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Caterina Malavenda
Lorenzo Puglisi

Caterina Malavenda
Lorenzo Puglisi

  • L'avvocato Caterina Malavenda, esperta di diritto dell’informazione e della comunicazione, ci aiuta a capire perché di fronte a certi meccanismi i giornalisti querelati, al di là dell'esito del processo, rischiano di rimetterci, e non poco, in termini economici:
  • La questione è prevalentemente tecnica, ma serve a mettere a fuoco il tema. Una prima grande distinzione passa dal tipo di causa che viene intentata. Per le cause penali, infatti, il codice penale prevede che l'imputato possa essere rimborsato e avere un risarcimento esclusivamente se viene assolto con una delle seguenti due formule 'il fatto non sussiste' o 'il fatto non è stato commesso; purtroppo per una questione procedurale il giornalista chiamato a rispondere di diffamazione può venire assolto soltanto con la formula “il fatto non costituisce reato”, ma questa è una formula che esclude il rimborso delle spese legali e il risarcimento per processo ingiusto. In pratica il cronista anche se assolto, in un processo penale per diffamazione, deve sobbarcarsi tutte le spese: non c'è alternativa. Come si può bypassare un simile paradosso: L'unica soluzione è un intervento legislativo che modifichi la norma in questione.
  • Per le cause civili cambia qualcosa?
  • Sì. Se il giudice stabilisce che c'è stata querela temeraria, il querelante può essere condannato a pagare un risarcimento in via equitativa. E, anche se non c'è querela temeraria, c'è un'indennità più bassa che permette perlomeno di recuperare le spese sostenute.
IL CRONISTA
anche se assolto, in un processo penale per diffamazione,
DEVE SOBBARCARSI
TUTTE LE SPESE
  • Almeno in questo caso il giornalista può tirare un sospiro di sollievo...
  • Fino a un certo punto. Spesso quei soldi non si riescono comunque a recuperare perché la parte soccombente non paga e magari non è neppure pignorabile. Il caso di Formigoni è celebre: non paga le spese delle cause che perde, ma è impignorabile a causa di una legge del 1965, che sancisce l’impignorabilità dello stipendio di un parlamentare.
  • Insomma, non esistono forme di tutela capaci di proteggere economicamente i giornalisti colpiti da questo tipo di querele?
  • Un mezzo ci sarebbe: cambiare la legge. Imporre a chi intenta cause civili di depositare in un libretto a garanzia una cifra proporzionata al risarcimento richiesto. Cifra che sarebbe incassata dal querelato eventualmente riconosciuto non colpevole.
  • Non si rischia a quel punto che i meno abbienti non possano più permettersi di fare causa per tutelare i propri diritti?
  • In quel caso è previsto un patrocinio a spese dello stato.
  • Ma a quanto possono ammontare le spese per un querelato? Ce lo spiega l'avvocato Lorenzo Puglisi:
  • Difendersi sotto il profilo giudiziario da un’accusa di diffamazione può riservare percorsi molto diversi tra loro. La scelta da parte dell’imputato di un rito alternativo, ad esempio, detta tempistiche e oneri molto piú celeri del più classico procedimento dibattimentale che vanno inevitabilmente a incidere sulla quantificazione degli onorari degli avvocati. Il Decreto Ministeriale 55/2014 detta i criteri per il calcolo dei compensi forensi che, alla luce dei valori medi, corrispondono a 3.500 euro per il primo grado, 4.000 euro per l’appello e 6.000 euro per l’ultimo giudizio in Cassazione. Questo significa che, prima del passaggio in giudicato della sentenza (sempre che la Suprema Corte non cassi con rinvio la pronuncia della Corte d’Appello aumentando conseguentemente i gradi del procedimento), un cittadino sul banco degli imputati potrebbe spendere una cifra vicina ai 15.000 euro. Senza considerare, peraltro, che ciascun difensore alla luce della complessità della causa potrebbe far lievitare i predetti importi in misura “quasi” indefinita.
  • intervista di Matteo Grandi
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