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Voler bene a Mal Evans, il gigante buono e tormentato che vegliava sui Beatles

Era l’assistente personale di John, Paul, George e Ringo, il confidente, quello che risolveva problemi, l’angelo custode, ma era anche un uomo inquieto. Un nuovo libro racconta la sua storia bella e tragica

Foto: Getty Images

Prima di Get Back, solo i fan hardcore dei Beatles conoscevano Mal Evans. Dopo aver visto il film di Peter Jackson non innamorarsi di Mal è diventato impossibile. Stiamo parlando del roadie dei Beatles, uno dei pochissimi amici fidati della loro cerchia più intima. È l’allegro pasticcione dal sorriso radioso che batte su un’incudine mentre loro suonano Maxwell’s Silver Hammer. È il gigante di un metro e 98 che ferma i poliziotti quando cercano di fermare il concerto sul tetto. È il loro assistente personale, il confidente, quello che risolve problemi, l’angelo custode. Pochi anni dopo, nel 1976, in preda a un raptus e imbottito di droga, punta un fucile contro dei poliziotti a Los Angeles e viene ucciso. La sua è una delle vicende più strane di tutta la saga dei Beatles.

La storia è contenuta nella nuova biografia Living the Beatles Legend: The Untold Story of Mal Evans di Kenneth Womack, eminente studioso dei Fab Four. Il volume getta uno sguardo affascinante ed esaustivo sulla leggenda dei Beatles, con al centro il fedele amico di Liverpool che è stato sempre al loro fianco negli alti e nei bassi, fino alla sua morte scioccante. Come dice Womack, i Beatles non hanno mai smesso di volergli bene.

Mal Evans ha iniziato facendo loro da road manager per poi diventare un insider e una spalla indispensabile. Quando i Beatles hanno smesso di andare in tour, ha cominciato a occuparsi di soddisfare i loro capricci in studio. Nella versione originale di Let It Be Paul McCartney lo chiama Mother Malcolm. E poi c’è la scena impagabile di Get Back in cui Paul dice: «Mal, dovremmo trovare un martello e un’incudine», lasciando il roadie confuso a grattarsi la testa. Ma anche dopo lo scioglimento del gruppo, tutti hanno avuto bisogno di Mal per i loro progetti solisti. Sia John Lennon che George Harrison l’hanno ringraziato nei loro classici post-Beatles Plastic Ono Band e All Things Must Pass per avere portato «tè e simpatia». Negli anni ’70, Mal era una delle pochissime cose su cui i quattro erano d’accordo.

Per la stesura del libro la sua famiglia ha condiviso un vero tesoro, tra cui i suoi diari, i suoi quaderni di appunti e pile di foto dei Beatles che nessuno aveva mai visto prima. Womack ha attinto anche dai manoscritti ritrovati dell’autobiografia che Evans stava scrivendo prima della morte (tutti e quattro i Beatles avevano dato il proprio benestare al libro, segno di quanto si fidassero di lui). Mal sperava di fare carriera nel mondo della musica: ha scoperto i Badfinger, li ha fatti mettere sotto contratto dalla Apple e ha prodotto la loro hit classica del 1970 No Matter What.

Il libro rivela anche il suo lato oscuro. Seguendo un tragico copione tipicamente anni ’70, si è trasferito a Los Angeles ed è precipitato in una spirale discendente di alcol, armi e cocaina. Nel gennaio 1976, ha puntato il suo Winchester carico contro la polizia, spingendo gli agenti a sparargli, una sorta di suicidio per mano altrui. La sera prima aveva scritto il suo testamento. È una storia complessa che prima d’ora non era mai stata raccontata nella sua interezza.

«È stato Gary Evans» racconta Womack «a chiedermi se mi andava di raccontare la storia del padre. Mi ha spedito dal New Jersey una scatola enorme, piena di diari e foto inedite. Mal aveva buttato giù tre bozze di manoscritti con le sue memorie. E portava sempre con sé dei quaderni su cui annotava di tutto, senza un ordine particolare, per non dimenticare ciò che man mano gli succedeva. Ho chiamato Mark Lewisohn, lo storico dei Beatles, e gli ho detto: non ci crederai, ma qui c’è tutto».

