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Summer Walker è diventata una star, ma a quale prezzo?

Ecco che cosa c’è dietro al contratto di una stella nascente dell’R&B. Il pubblico ti crede milionaria, ma la fetta più grossa la prendono altri, persino quando reciti in un film o pubblicizzi un profumo

Foto: Ro.Lexx

Still Over It di Summer Walker è uscito venerdì 5 novembre, preceduto da grandi aspettative. La cantante R&B è esplosa nel 2019 grazie a singoli che rimandavano ai classici anni ’90, a partire da Playing Games costruita su Say My Name delle Destiny’s Child e Come Thru, omaggio a You Make Me Wanna di Usher. Nessun’altra artista R&B dopo la Beyoncé di Lemonade ha fatto meglio di Summer Walker e del suo Over It in termini di risultati commerciali ottenuti nella prima settimana di pubblicazione.

Intanto però la cantante era imprigionata in un contratto discografico sbilanciato, a giudicare dagli accordi con l’etichetta/società di management Love Renaissance (LVRN) e con la casa discografica Interscope. Secondo una bozza che Rolling Stone ha visionato, Walker sarebbe stata costretta a cedere anche parti dei suoi guadagni extra-musicali, ad esempio nel campo della recitazione. Il contratto che ha firmato con LVRM prevedeva un anticipo basso e delle royalties modeste, secondo gli standard correnti.

Non solo: secondo una bozza, la cantante era incentivata a legarsi come management a LVRM, che era in conflitto d’interesse essendo anche l’etichetta della cantante. L’accordo concedeva a Walker ben poca flessibilità – per un certo numero di album la cantante si trovava in una sorta di stato di servitù debitoria – e quasi nessun rischio per la controparte. «Prendono tanto concedendo poco», dice Peter Scoolidge, avvocato specializzato in tecnologia e intrattenimento.

Per molti artisti, questo tipo di contratto è la norma. «Fra quelle legati alla creatività, l’industria della musica è quella che pagata meno i creatori», dice Jordan Bromley di Manatt, Phelps & Phillips. Ecco perché spesso gli artisti si lamentano dei loro contratti e delle loro etichette sui social media. Come ha fatto Meek Mill poche settimane fa in un tweet: «Non sono stato pagato per la mia musica, né so quanto l’etichetta ne ricava».

Pochi artisti, però, entrano nello specifico – una notevole eccezione è Kanye West, che nel 2020 ha pubblicato il suo contratto, pagina dopo pagina. Royalties scarse? Ricavi dai tour insufficienti? Lo sanno solo le etichette e chi lavora con gli artisti.

La mancanza di dettagli non sorprende, del resto a un artista non si richiedono doti legali, per non dire della ritrosia nel rendere noti dettagli che mettano in evidenza come loro e il loro collaboratori si sono fatti fregare. La percezione è la benzina dell’industria musicale: se hai formato un contratto che fa schifo, fai schifo. Il problema è che la riservatezza conviene anzitutto a chi fa firmare accordi del genere.

Rispetto ad altre società, LVRN ha un’immagine pulita, persino il nome Love Renaissance fa venire in mente un approccio umano a un business spesso spietato. Eppure il contratto fatto firmare nel 2017 a Walker è tutt’altro che umano secondo la mezza dozzina di manager e avvocati che l’hanno visionato. Molti manager hanno sollevato dubbi sui termini dell’accordo, dicendo che avrebbero sconsigliato ai loro clienti di firmare. Qualcuno ha definito il contratto “crudele”, specialmente nella parte sugli anticipi e le royalties (Rolling Stone ha ottenuto di visionare il contatto finale e non ci sono differenze sostanziali rispetto alla bozza, da questo punto di vista).

Chi ne parla male sceglie l’anonimato, per paura di ritorsioni. Non ha torto. Quando abbiamo contatto LVRN per avere un commento sulla storia, il co-fondatore Tunde Balogan ha twittato accusando Rolling Stone di «cospirare coi truffatori» e promettendo di «dare battaglia».

