Tutti i dischi dei Dead Can Dance, dal peggiore al migliore | Rolling Stone Italia
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Tutti i dischi dei Dead Can Dance, dal peggiore al migliore

Atmosfere gotiche e tradizioni popolari, orchestrazioni solenni e danze sfrenate: in attesa dei concerti italiani, un’immersione nel suono-mondo di Lisa Gerrard e Brendan Perry

Tutti i dischi dei Dead Can Dance, dal peggiore al migliore

Dead Can Dance

Foto: Kerstin Rodgers/Redferns

Partiti dal gothic, i Dead Can Dance hanno trovato una strada del tutto autonoma e personale. Già dal secondo album Lisa Gerrard e Brendan Perry (che per un periodo fanno coppia fissa anche nella vita) mettono in campo influenze classicheggianti che si sposano alla perfezione con l’impianto oscuro della musica, creando visioni ancestrali ed estatiche. I due polistrumentisti sono maestri nell’usare chitarre, tastiere, percussioni e un gran numero di strumenti etnici in modo da offrire tappeti sonori inauditi sui quali si innestano archi, timpani, tromba, trombone, oboe per creare un universo sonoro di grande potere evocativo. Poi le voci: quella di Brendan è grave e baritonale, quella di Lisa si muove in un ampio range, dal contralto al soprano, esprimendosi spesso con parole inventate, puri vocalizzi, messaggi da altre realtà.

Col passare del tempo vengono innestati nel sound spunti medievali, i brani di Perry si fanno più intimi e cantautorali, trovano sempre più spazio afflati etnici, si crea un vero suono-mondo. Il tutto senza che il duo scenda al benché minimo compromesso. Riempiono i teatri di tutto il mondo grazie a un ampio e fedele seguito in costante ammirazione del loro modo unico di plasmare il suono.

10Spiritchaser (1996)

Con Spiritchaser i Dead Can Dance arrivano a enfatizzare fino all’ossessività il loro lato tribale. Quasi tutti i brani dell’album si muovono su armonie povere, solitamente un accordo di tastiere con una selva di percussioni ad accompagnare le voci di Gerrard e Perry. È affascinante, ma alla lunga risulta decisamente tedioso. Dopo questo lavoro i due sceglieranno di dividere le loro strade per quasi dieci anni.

9Dionysus (2018)

L’ultimo album in studio dei Dead Can Dance, fino a oggi, pare tornare alle atmosfere di Spiritchaser, quindi grande sfoggio percussivo e voci in libertà. Le fitte trame africaneggianti si arricchiscono però di stimoli mutati da culture come quella greca e persiana. Dionysus è una grande suite (divisa in due atti) nel quale il baccanale (ben evocato da movimenti come Dance of the Bacchantes o The Invocation) si fa sempre più intenso, fino a esplodere della vitalità dionisiaca del titolo.

8Anastasis (2012)

Ben sette anni dopo la reunion del 2005 il duo da finalmente alle stampe l’atteso album del ritorno. Il risultato non delude le aspettative. Superata la monotonia di Spiritchaser, Anastasis si riallaccia alle atmosfere sinfoniche dei primi album senza dimenticare le istanze sonore che hanno caratterizzato quelli successivi. La traccia iniziale, Children of the Sun, è un ottimo esempio della raggiunta armonia tra passato e presente, ma è tutto il disco a splendere di una luce (nera) di rinnovato dinamismo.

7Into the Labyrinth (1993)

Il duo abbandona quasi del tutto il mondo goth per tuffarsi nella world music. Yulunga (Spirit Dance) mette subito le cose in chiaro in maniera positiva ma con un po’ di nostalgia per i Dead Can Dance più innovativi. Fortunatamente Into the Labyrinth non è monolitico ma spazia in atmosfere diverse, Gerrard ad esempio si concede un momento per sola voce nella reinterpretazione del traditional The Wind That Shakes the Barley, Perry tira fuori invece un’inaspettata verve cantautorale nell’ariosa melodia di The Carnival Is Over.

