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Tristoia e la fiera del disco abbandonata a se stessa

Cronaca di un piovoso sabato mattina passato a Pistoia fra una dozzina di stand e bianchini alle 10 del mattino. L’amore per il vinile è una forma di attivismo culturale: meriterebbe di meglio

Foto: Florencia Viadana / Unsplash

Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di Pistoia? Intendo qualcuno che non sia toscano. Qui la chiamano Tristoia e devo dire che è un soprannome fantastico. Pistoia è una delle città più noiose in cui ho messo piede. Il classico posto in cui ti senti in provincia, molto più rispetto a un paesino con 1000 anime sull’Appennino. Conta 90 mila abitanti e una storia antica, motivo per cui i pistoiesi se la menano tantissimo e si sentono superiori ai vicini montecatinesi. L’unica cosa per cui si è parlato di Pistoia ultimamente è Don Biancalani, il prete anti-Salvini che canta Bella ciao alla messa ed è il continuum di una lunga storia politica del luogo (una storica roccaforte rossa, città natale di Vauro). Per il resto: il Niente.

Tristoia è causa del suo male. Nel 2017 è stata Capitale europea della cultura e nessuno in Italia se n’è accorto. Sgarbi lo ha ribadito in svariate interviste e si è guadagnato risentimento e antipatia in città, ma è la pura verità. Matera è riuscita a sfruttare il prestigioso titolo, Pistoia l’ha sprecato ripiegandosi su se stessa in modo autoreferenziale e poco aperto. Iniziative mal comunicate o non comunicate, un’operazione troppo sottotono per arrivare fuori dalla cerchia dei soliti frequentatori. La colpa è della comunicazione quanto di un’idea di cultura vecchia e stantia che mi dà ai nervi, che mi fa affogare, che opprime la provincia italiana tutta. Quell’idea per cui è cultura ciò che è colto,

culturoso (se la Crusca sdogana petaloso io sdogano questo), ovvero noioso. Mi arrivano le cazzo di email di iniziative culturali tenute in Tristoia, il genere di eventi a cui si presentano pensionati locali e fighe coi vestiti di lana cotta equa e solidale. La morte della cultura insomma. Quando invece la cultura è una cosa viva, di cui la gente ha bisogno.

Qualche giorno fa per esempio sono stato alla Fiera del disco, che è un classico degli eventi pistoiesi e da decenni si tiene ogni anno, un mercatino animato da privati che vendono vinili, cassette e rarità, tutta roba da metallari e collezionisti, veramente carina. Non ci mettevo piede da tantissimo, ma in vista di far qualche regalo di Natale mi si sono spinto fino a Tristoia, facendomi accogliere dalla Coop e dal Viale Macallè con la sua Questura e le vecchie mura, cercando di allontanare quel senso di oppressione che mi danno ogni volta che le vedo. Fino a pochi anni fa il mercatino si svolgeva in un capannone accanto alla Biblioteca San Giorgio (vero fiore all’occhiello della città) ed era un po’ postatomico, ma veniva un sacco di gente e c’erano decine di espositori. Questa volta invece ho parcheggiato al solito posto e ho visto che era tutto chiuso. Così mi sono messo a vagare e ho scoperto che l’evento era a due passi, ospitato nel circolo Hitachi, il dopolavoro degli operai di quella che una volta si chiamava Breda e che oggi produce i vani della metropolitana di New York o i Freccia Rossa.

Il dopolavoro Hitachi è il classico circolino abbandonato frequentato da pensionati e operai. Sorge in fondo a una strada che sembra una mulattiera bombardata di Kabul appena dopo una spettrale sede deserta del Partito Democratico. Google Maps non lo sa, ma l’accesso alla via è impedito da una barriera di cemento armato posta in mezzo alla strada e per arrivarci devi fare un giro assurdo. Non c’è un cartello, un’indicazione, niente. Ci arrivo per caso. Entro al circolo e mi giunge alle narici il forte odore di detergenti per la pulizia. Due anziani dormono sotto la televisione che manda in onda qualche oca che straparla. Qualcuno sta discutendo di politica. Si bevono già dei bei bianchini alle 10 del mattino e c’è un’atmosfera di immobilità totale. Sembra domenica, ma è sabato. Mi viene in mente: «Piove. È mercoledì. Sono a Cesena», una celebre poesia di Moretti che è anche il suo manifesto personale della tristezza. Cosa ci può essere di peggio che la pioggia a metà settimana a Cesena? La pioggia a Pistoia di sabato. 

Entro e capisco… La gloriosa Fiera del disco che conoscevo non c’è più. È stata declassata e adesso conta appena dodici espositori (prima erano più di quaranta), in uno stanzone spoglio e illuminato al neon, in cui salta la corrente e i venditori si incazzano coi proprietari perché i clienti non riescono a leggere il nome sui dorsi dei dischi. Prima ci passavi mezza giornata, adesso in mezz’ora hai visto tutto. Mi fa sorridere ricordare che la sera prima al TG1 avevo visto un servizio su New York con cui si celebrava un’epica svolta: quest’anno per la prima volta la vendita del vinile aveva superato quella dei cd. Non della musica in streaming, attenzione! Del cd. Ormai la musica su un supporto fisico è una nicchia, ma in tutto il mondo da anni si celebra la coolness del vinile, si stampano edizioni pregiate, i dischi da collezione toccano quote da capogiro. Certo è vero che non siamo a Brooklyn, ma esiste un mercato di collezionisti e in un evento del genere potrebbe essere sfruttato. In fin dei conti Pistoia alla musica deve tanto. Il Pistoia Blues Festival è stato per decenni un importante festival musicale internazionale, prima di ridursi a essere l’ultima spiaggia di Ben Harper (praticamente un resident) e di qualche artista raccattato qua e là che col blues non c’entra più niente. 

La fiera del disco è portata avanti da privati, ma l’amministrazione potrebbe concedergli qualcosa in più. Invece gli espositori non vogliono sentir nominare il comune, buono solo «a chiedere soldi per l’affitto della location (3k a weekend)», incapace di dialogare con quella che potrebbe essere una risorsa. Per carità, a Tristoia il comune spende e spande per la cultura, solo che sono sempre le solite menosissime iniziative. Come i Dialoghi sull’Uomo (dal sito: “un festival di approfondimento culturale dedicato all’antropologia del contemporaneo”, Cristo santissimo…). Ma è solo quella cultura? Il comune potrebbe creare un’occasione da questa spina nel fianco e trasformarla in risorsa: invitare giornalisti, musicisti, fare qualcosa di attuale, parlare della musica, dello streaming, del futuro, di arte. A Milano lo saprebbero fare, ci tirerebbero fuori un TED e infatti hanno una Fiera del disco che è una meraviglia. Perché in provincia si lascia correre tutto così, sempre uguale a se stesso? 

Me lo chiedevo al circolo, nello stanzone freddo mentre il barista cercava di riattivare la corrente e un mod col parka ci provava con l’unica donna presentabile in sala. Passare lì la mattinata del weekend, vendere dischi al freddo, credo sia una sorta di attivismo culturale. Altro che i saloni agghindati del comune, le celebrazioni pompose, i giornalisti, gli anniversari, le medaglie… Non avevo di fronte “espositori”, ma ambasciatori di una passione che si sta estinguendo, riuniti al buio al circolino di Pistoia e se non è amore questo allora come diceva Raymond Carver: voi non riconoscereste l’amore nemmeno se si alzasse e ve lo mettesse nel culo.

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