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Vasco Rossi al Circo Massimo (e al cinema) in equilibrio tra disillusione e speranza

Abbiamo visto il film-concerto 'Roma Circo Massimo XXII' diretto da Pepsy Romanoff, nelle sale il 14, 15 e 16 novembre. Con un estratto esclusivo, la performance di 'Una canzone d'amore buttata via'

Foto: dal film 'Vasco Live. Roma Circo Massimo XXII'

La folla davanti all’ingresso del cinema The Space Moderno di Roma ricorda le file in attesa dell’arrivo delle star a Venezia. Il tappeto “Rossi” si carica di aspettative col passare dei minuti che dividono Vasco dal suo popolo, quasi non si fosse lì per assistere alla première del nuovo film Vasco Live Roma Circo Massimo XXII (al cinema il 14, 15 e 16 novembre), ma all’apertura dei cancelli di un vero concerto. Vasco arriva in limousine, da star hollywoodiana, e tutto si ferma. Cosa mai potrà raccontare di inedito la testimonianza di un tour visto da 700 mila persone, sbirciato online da altri milioni e che sostanzialmente va avanti senza sosta da più di dieci anni? Questa è la vera sfida di Rossi e del suo team, non tanto coi fan, per i quali ha già vinto, ma con tutto il mondo fuori. Ma soprattutto, quale Vasco ci restituirà?

La vita privata e artistica di Vasco ha sempre ruotato intorno a due sentimenti apparentemente agli antipodi, quello della malinconia esasperata e della rassegnazione al limite del nichilismo contrapposte alla forza dirompente e scomoda dei suoi brani più dissacratori. Se c’è una cosa davvero rilevante del Vasco odierno non sono tanto i record, ormai diventati così scontati da non fare quasi più notizia, ma la sensazione che dopo una vita passata a lottare, da anni ormai solo con l’inferno della sua mente, sia quasi riuscito a trovare quell’equilibrio tanto bramato e ricercato attraverso il potere catartico, terapeutico, taumaturgico della sua arte. Come se fino ad ora quel potere avesse avuto effetto solo sui suoi fan, ma fosse ancora altro da sé.

Difficile immaginare un Vasco in pace con se stesso, tanto che il concetto di felicità appare ancora quel limite impossibile da raggiungere cantato ai tempi di Stupido Hotel. Tuttavia l’uomo che esce dall’ultimo giro di concerti e quello che viene poi fuori dal nuovo film concerto del Circo Massimo è forse quello più vicino a trovare la formula in grado di tenere insieme yin e yang, giorno e notte, depressione e maniacalità. Non a caso, prima di lasciare al pubblico la visione in anteprima del film, Vasco si esprime esattamente in questi termini, parlando prima di tempi bui, di futuro incerto, per poi annunciare con ironia e orgoglio le nuove date del suo neverending tour, non senza provocare da lontano i colleghi (che dichiarano tutto sold out, anche in location da 50 posti). Questo aspetto è confermato dalla set list prettamente bilanciata tra nuovissimo (XI Comandamento, Se ti potessi dire, La pioggia la domenica, L’amore l’amore), periodo di mezzo (L’uomo più semplice, Un senso, Ti prendo e ti porto via) e periodo storico (Amore… aiuto, Muoviti, Senza parole).

Ancora una volta ne esce un Vasco ormai fuori gara, che gioca una partita a sé. Conscio dei suoi limiti e delle sue infinite fragilità, ma allo stesso tempo consapevole di aver rappresentato un po’ ogni sfaccettatura del rock nel nostro Paese. Un po’ punk, un po’ Mick Jagger, un po’ metallaro e persino un po’ Jim Morrison. Un po’ è solo rock’n’roll, un po’ me ne fotto e un po’ il futuro è incerto e la fine è sempre vicina. Sta forse in questo la risoluzione del grande mistero della sua carriera, vero e proprio unicum a livello mondiale: nell’essere riuscito a toccare ogni lato dell’animo umano con un linguaggio accessibile a chiunque, senza l’ermetismo di certi cantautori, ma senza rinunciare alla poesia. Nell’aver messo in musica non altro da sé, ma essersi sempre presentato senza filtri, nel bene e nel male. Perché si può scrivere Sally e poi gridare «viva la biga» davanti a 80 mila persone e non perdere credibilità.

E poi c’è la sua fisicità, spesso sottovalutata nel parlare del fenomeno Vasco, ma che è colonna portante di tutto. I suoi sguardi, messi ancora più in evidenza dalla scelta registica di Pepsy Romanoff, la sua voce che non ha perso niente nel tempo, a fronte di anni passati a urlare, e i suoi gesti iconici e ormai radicati nell’immaginario comune. La scelta poi di non ritoccare niente in studio in fase di missaggio, rivendicata con orgoglio dal direttore musicale Vince Pastano, va di pari passo con la voglia di non nascondere nulla all’ascoltatore, di mostrarsi nudo e crudo, sbavature comprese.

Chi gli contesta di non scrivere più pezzi come un tempo, poi, non solo mostra ottusità (sarebbe come chiedere a Robert Plant di scrivere oggi Whole Lotta Love), ma soprattutto non ha compreso che può essere cambiata la fruibilità di alcuni brani, ma i messaggi sotto sotto restano i medesimi di sempre. Con l’aggiunta che da Vivere o niente in poi, dal vivo la differenza tra vecchio e nuovo finisce per scomparire totalmente. Per questo pezzi come Se ti potessi dire, Siamo qui o Tu ce l’hai con me convivono alla perfezione con gli altri, senza mai farti dire «ah che palle, ora fa i pezzi del nuovo disco». Le prime due in particolare, così cariche di quel mix di disillusione e speranza, con quegli ossimori tanto cari al Blasco, potrebbero venire da qualsiasi periodo della sua discografia.

Vasco al Circo Massimo. Dal film ‘Vasco Live. Roma Circo Massimo XXII’

Ecco chi è Vasco Rossi oggi. Sempre in bilico tra rimpianto e voglia di vivere in modo avventuroso, alla Kipling, come disse in passato. Un uomo che si è adattato, ha imparato e allo stesso tempo un artista che non accetta di non poter volare e di vivere senza utopie. «Credere che le utopie potessero avverarsi è stata la grande illusione della mia generazione», ha detto anni fa. «Le utopie non sono mai realizzabili pienamente. Restano e sono dei punti di riferimento ideali, fondamentali e utili, per stabilire dei percorsi verso cui tendere. Per cercare di migliorare le condizioni di vita delle persone. Potranno cambiare o essere diverse, ma non credo che mancheranno mai». È uno che poteva concludere tutto dopo Modena Park (perché tanto, più di quello cosa avrebbe potuto fare?) e che invece ha trovato gli stimoli per proseguire un percorso che, in fin dei conti, un senso non ce l’ha.

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