Taylor Swift è un unicorno. Così nel linguaggio imprenditoriale vengono chiamate le startup che diventano aziende d’immenso successo, casi rarissimi d’imprese che raggiungono il miliardo di dollari di valutazione. Forse qualcuno l’ha dimenticato, ma in un certo senso anche Swift è stata una startup innovativa, ma dal futuro incerto e dalla business proposition a cui pochi credevano: usare la musica country per parlare a un segmento di pubblico altrimenti ignorato da Nashville, quello delle adolescenti. Da allora è cresciuta e cambiata radicalmente, ha affrontato sfide di mercato e rovesci reputazionali. La 19enne imbarazzata di fronte alla tracotanza di Kanye West agli MTV VMAs del 2009 è diventata un fenomeno culturale di prima grandezza. Grazie a scelte commerciali e creative brillanti ha dimostrato d’essere «istintivamente ed eccezionalmente brava» a fare quel che insegnano le business school. Un caso unico o quasi. Un unicorno.
È la tesi di There’s Nothing Like This: il genio strategico di Taylor Swift, il libro di Kevin Evers, senior editor di Harvard Business Review, che è stato ora tradotto in italiano da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi. Evers racconta la carriera di Swift come farebbe con quella d’un grande innovatore o di un genio del marketing. Non c’è motivo alcuno, scrive, per cui il successo della popstar debba essere affrontato in modo diverso da quello di un Jeff Bezos o di un Elon Musk. Del resto da tempo ormai le scelte strategiche e commerciali fanno parte della narrazione che circonda la musica pop, sono argomenti di conversazione tra i fan più accaniti, finiscono per influenzare la percezione del pubblico. È doppiamente vero per Swift. «Taylor è la discografia», scrivono con compiacimento molti Swifties. Il suo potere è parte integrante del suo fascino.
Evers descrive Swift come una persona ad alte prestazioni. Sono individui che, per dirlo con la psicologa Heidi Grant, «si preoccupano di quel che potrebbe andare storto se non lavorano abbastanza sodo o se non stanno abbastanza attenti. Stanno all’erta e giocano per non perdere, per aggrapparsi a ciò che hanno, per mantenere lo status quo». Estenuante, vero? È una tendenza che ha qualcosa di paranoico, aggiunge Evers, e del resto come ha detto Andy Grove, fondatore di Intel, il successo genera compiacimento, che a sua volta genera fallimento e quindi solo i paranoici sopravvivono. Swift è poi raccontata nel libro come una persona incentrata sulla promozione, una di quelle che «vedono i loro obiettivi come un percorso di crescita o avanzamento e si concentrano sulle ricompense che otterranno una volta raggiunti tali obiettivi. Sono avide e giocano per vincere. Le persone incentrate sulla promozione sono quelle che non hanno problemi ad assumersi dei rischi, che amano lavorare a ritmi sostenuti, che sognano in grande e che pensano in modo creativo» (Grant).
Esordiente, Swift ha scritto canzoni per un pubblico country e giovanissimo che, secondo i dati, semplicemente non esisteva. Ha occupato un’area di mercato non ancora contesa, il cosiddetto oceano blu. «Gli altri artisti e dirigenti si sarebbero azzuffati per accaparrarsi una fetta più grande del mercato preesistente, il cosiddetto oceano rosso», dove però la concorrenza era spietata. La strategia degli esordi della cantante e del suo allora discografico Scott Borchetta ricorda a Evers quella della Marvel: «Anche loro si rivolgevano ai non clienti (nel loro caso i teenager) fino a quel momento ignorati dall’industria musicale. Anche loro hanno puntato a creare contenuti autentici e convincenti per quel pubblico: canzoni scritte da un’adolescente, non da un cantautore veterano di Nashville».

Novembre 2022, Taylor Swift vince un MTV VMA per ‘All Too Well (10 Minute Version)’. Foto: Dave Hogan/MTV/Getty Images for MTV
In un’epoca pre Instagram, Swift ha sfruttato le potenzialità di interazione diretta coi fan offerta da MySpace e dai primi social, li ha coinvolti nella promozione, ne ha incontrati a migliaia (si dice mezzo milione), «impegnandosi in maniera quasi patologica» con loro. Ha un’acuta comprensione della vita emotiva dei fan e sa che non conta solo il prodotto in sé e per sé (ovvero il disco, la canzone), ma ciò che deve fare per gli acquirenti. Così come la gente non vuole «necessariamente uno smartphone, ma un centro di intrattenimento, un archivio per i ricordi personali e le indicazioni stradali», lei capisce che le adolescenti non vogliono solo delle canzoni, ma qualcosa che le aiuti «ad articolare i loro sentimenti e a capire chi sono – la loro identità e la loro autopercezione – e, così facendo, farle sentire come se avessero instaurato con lei relazioni profonde, personali e intime». Si passa così dal consumo passivo al coinvolgimento attivo. Meglio di altri, Swift ha capito che far ascoltare non basta più. L’imperativo è rendere il pubblico compartecipe di una storia.
