribuito all'esplosione dell'immagine di Jim Morrison tra i teenager americani della fine degli anni Sessanta.
Frequentava il giro della Factory di Warhol , era sempre presente al Max's Kansas City, dichiaratamente gay in un'epoca in cui non era proprio all'ordine del giorno fare coming out.
È Fields che ha scoperto e messo sotto contratto con l'etichetta Elektra gli Stooges di Iggy Pop e gli Mc5 (25mila dollari in totale per le due band),
è Fields che ha aiutato i Ramones a ottenere il loro primo contratto discografico con la Sire Records, diventando poi il loro manager.
Grazie di cuore.
Leggenda vuole che il cesso del CBGB abbia fatto da sfondo a incontri focosi tra Debbie Harry e Chris Stein. Bene, Stein ha smentito categoricamente sottolineando quanto facesse schifo quel bagno, tanto da stargli lontano il più possibile. Uno schifo più unico che raro: per la mostra "Punk: Chaos to Couture" allestita nel 2013 al Metropolitan Museum of Art di New York, infatti, quel wc putrido è stato riprodotto tale e quale, ne hanno fatto insomma un'opera d'arte.
Il CBGB (sigla che significa "Country, Blue Grass, Blues and Other Music for Uplifting Gormandizers") era un bar zozzo al civico 315 della Bowery, all'epoca una zona frequentata da gente tanto freak e poco chic; lo teneva in piedi la buonanima di Hilly Kristal, un uomo che ha dato fiducia a gruppi come Ramones e Dead Boys, facendo nascere in casa propria il punk rock. Dalla metà degli anni Settanta fino alla chiusura del locale nel 2006, ci ha suonato chiunque: Television, Patti Smith Group, Ac/Dc, Cramps, Jam...
Oggi, al posto del CBGB, c'è una boutique di John Varvatos, stilista che ha particolarmente a cuore la tradizione rock&roll. A tal proposito, prima di storcere il naso e lamentarvi della moda che usurpa la musica di strada, pensate a che fine hanno fatto club storici italiani come il Rolling Stone o il Rainbow di Milano: schiacciati sotto il peso di anonimi palazzi.
Il 15 agosto 1965, al concerto dei Beatles allo Shea Stadium di New York c'erano 55.600 persone,
tra cui un ragazzo che si era portato un sacchetto di pietre da lanciare addosso a John, Paul, Ringo e George.
Purtroppo per lui (e per fortuna loro) era troppo lontano per beccare il gruppo sul palco, così fu costretto a guardarsi i Beatles
con i sassi sotto la giacca. Rullo di tamburi, one, two, three, four: quel ragazzo era Johnny Ramone.
Nove anni dopo, il 16 agosto 1974, i Ramones hanno suonato per la prima volta al CBGB, il primo di 2263 concerti fatti di sonore sassate
sparate una dietro l'altra in faccia al pubblico, senza tregua alcuna. Johnny, Joey, Dee Dee e Tommy erano prima di tutto fan del rock&roll
e quello che hanno fatto non è stato altro che ridurre ai minimi termini la loro musica preferita degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta,
suonandola al doppio della velocità: 100, 120, 140 all'ora e poi sempre più veloci – impeccabili, i numeri 1 - fino all'ultimo concerto del 6 agosto 1996.
Gabba Gabba Hey!
Da bambina, Debbie Harry era convinta di essere figlia di Marilyn Monroe e sarebbe veramente pazzesco se fosse vero, ma vero ahinoi non è. Fatto sta che Debbie Harry è a tutti gli effetti la prima donna del punk rock, la prima donna della new wave, la prima donna di New York, sogno erotico dei maschietti a ogni latitudine.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta faceva la coniglietta al Playboy Club di Manhattan, è stata cameriera del Max's Kansas City, corista in un gruppo folk – The Wind in the Willows - e poi membro delle Stilettos, prima del grande salto nello stardom con i Blondie, band formata con il fidanzato e ormai ex marito Chris Stein (tra le altre cose, collaboratore del giornalista Glenn O'Brien ai tempi di TV Party, un programma televisivo trasmesso via cavo a New York tra il 1978 e l'82).
I Blondie sono il gruppo pop punk ante-litteram, capaci di fare da collante tra la scena rock&roll del CBGB e la nascente scena disco dello Studio 54; e la loro voce, la loro immagine - Debbie Harry - è un unico, pazzesco trionfo di stile e sostanza.
Quell'insegna verticale aggrappata ai mattoni rossi è un simbolo del degenero newyorkese tanto quanto il tendone del CBGB. Davvero, all'Hotel Chelsea – indirizzo: 222 West 23rd Street – ci hanno soggiornato – ché di dormire non se ne parlava proprio – praticamente tutti: Ginsberg, Kerouac, Bukowski... Inserite un nome a vostro piacimento.
Tra gli ospiti di questo albergo c'è stata anche Valerie Solanas, la femminista che sparò a Andy Warhol, che a sua volta – proprio qui, nel 1966 – aveva ambientato uno dei suoi film, "Chelsea Girls", con Nico, Brigid Berlin, Ingrid Superstar... Sì, è qui che Bob Dylan ha scritto "Blonde on Blonde" ed è sempre qui che Leonard Cohen ha rimorchiato Janis Joplin, ma è soprattutto qui che Sid Vicious ha ammazzato la sua fidanzata Nancy Spungen, era il 12 ottobre 1978
Il Chelsea era un porto di mare e in quel periodo, tra i clienti dell'albergo, c'era anche Alejandro Escovedo,
che ha scritto una canzone sulla sua esperienza in quelle stanze: "Chelsea Hotel '78".
“We came to live inside the myth of everything we heard... We know they found Nancy in her black underwear dead on the bathroom floor”.
La fine di un'era.