La recensione di 'X sempre assenti', il documentario sui Verdena - Rolling Stone Italia
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‘X sempre assenti’ è un atto d’amore verso il culto dei Verdena

Presentato ieri a Bologna, il documentario sulla band bergamasca è puro artigianato senza artifici e mostra una versione inedita e privata dei tre musicisti tra figli, gatti e bolliti per la nonna. E loro dicono: «Il rock per come lo intendiamo noi è immortale»

‘X sempre assenti’ è un atto d’amore verso il culto dei Verdena

I Verdena nel documentario ‘X sempre assenti’

Foto press

Tra i tanti aspetti che hanno contribuito a creare il culto dei Verdena, quello che lo ha reso così longevo, puro e radicale è stata l’attitudine punk, vagamente asociale e assolutamente artigianale dei tre componenti della band. Se l’amore viscerale per le melodie complesse, i testi peculiari e la potenza dei live sono caratteristiche che possiamo ritrovare in molte altre fanbase, è lo stile di vita dei Verdena che ha reso non solo la loro musica, ma anche il rapporto con i fan un esempio unico nel panorama italiano. La loro propensione al caos e al sabotaggio di ogni forma di successo e di mondanità hanno fatto crescere in tutti questi anni una mitologia che finora era rimasta frammentata, sparsa nei meandri di un internet disgregato, vecchie interviste, video amatoriali, forum o blog, quando non si trattava di racconti orali. X sempre assenti, il documentario firmato da Francesco Fei – regista che ha già collaborato con la band alla realizzazione di numerosi videoclip, tra cui il primo in assoluto risalente al singolo del 1999 Valvonauta – è prima di tutto un tributo a questo culto, oltreché una fedele testimonianza di un brevissimo periodo della band al lavoro.

Presentato ufficialmente al Biografilm festival di Bologna, X sempre assenti, nei suoi circa 50 minuti di durata, segue i Verdena nel periodo di lancio del loro ultimo album Volevo magia – uscito lo scorso settembre – e della preparazione per il relativo tour partito nei giorni immediatamente successivi, dopo sette lunghissimi anni di assenza dai palchi. La cosa più bella da constatare già dopo pochi minuti è che non ci sono social network che tengano, né biopic milionari dati in pasto alle grandi piattaforme: l’autenticità – ammesso che sia un valore – risiede nei piccoli atti d’amore e quello che produce Fei con la telecamera è esattamente questo, un piccolo atto d’amore. Lo è innanzitutto perché – chiunque abbia mai provato a intervistare i Verdena lo sa bene – è un mezzo miracolo ottenere la loro attenzione e partecipazione per più di qualche minuto, prima che facciano perdere a tutti, totalmente, il filo del discorso. Per cui possiamo solo immaginare che impresa titanica deve essere stata seguirli per tutte quelle ore con una macchina da presa e chiedere loro di assecondare l’esile narrativa delle immagini che si susseguono.

Sorprendentemente (ma forse neanche troppo) chi ci riesce meglio è Luca Ferrari, che per certi versi emerge come una specie di narratore di questa storia, sebbene non sia una vera e propria storia. È lui che appare nella maggior parte delle scene, che prende iniziative, propone improbabili tour negli Stati Uniti e scrive la bozza per la scaletta dei live. È lui che sfreccia con il Ciao e un invidiabilissimo smanicato griffato Melinda per le strade buie di quelli che immaginiamo essere i dintorni di Albino, nell’aspra provincia di Bergamo, dove i tre vivono e mantengono lo studio-pollaio già diventato celebre e su cui è ormai inutile soffermarsi. Magro come il protagonista di un quadro di Schiele, un fascio di nervi, sudato (siamo in pieno luglio) mentre carica il furgone di amplificatori e casse, oppure mentre prepara il bollito per la nonna, con le montagne della val Seriana sullo sfondo.

Intervallate da momenti di live in studio, vediamo forse per la prima volta in assoluto anche gli appartamenti di Alberto e Roberta, nella loro totale normalità, nel disordine, e fa quasi impressione. Li vediamo mentre cenano nei giorni qualunque e poi un attimo dopo mentre discutono in fase di post produzione in studio, circondati da cimeli, gingilli, adesivi, vecchie polaroid e tutta l’oggettistica di cui è circondato chi non ha mai abbandonato il luogo in cui è nato e cresciuto.

Francesco Fei segue tutto questo in silenzio. Non c’è una voce fuori campo, non ci sono piani americani né green screen o risposte date con lo sguardo verso l’obiettivo, non c’è una trama né artificio. Ancora una volta, in tutto e per tutto, è pura artigianalità, seppure con una fotografia eccelsa. Solo sul finale, quando abbiamo superato il climax delle prime note del primo live del tour, i tre appaiono seduti, (relativamente) calmi e rilassati, per alcune brevi dichiarazioni, tra cui quella di Roberta che vale la pena citare: «Ci sarà sempre in classe al liceo uno che è metal e che porta avanti un discorso che è eterno. Per come lo intendiamo noi il rock è immortale». Può sembrare un discorso naïf, ma la verità è che viviamo in tempi talmente incerti e siamo talmente braccati e minacciati anche nelle cose che fino a poco fa davamo per scontate che l’attitudine dei Verdena è a tutti gli effetti una forma di resistenza da cui prendere esempio. Da oggi i fan hanno anche un documentario per perpetuare il loro credo.

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