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Tira aria di fine carriera nell’ultimo disco di Drake

Il rapper vuole dirci qualcosa? Sta per lasciare la scena a una generazione giovane e affamata? ‘Scary Hours 2’ sembra il podcast di Springsteen e Obama: una conversazione sul passato più che sul futuro

Tira aria di fine carriera nell’ultimo disco di Drake

Drake a Toronto nel 2018

Foto: Mark Blinch/The Canadian Press via AP

C’è tutto un rituale che precede la pubblicazione degli album di Drake e che prevede che il rapper mette i suoi pensieri in libertà in un mixtape o in un EP. Di solito di mezzo c’è Rick Ross. Venerdì scorso Drake ha pubblicato Scary Hours 2, il secondo di una serie di EP che dovrebbero precedere l’uscita del nuovo album. Oramai il format è noto – c’è Drake che prova stili moderni, che invita un rapper emergente, che parla delle cose belle della vita con Ross – eppure in Scary Hours 2 c’è qualcosa di diverso. Da alcuni mesi oramai girano voci secondo cui il prossimo album di Drake Certified Lover Boy, mezzo annunciato e poi rimandato, sarà il suo ultimo. Ed effettivamente ascoltando l’EP ci si fa l’idea che la fine del Drake Show sia vicina.

L’EP si apre con l’energica e un po’ criptica What’s Next. Prodotta da Maneesh & Supah Mario, sembra il lato B di Whole Lotta Red, con Drizzy che cerca di stare al passo con l’hip hop nell’era di Pi’erre Bourne. Ci sono il suo flow elastico e vanterie modeste tipo “ho fatto sesso il giorno di San Valentino”. E però la canzone ci ricorda perché Drake è stato un numero uno nella fabbrica delle hit per un decennio. Quando rappa “sono nella Hot 100, Numero Uno, non è roba che ti regalano” sembra prendere di mira lo sforzo malcelato di altri artisti di arrivare in cima alla classifica. Nell’era dello streaming, che proprio lui ha contribuito a definire, è significativo che Drake si metta a flexare in questa maniera. Mostra che è in grado adattarsi alla sensibilità delle nuove generazioni e soprattutto dà l’impressione che vantarsi dei propri successi stia diventando noioso, persino per uno come lui.

Per buona parte della sua carriera, Drake è stato accusato di sfruttare gli artisti più giovani per rimanere rilevante, ma è una tesi che cade ascoltando Wants and Needs con Lil Baby. Il flow di Drake è ipnotico. Un po’ come in altre occasioni in cui ha strizzato l’occhio alla UK drill, parola rappata e parlata tendono a (con)fondersi. Ma Wants and Needs è soprattutto un pezzo di Lil Baby. Contiene una delle sue parti più eccitanti ed è diverso da altre collaborazioni di Drake. Dopo aver ascoltato un pezzo che sembra un assist a uno dei suoi eredi, si fatica a continuare a pensare a Drake come a un avvoltoio.

O forse c’è che Lemon Pepper Freestyle con Rick Ross è roba degna dell’ultima stagione dei Soprano. Si sa che a Drake piace far poesia sulla propria storia personale, ma non stavolta. Pare d’ascoltare due boss della mafia che sanno che è arrivato il loro giorno, che saranno spazzati via da una nuova generazione di giovani affamati e imprevedibili o semplicemente dalle pressioni derivanti dall’età adulta. Voglio dire, Drake si mette a rappare dei colloqui con gli insegnanti del figlio. C’è un campionamento di Pressure di Quadron e c’è la stessa sensazione che si prova ascoltando il podcast in cui Bruce Springsteen e Barack Obama parlano delle loro carriere. Drake suona particolarmente riflessivo quando rappa che “accidenti, non sono rimaste troppe similitudini nelle nostre vite”. È come se stesse parlando al suo pubblico che in passato si è riflesso nei pezzi in cui si mostrava più vulnerabile.

Drake è stato un rapper generazionale. Ha dato l’impressione di far musica per tutti e per nessuno in particolare. È uno degli artisti di maggior successo del pianeta, eppure rappava come se avesse contro il mondo intero. E riusciva a far sembrare vera questa cosa. In Scary Hours 2 non c’è questo senso di urgenza, c’è più comfort. “L’ho avuto a lungo, non lo celebro nemmeno”, rappa a un certo punto. Sembrano le parole di uno che sta per ritrarsi.

Forse sarebbe un po’ troppo anche per Drake se, fresco d’infortunio al ginocchio, pubblicasse un disco che mette fine alla sua carriera in questo modo, un’opera di cui potremo guardare il making fra vent’anni su Netflix. Ma ne abbiamo viste di cose strane, no?

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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