Trent'anni di 'Violator', quando i Depeche Mode erano un gruppo perfetto | Rolling Stone Italia
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Trent’anni di ‘Violator’, quando i Depeche Mode erano un gruppo perfetto

Il 19 marzo 1990 un disco sensuale e introspettivo cambiava la carriera del gruppo e un po' anche la storia del pop. Registrato tra Danimarca e Italia, l'album di ‘Personal Jesus’ è un capolavoro electro-rock

Trent’anni di ‘Violator’, quando i Depeche Mode erano un gruppo perfetto

Foto: Paul Natkin/WireImage/Getty Images

«Se volete usare le chitarre, usate le chitarre». Pregiudizi nel cestino dell’immondizia e regole infrante: è stato questo il principale consiglio dato del produttore Mark “Flood” Ellis ai Depeche Mode in studio con lui per le registrazioni di Violator, l’album che nel marzo del 1990, giusto 30 anni fa, ha segnato la svolta definitiva per Dave Gahan, Martin Gore, Alan Wilder e Andy Fletcher.

Il giro blues di Personal Jesus, il riff minimale di Enjoy the Silence, la singola nota chitarristica di Policy of Truth moltiplicata in loop, solo per citare le tre canzoni più note di Violator, un disco in perfetto equilibrio tra elettronica, pop e rock in divenire, dove ogni pezzo in scaletta era e resta un potenziale, esplosivo singolo: la lasciva Blue Dress, gli echi pinkfloydiani di Clean, i beat pulsanti di Halo.

Ripescando le interviste dell’epoca e rileggendo e riascoltando le parole dei Depeche Mode ciclicamente spese per gli anniversari di Violator sembra sia stata davvero la volta in cui si sono divertiti di più insieme – Gahan, Gore, Wilder e Fletcher – e che, da allora, non si siano più divertiti così tanto: il picco di una carriera e di una storia sotto più punti di vista.

L’album è stato registrato principalmente tra due studi: uno nel tranquillissimo nulla della Danimarca, il posto migliore dove cucinare la meditativa Enjoy the Silence, e l’altro nella nostra Milano, la città più adatta per devastarsi alla fine degli anni ’80. Una festa ogni notte e un bel giorno ecco consegnata alla storia Personal Jesus, con il TUM TUM marziale registrato letteralmente coi piedi, ossia catturando il suono dei passi battuti sul pavimento, come ci ha raccontato Carmelo La Bionda.

Il 20 marzo del 1990 la fama dei Depeche Mode negli Stati Uniti esplode in immagini da beatlemania trasmesse dai telegiornali americani. Oltre 10 mila fan ammassati davanti al Wherehouse, un negozio di dischi di Los Angeles, in attesa di incontrare Gahan, Gore, Wilder e Fletcher per un autografo creano scompiglio in strada, rendendo necessario l’intervento della polizia in assetto anti-sommossa.

Non propriamente una rivolta come raccontato dalla leggenda, ma senza ombra di dubbio un’ulteriore spinta promozionale per Violator, il disco di maggior successo commerciale dei Depeche Mode e l’apripista per una nuova era: vecchie hit come Just Can’t Get Enough o New Life sono davvero passato remoto e l’oscuro Songs of Faith and Devotion arrivato pochi anni dopo consacra il culto religioso da stadio dei Depeche Mode.

Il suono dei Depeche Mode in Violator è amplificato ancora una volta dalle immagini di Anton Corbijn, loro fotografo-regista-art director-ministro della propaganda: dall’affascinante foto floreale sulla copertina del disco (ripresa quest’anno da un marchio d’abbigliamento americano che in occasione del trentennale ha stampato e ricamato t-shirt, camicie, maglioni e scarpe firmate DM) ai video dei singoli.

Grazie al lavoro di squadra con Corbijn, la carica sensuale e l’introspezione più oscura dei Depeche Mode occupano la music television elevando all’ennesima potenza il ‘credo’: dal gruppo di cowboy dark di Personal Jesus al re vagante di Enjoy the Silence, la band scala le classifiche con una nuova idea di pop e Dave Gahan si impone come desiderato sex symbol. 

«Non ho idea di come abbiamo fatto a portare a casa il risultato», ha raccontato Martin Gore a Rolling Stone Usa ricordando le registrazioni di Violator a Milano. «Facevamo festa quasi tutte le sere. Ma eravamo insieme tutti e quattro, per noi è stato l’apice del divertimento. Poi le cose ci sono sfuggite di mano». Dissidi interni, eccessi fuori controllo: con l’album successivo, Songs of Faith and Devotion, Alan Wilder dice addio ai Depeche Mode, lui che per la band era una sorta di direttore d’orchestra, insieme al produttore Flood testa pensante dietro l’exploit epocale di Violator.

Violator è il matrimonio tra synth pop e arena rock, i Depeche Mode erano il gruppo perfetto per celebrarlo, la band giusta al momento giusto come spiega Flood nel breve documentario Depeche Mode 1989-1990: If You Wanna Use Guitars, Use Guitars. «Prima avevamo una regola per cui non potevamo usare due volte lo stesso suono», ricorda Fletcher nel film. «È stato lui a dirci che ogni nostro preconcetto era una stronzata. “Non preoccupatevi: se volete usare le chitarre, usate le chitarre”».

La storia gli ha dato ragione. Nati da demo di Martin Gore, Personal Jesus ed Enjoy the Silence sono diventati non solo inni dei Depeche Mode, ma grandi classici del pop, coverizzati da chiunque. I nostri Lacuna Coil, per esempio, hanno rifatto Enjoy the Silence metalizzandone le atmosfere goth. E Personal Jesus, certo, è stata spogliata da Johnny Cash, messa sull’altare in tutta la sua religiosa potenza.   

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