6Dead Can Dance (1984)

L’esordio è un album per alcuni versi alieno rispetto al resto della discografia. È infatti ancora immerso nelle atmosfere tipicamente goth dell’epoca, lo si può avvertire specie nei pezzi cantati da Brendan Perry, dalle chiare ascendenze Joy Division, e nell’uso della batteria, destinata a scomparire quasi del tutto da lì a poco. La differenza la fa Lisa Gerrard con una serie di brani (Frontier, Musica Eternal) che spalancano nuovi orizzonti nel duo dando vita a qualcosa di completamente nuovo: oscuro, sinfonico e tribale. Anche la copertina dice molto della loro curiosità cultural-musicale, con una maschera rituale della Nuova Guinea e i grafemi dell’alfabeto greco.

5Garden of the Arcane Delights (1984)

È solo un EP con quattro brani ma è decisivo per il cambiamento che arriva a solo pochi mesi dall’esordio. In Garden of the Arcane Delights le interpretazioni di Perry si svincolano dall’influenza Joy Division e cominciano a percorrere sentieri del tutto personali, si vedano canzoni come In Power We Entrust the Love Advocated, dotate di un gusto melodico sicuro e convincente. Anche Gerrard fa esplodere il suo talento in celebrazioni come Carnival of Light, con la voce libera di esprimersi ogni oltre confine.

4Aion (1990)

Aion porta a compimento un percorso iniziato con il precedente The Serpent’s Egg, nel quale il mondo goth-sinfonico dei Dead Can Dance si fonde con la musica antica, si vedano brani appartenenti alla tradizione popolare italiana (Saltarello) e catalana (The Song of the Sibyl). Si fa strada anche l’interesse per i mondi ritmici africani e mediorientali che via via saranno sempre più presenti ma che qui raggiungono il perfetto equilibrio con il resto delle influenze. Aion è anche il disco nel quale la coppia Perry-Gerrard decide di porre fine alla propria relazione, il retrogusto nostalgico delle canzoni di Brendan sembra proprio riflettere su ciò.

3The Serpent’s Egg (1988)

I Dead Can Dance sono troppo irrequieti e curiosi per adagiarsi sui due capolavori precedenti e nel 1988 portano a compimento un altro cambio di pelle. The Serpent’s Egg si riaggancia al recente passato, ma porta la proposta ad arricchirsi di profumi medievaleggianti, si ascolti Chant of the Paladin, con il rumore delle spade, i mantra vocali della Gerrard e i tamburi in battaglia. Il punto di massimo fulgore dell’album è però l’iniziale The Host of Seraphim, oscuro canto liturgico condotto da Lisa (con gli austeri cori di sottofondo di Brendan) che a un certo punto si spalanca letteralmente, come un fascio di luce divina che penetra una cattedrale gotica.

2Spleen and Ideal (1985)

Con Garden of the Arcane Delights a fare da ponte, nel 1985 i Dead Can Dance arrivano a concepire una miscela musicale totalmente propria, originale. Specie nel caso dei brani interpretati da Lisa Gerrard (si veda il trittico iniziale De Profundis-Ascension-Circumradiant Dawn) la musica si innalza fino ad altezze vertiginose, con orchestrazioni solenni che evocano visioni decadenti, estasi religiose, voci perse in profondità abissali. Il duo è vicinissimo a toccare il punto massimo e da qui inizia una scalata di un’intensità che quasi addolora.

1Within the Realm of a Dying Sun (1987)

L’immagine di copertina (la tomba del politico e scienziato francese François Vincent Raspail presso il cimitero di Père-Lachaise, a Parigi) dice molte cose di una musica che sposa il più funereo classicismo, ma lo dota di un’intensa scintilla vitale. Due facciate, la prima austera e potente, con la voce profonda di Perry, la seconda arcana e mitologica, con una Gerrard al massimo del suo fulgore. Archi, fanfare di fiati, strumenti etnici, tastiere, timpani sinfonici, brani di una bellezza abbacinante con i picchi di Xavier e Persephone (The Gathering of Flowers). Un suono che riesce a elevare lo spirito in picchi di vera estasi mistica: è buio e luce insieme.

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