Che idea che ti eri fatto di Mal, prima di iniziare a lavorare al progetto?
Esattamente quella che molti altri avevano: un photobomber adorabile e tenero, che tutti quanti osservavamo incuriositi quando spuntava nelle foto. In realtà, era un elemento essenziale del loro lavoro, una delle poche persone di cui si fidavano, insieme a Neil Aspinall. Nel raccontare tutto, il bene e il male, ho seguito il dettame di Ringo che, quando Mal voleva scrivere le sue memorie, gli disse: «Se non hai intenzione di dire la verità, non cominciare neppure». Ad alcuni non piace questo nuovo Mal. Volevano il vecchio Mal. Volevano un libro su quel tipo che sorride e batte sull’incudine. Ma lui era un personaggio più complesso. Non era un buffone.

Perché era fondamentale per i Beatles?
Era versatile. Sapeva fare le cose. Era un po’ più grande di loro, quindi sembrava più esperto delle cose del mondo, anche se probabilmente non era così. Credo li abbia conquistati definitivamente durante il tour del 1964, quando ha usato la sua forza e la sua stazza per salvarli. Il modo in cui li proteggeva era incredibile. Per molti versi, era un’arma a loro disposizione. Ed era un gran conversatore: dopo un po’ loro si stancavano di parlare con Burt Lancaster o altri, Mal invece poteva andare avanti tutta la notte. Era utile come diversivo. Sapeva come tenere lontana la gente dagli studi di Abbey Road. Era bravissimo a risolvere i problemi, quando le cose si facevano difficili. C’erano momenti in cui i Beatles litigavano, ma Mal li convinceva a indirizzare la rabbia contro di lui, così che potessero tornare ad andare d’accordo e fare un disco, un concerto o altro. Paul a volte gli chiedeva consiglio per i testi. Lui ha inventato un verso bellissimo per Here, There, and Everywhere. L’ha annotato nel suo quaderno il giorno stesso in cui è successo: «Paul aveva bisogno di una battuta e io gli ho suggerito: “Watching her eyes and hoping I’m always there”». Gli piaceva far parte della squadra. Non cercava la fama. La grandezza dei Beatles era la sua ragione di vita. E questo mi rattrista, perché ogni volta che accade qualcosa di meraviglioso legato ai Beatles, penso che avrebbe dovuto esserci anche lui. Avrebbe dovuto tenere duro per un giorno in più, una settimana in più, per viversi quello che sta succedendo adesso.

Una delle sue scene più belle, in Get Back, è quella in cui i poliziotti arrivano per arrestare i Beatles, durante il concerto sul tetto. Mal li blocca, assumendo un atteggiamento alla Tenente Colombo, facendo il tonto, comportandosi in modo simpatico e pasticcione.
Era scaltrissimo quando si trattava di trovare scappatoie. Dal film di Peter Jackson è stato tagliato uno dei suoi momenti migliori. Un giorno, in studio, John stava male ed era fatto di eroina, ma aveva un’intervista con alcuni giornalisti della tv canadese. Quando le cose si sono messe male, Mal si è precipitato a portare John fuori dalla stanza.

Era il loro road manager, ma quando hanno smesso di andare in tour il suo ruolo è diventato ancora più importante. E anche dopo lo scioglimento dei Beatles, tutti avevano ancora bisogno di lui. Perché?
Quando hanno smesso di andare in tour, Mal e Neil hanno pensato che non avrebbero più lavorato quanto prima. Si sbagliavano. Improvvisamente, dovevano essere sempre reperibili, al punto che Mal ha trasferito la famiglia a Londra. Gli anni dell’attività esclusiva in studio hanno portato a un’escalation nell’utilizzo di Mal da parte dei Beatles, cosa che è stata la sua rovina.

Sua sorella Barbara mi ha detto: «Gli faceva da madre». Per loro era Mother Malcolm. Mentre lavoravano al White Album, a Sgt. Pepper o ad altro, era Mal a preparare i pasti o a procurarli. Quando si rompeva una chitarra, sapeva da chi andare. Come hanno detto John e George, offriva tè e simpatia. Seguiva tutti i loro progetti. Era il tizio divertente da avere sempre intorno. Rappresentava la vita reale. Paul a un certo punto dice: «Tu sei quello regolare. È per questo che ci piace averti con noi». Ma era camaleontico: li ha emulati per tutto il tempo e lo si può intuire dai suoi look e dai tagli di capelli che cambiano nel corso degli anni. Se loro provavano l’LSD, Mal provava l’LSD.

