Un'analisi seria del testo della canzone di Angela da Mondello | Rolling Stone Italia
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Un’analisi seria del testo della canzone di Angela da Mondello

Angela è i nostri capi azienda negazionisti per convenienza, è i nostri amministratori locali con la mascherina sotto il naso, è i nostri figli e fratelli movidaioli: siamo tutti noi

Un’analisi seria del testo della canzone di Angela da Mondello

Il brano Non c’è n’è di Noseal, Niklaus, Johnny F. feat Angela Chianello, pubblicato solo ieri su YouTube, ha già contribuito significativamente alla ridefinizione di un possibile manifesto politico dell’anno corrente. La negazione del Coviddi è essa stessa il Coviddi? Da un punto di vista strettamente clinico, la risposta è probabilmente sì. Da un punto di vista poetico, forse non tutto il negazionismo viene per nuocere gravemente alla salute, se non altro mentale. Infatti, ascoltando attentamente il pezzo, dopo averlo sbobinato grazie ai nostri contatti nei peggiori bar di Brancaccio-Ciaculli, emerge come Angela da Mondello, volente o nolente, finisca per impartirci almeno una lezione.

La postura, il lessico e la seconda persona singolare usate da Angela nella strofa d’apertura (“Ti farò vedere un po’ come si vola”) ci calano subito in una dimensione di stampo cuccarinista, seppure evidentemente deviata. Il videoclip de La notte vola fu epocale per la storia della televisione italiana e per l’evoluzione culturale dei suoi spettatori. Lorella Cuccarini vi abitava idealmente una cameretta d’infanzia, dipinta di bianco come il suo abito, piena di giocattoli, presa nell’attimo di diventare quella di un semiadulto atto ad ambire un nuovo tipo di gioco, un po’ come in Toy Story quando Woody deve passare il testimone a Buzz, solo che Buzz era biondo e dimenava la chioma a suon di musiche composte da Marco Salvati e Beppe Vessicchio.

Angela sta all’annus horribilis 2020 come Lorella sta al 1989, anno Ottanta ancora pieno di illusioni destinate a essere tristemente perdute, ma allora ancora salde nella mente degli italiani. Non siamo più semiadulti: siamo tornati bambini, con priorità e linguaggio infantili. Al pari di Lorella, Angela vuole essere una guida, e ci propone di seguirla (“Vieni con me in questo magico viaggio”). Solo, invece che verso un paradiso possibile, oltre le soglie di un inferno garantito. Se, nel 1989, i nostri desideri più riposti (beata innocenza!) assumevano la forma di una fanciulla ben coreografata, su Canale 5; oggi, su YouTube, non possono che prendere le sembianze della signora Chianello, mini matrona diabolica dal patrimonio valoriale sovvertito, fuori sincrono e fuori tempo (“Tre metri sopra il cielo / Come Scamarcio”): una specie di figura mitologica metà Borat e metà vittima delle candid di Borat, ma senza l’intenzionalità dell’uno e l’interesse socio-culturale dell’altra.

Noseal, Niklaus, Johnny F. si alternano ad Angela nel canto. Sono tre fiere che non hanno la missione dantesca di ostacolare la via alla salvezza, ma di favorire quella della perdizione. I tre rapper sono altrettanti segmenti di italiani cui Angela, celebre non tanto per meriti suoi, quanto per colpa nostra, rivolge il suo messaggio. Il primo tipo è istintivo-fanciullesco (“Il ritmo sale la vibrazione / Ti entra dento arriva al cuore”), il secondo machista-erogeno (“Gioca con me I’m the King / Sono il tuo Re you are my Queen”), il terzo politico-programmatico (“Tutto questo non ha un senso / Chi governa non ha un consenso”).

Il ritornello, ipnotico, è affidato alla voce di Angela: “Non c’è n’è non c’è n’è non c’è n’è / Non c’è n’è non c’è n’è non c’è niente / Non c’è n’è non c’è n’è non c’è n’è / Non c’è n’è non c’è n’è non c’è niente”. Se un autore di dark comedy avesse voluto immortalarsi con un testo sulla dialettica tra pandemia e popolo italiano (dialettica che passa anche da contagi diffusi durante adunate di protesta contro l’unica misura preventiva possibile) non è detto che avrebbe saputo tirare fuori una catchphrase efficace come quella di Angela.

L’ulteriore affermazione del negazionismo, nel testo di Non c’è n’è, non è una forma di tattico pentimento auto-parodistico, comunque fuori tempo massimo, all’indomani del successo straordinario ma infausto dell’intervista a microfono aperto da cui tutto cominciò. Anzi, per comprendere meglio i significati più alti dell’operazione odierna, sia utile notare che una figura come quella di Angela Chianello, che ha raggiunto la notorietà minimizzando o negando di fatto l’evidenza della pandemia, una volta raggiunto l’obiettivo insperato di fidelizzare un pubblico piuttosto vasto, non abbia usato la visibilità ottenuta per lanciare un messaggio sociale o limitarsi a vendere braccialetti col suo tormentone, ma per rincarare la dose, giungendo fino a farsi rapper rappresentata artisticamente da Lele Mora.