Nessuno però si è sorpreso dell’accordo. Tutti, manager e avvocati, dicono che si tratta di condizioni tipiche in questo periodo. La bozza di contatto con LVRN e Interscope prevede che Walker riceva 110 mila dollari come anticipo (la cifra diventa più importante per i dischi successivi). La percentuale di royalties proposta per i primi due album è del 16%. Significa che la cantante guadagna 16 centesimi per ogni euro generato, una volta recuperato l’anticipo. Secondo i manager, si tratta di numeri bassi rispetto agli standard contemporanei. E sono più bassi nel contratto finale (che prevede il 15% di royalties) in cui Walker cede il controllo dei master.

Un’altra fonte di preoccupazione è il diritto di opzione concesso da Walker per tutto il periodo, non importa quanto lungo, durante il quale LVRN pubblicherà quattro album già due progetti pre-album (il contratto finale lega l’artista ancora più a lungo). Detto in breve: se l’artista decolla le condizioni restano quelle di quando non era nessuno. Succede spesso nei contratti discografici, una pacchia per le etichette. L’artista non è protetta. Al contrario, se non decolla, l’etichetta può scaricarla.

«Walker è bloccata in uno schema per prevede basse royalties per un periodo di tempo apparentemente indeterminato», dice Scoolidge leggendo un paio di voci del contratto. «È altresì vincolata a dare [all’etichetta] una buona percentuale di qualsiasi altro introito derivante da sponsorizzazioni, recitazione o altro, tutte fonti che non hanno a che vedere con la vendita di musica. E, come succede in questo tipo di accordo, l’etichetta discografica non è obbligata a investire denaro nella sua carriera, nella sua immagine o nella sua musica» (rappresentanti di Walker e della Interscope non hanno voluto commentare).

Molti manager sono convinti di dover agire in contrapposizione con le etichette. Il bene dell’artista non sempre coincide con quello della label e il compito di un manager è difendere il suo cliente. Ecco perché la cosa che più preoccupa i professionisti che hanno visto la bozza di contratto di Walker è la sovrapposizione dei ruoli di managing ed etichetta da parte di LVRN. C’è un conflitto di interesse, e non così inusuale nell’industria discografica.

LVRN si considera indipendente, ma è una joint venture con Interscope. Che cosa accadrebbe nel caso Walker voglia cose diverse da LVRN o Interscope? Una società può difendere gli interessi della propria artista andando contro i propri stessi interessi? «L’artista non è certo rappresentato al meglio in una contrattazione con una etichetta che ha la stessa proprietà del management», dice Scoolidge.

Alcuni accordi di tipo finanziario contenuti nella bozza dipendono dal fatto che Walker sia legata come management a LVRN. Nel caso cambi manager, deve alla Interscope il 5% dei ricavi dei concerti e il 15% degli introiti extramusicali, percentuali che scendono rispettivamente al 2,5 e al 7,5 nel caso il management sia di LVRN.

Il contratto che lega Walker e LVRN è datato novembre 2017. L’impressione è che gli interessi della cantante non siano stati ben difesi. Nell’accordo finale, l’anticipo è sceso a 85 mila dollari, con royalties del 15% e quattro opzioni.

Di solito le etichette difendono contratti del genere dicendo che devono farsi carico dei rischi derivanti dallo sviluppo di un nuovo artista, ovvero la trasformazione di un nessuno nella popstar che senti passare al supermercato. Ed è anche vero nel caso in cui le etichette giochino effettivamente un ruolo in questo processo.

È però innegabile il fatto che a smenarci siano gli artisti. Solo quest’anno, YG ha detto che un contratto che ha firmato «era una merda per dieci ani», mentre SZA ha detto che odiava la sua etichetta (non è chiaro a quale si riferisse). Lil Uzi Vert ha accusato pubblicamente la sua label nel 2018, mentre Megan Thee Stallion è impegnata in una lotta con una delle sue almeno dal 2019.

Meek Mill può vantare 10 singoli certificati platino: è una star in giro da un decennio. Eppure ancora s’incazza quando pensa al suo contratto. L’ultima sua bordata contiene il tipo di domanda a cui un’etichetta preferirebbe non sentirsi fare: «Quanto avete speso per me? E quanti soldi avete fatto grazie a me?».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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