Una delle battute più belle del libro risale al 1974, quando Mal comunica di volere mollare e Ringo dice a Harry Nilsson: «Ora che Mal se n’è andato, i Beatles sono davvero finiti».
Mi piace il fatto che siano comprensivi con lui. John gli dice: «Era ora». Ma George è l’unico a sapere la verità, non se la beve. Quando riceve la telefonata di Mal, gli dice: «E quindi?». Lui sa che Mal non si sta licenziando davvero. E infatti, due settimane dopo, sta già aiutando Ringo per Goodnight Vienna, andando a procurargli dei tamburelli nuovi. Non riesce proprio a uscirne. In realtà non vuole uscirne. Sa che, se vuole diventare un autore o un produttore professionista, deve mettersi in gioco.

La loro lealtà nei suoi confronti è toccante. È come se Mal simboleggiasse il legame di fratellanza dei Beatles nel momento in cui non erano più sicuri della loro identità beatlesiana. Era il collante della fratellanza che condividevano. Si fidavano di lui anche quando non si fidavano l’uno dell’altro.
Non hanno mai smesso di volergli bene. Facendo un salto in avanti, Gary mi ha raccontato di quando, all’inizio degli anni ’80, George è andato a casa loro per scusarsi della parte che ha avuto nel dare il via alla catena di eventi che ha portato al trasferimento di Mal a Los Angeles. Quando nel 1976 John Lennon ha saputo la notizia, li ha chiamati a casa chiedendo: «Che cazzo sta succedendo a Los Angeles?». Quando gli hanno detto che Mal era morto, John si è messo a piangere.

È a Los Angeles che il suo lato oscuro prende il sopravvento, con tutta quella droga. Ed è strano perché anche se si sa come va a finire la storia, quando si legge il libro è comunque uno shock.
È la stessa cosa che ha detto mio padre. Ha letto quattro o cinque stesure del libro e mi ha detto: «Ogni volta che lo leggo, spero sempre che non vada a schiantarsi». Mal ne ha combinate di tutti i colori. È una cosa che spezza il cuore. Nel 1968, lui e George sono andati a vedere Dylan & The Band, ma Mal non è tornato a casa e si è comportato in modo orribile con la famiglia. La cultura rock della California del Sud, negli anni ’70, era imbottita di cocaina e c’era un sacco di gente con uno stile di vita spericolato. E cosa hanno fatto i Beatles? Si sono trasferiti quasi tutti lì. Harry Nilsson probabilmente era un tipo molto divertente, ma non era certo uno da prendere come esempio. Mal aveva bisogno di più figure adulte nella sua vita. Nel 1976 sentiva ancora regolarmente tutti e quattro. Parlava con John, che ha cercato di aiutarlo nel bel mezzo di quello che era chiaramente un momento di crisi, solo un paio di giorni prima della sua morte.

Alla fine, secondo te, cos’è andato storto?
Mal avrebbe dovuto essere curato per la sua salute mentale. Aveva bisogno di terapie, in un mondo che non sapeva come gestire situazioni simili. Da tempo manifestava tendenze suicide. Quando ha detto di volersene andare sotto una pioggia di proiettili, intendeva proprio quello: una pioggia di proiettili. Il segnale più allarmante è stato il testamento che ha scritto la sera prima. Era ubriaco, ma credo che stesse pianificando la cosa da tempo. Sono quattro pagine in cui dice che i Beatles dovrebbero ritrovarsi e fare un concerto di reunion, alla sua morte. In quel momento era fuori di testa, ma poi, alla fredda luce del giorno, ha portato a compimento il piano. Gli agenti di polizia hanno seguito la procedura. Non sono entrati di corsa e l’hanno fatto fuori, hanno seguito le regole, ma nel momento in cui un uomo ha puntato un fucile carico contro di loro, hanno fatto quel che dovevano fare. Che era esattamente ciò che Mal aveva pianificato. Ha orchestrato tutto.

Come hai detto tu, è triste che non sia qui per vedere come il fenomeno Beatles stia ancora crescendo. Immagini che avrebbe partecipato?
Sarebbe stato coinvolto al 100%. Non avrebbe potuto restare con le mani in mano. Nessuno ha resistito a lungo quanto lui coi Beatles. Ha incassato tutti i colpi ed è sempre tornato. Si è guadagnato un posto in quella storia.

Da Rolling Stone US.

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