Tutto il videoclip è ricco di dettagli nauseanti, in grado di innalzare ulteriormente la già altissima soglia della ripugnanza nel pubblico italiano. C’è la finta diretta di un Conte (calvo!) trasmessa nel salotto della crew di Angela, mentre la crew dorme (“Pronto Angela, eh guarda sveglio i ragazzi e arriviamo”). Se ci fate caso c’è perfino l’interprete LIS. Ci sono le lavoratrici essenziali in maglietta bagnata, protagoniste della scena all’autolavaggio. C’è la metamorfosi ovidiana dei lavoratori non essenziali che compaiono nel j’accuse di chiusura: hanno perso il lavoro per le restrizioni del DPCM, ma sono colti nell’attimo di transustanziarsi in ballerini o comparse. C’è la casa di produzione che si chiama Vucciria, nome in grado di evocare luoghi in cui le interiora sono altrimenti valorizzate.

Contestare il nuovo lavoro di Angela su basi intellettuali è facile come attaccarla su temi musicali o coreutici. Come del resto lo sarebbe etichettare chi la segue su Instagram alla stregua dei bambini freudiani in fase anale (quando cominciano a manifestare interesse per le funzioni sfinteriche e le loro conseguenze escrementizie) o dei curiosi che si accalcano per gustarsi meglio la scena di un incidente stradale grave capitato, in questo caso, alla cultura italiana, bloccando peraltro il traffico e rendendo difficoltoso il passaggio delle ambulanze.

Angela è i nostri capi azienda negazionisti non per alienazione, ma per convenienza; i nostri amministratori locali con la mascherina sotto il naso; i nostri figli e fratelli movidaioli; noi stessi quando cediamo alla tentazione di dire quello che pensiamo nei momenti più bui e mostrare soddisfatti lo sterco che ne consegue su Facebook. Angela è la società — cioè: noi — che ci ha portato al dramma della seconda ondata di coronavirus che si guarda allo specchio, ferita e folle, non avendo il coraggio o la lucidità di riconoscersi nel mostro che è diventata, solo perché rientra ancora nella parte del Paese — per così dire — sana. Angela non va contestata: va annusata, ingoiata, digerita e, se possibile, rigurgitata.

Il videoclip di Non c’è n’è è una performance artistica estrema, di matrice non del tutto differente da quella di lavori come Self Obliteration di Ron Athey — in cui l’artista americano si chiudeva in una gabbia di vetro con in testa una parrucca guardacaso bionda e piena di aghi — o Fixation di Pyotr Pavlensky — in cui l’attivista russo denunciava la corruzione del suo governo di riferimento inchiodandosi lo scroto sulla pavimentazione della Piazza Rossa.

L’unica vera discrepanza è che la performance di Angela, che mette in scena l’atto di violare le norme anti-Covid, rischiando il contagio, per realizzare un videoclip che nega la possibilità del contagio stesso, è solo parzialmente autocosciente. È una performance che potrebbe conoscere solo un ulteriore livello semantico: assumere un ballerino asintomatico e contagiarsi volontariamente in video, per poi continuare a negare, anche da positivi, anche intubati, anche esanimi.

Ma la domanda che dobbiamo porci non è se Angela ci è o ci fa. Invece è: siamo noi in grado di ricondurre tutto questo a qualcosa di umano? Quello di Angela, Noseal, Niklaus e Johnny F. può suonare allora come un grido di dolore — involontario come un riflesso condizionato, ma potente come un video virale ai tempi del coronavirus — contro la libertà di espressione che si autorappresenta nell’atto di fare cilecca. Non è, in fin dei conti, anche se la tirata finale contro Conte (“Quando conta Conte qua nessuno conta / In questa Italia senza un’impronta”) tenta di depistarci, una protesta contro un’autorità superiore.

Quella di Angela è una protesta inconscia dell’umanità innanzitutto contro sé stessa e, in secondo luogo, contro la migliore e la peggiore delle forme di governo e di comunicazione che ha saputo darsi: la democrazia e YouTube. Sono tutti bravi a difendere la libertà di coscienza usando come campione solo Matteo Salvini che attribuisce l’aumento dei contagi ai migranti extracomunitari (del resto, ogni giorno può essere un buongiorno da Mondello nel circo mediatico italiano).

Il suicidio mediatico di Angela ci scuota e ci ricordi, per assurdo, del lato oscuro della libertà di cui disponiamo. Più bassi sono registro e messaggio e più dovremmo essere scossi sebbene, davanti allo schifo, sembriamo fatalmente, distaccatamente mitridatizzati.