Per rimanere rilevante, Taylor Swift è cambiata più volte, dal passaggio spudorato al pop di 1989 all’indie di Folklore e Evermore, per fare due esempi. Nel farlo, ha sempre messo al centro i suoi testi, cosa rarissima nel mondo pop, e ha cercato quelli che gli studiosi di management chiamano shock positivi, «ovvero interruzioni improvvise di collaborazioni di successo che ti aiutano a sviluppare nuove idee e ti costringono a essere più flessibile e agile. L’idea è che una rete stabile di collaboratori è una buona cosa, finché non smette di esserlo. Alla fine la stabilità porta a una rigidità cognitiva e sociale: si smette di pensare in modi nuovi, si smette di ascoltare nuove idee al di fuori della propria cerchia. Soffoca la creatività». Potrebbe funzionare, ma questo lo aggiungo io, anche come commento al passaggio tra la produzione tiepida di Jack Antonoff in The Tortured Poets Department al prossimo The Life of a Showgirl, che tutti s’aspettano già ritmato, brillante, vitale.
Più il cambiamento è radicale e più ha bisogno di una narrazione avvincente per il pubblico, un altro campo in cui Swift eccelle. Evers lo spiega citando l’imprenditrice Anne Morriss e Frances Frei, che ha guidato trasformazione di Uber: «La vostra storia può trasformare l’organizzazione plasmando attitudini e convinzioni, a partire dalle vostre. La storia che raccontate a voi stessi crea le premesse per il cambiamento organizzativo che state immaginando. E quando la condividete abilmente con gli altri, la vostra storia inizia a diventare la loro realtà». L’entusiasmo di Swift vi sembra eccessivo? In realtà «i migliori narratori del cambiamento sono evangelici rispetto al futuro e non perdono mai occasione per manifestare il proprio entusiasmo». Un’altra cosa in cui Swift è una campionessa è l’interazione costante visto che «una comunicazione frequente fa sì che la vostra storia venga interiorizzata».
Il successo di Taylor Swift è tale da farla entrare «in quello spazio rarefatto in cui le celebrità o i marchi assumono un significato culturale più profondo». La devozione che suscita nei fan è simile a quella che il brand Apple suscita nei clienti più che fidelizzati. «Sono più grandi dei settori in cui operano. Hanno reputazioni difficili da eguagliare». Non significa che non debbano affrontare sempre nuove sfide, anzi, basti pensare alle registrazioni manipolate diffuse da Kanye West e Kim Kardashian che ne hanno incrinato l’immagine o il calo di vendite (relativo) di Reputation e Lover. Uno dei modi in cui Swift ha affrontato alcune di queste traversie è ribaltando la narrazione e anche questa è una cosa tipica delle campagne dei brand che prendono atto di critiche o malintesi e li integrano nella loro comunicazione.

Un’altra strategia messa in atto dalla cantautrice è l’uso del comportamento emotivo come risorsa nella competizione negli affari. È il caso del progetto ambizioso fino a sembrare irragionevole delle Taylor’s Version ideate per “riprendersi” i dischi quando i master degli stessi erano in mani altrui. A volte essere irragionevoli e non tracciare una linea tra questioni professionali e personali può aiutare a spuntarla. Gli avversari hanno cercato di screditarla dipingendola come manipolatrice e invece le reazioni emotive possono essere più utili del perseguimento logico e razionale dell’interesse personale se si è disposti a spingersi fino al limite, come ha fatto lei recidendo quattro vecchi album prima di riavere il controllo sui master, una cosa che pochi credevano avrebbe fatto. «Se riuscite a convincere il vostro concorrente che siete abbastanza avventati o irrazionali, potete vincere senza dover arrivare alla roulette russa». Accompagnate dall’Eras Tour basato anche sui vecchi dischi, le reincisioni sono secondo Steven Hyden di Uproxx anche un modo di «riprogrammare l’algoritmo interno del pubblico meglio di tutti i suoi concorrenti, per evitare che la sua fama storica remi contro la sua fama attuale. Riesce a essere contemporaneamente un’icona del passato e un’artista pop attuale».
C’è un altro aspetto forse sottovalutato che Evers sottolinea. Swift viene da un’epoca pre-streaming e ha avuto successo nell’era dei supporti fisici. È un patrimonio notevole, perché ha della sua un pubblico disposto a comprare un milione e passa di vinili e di CD nella prima settimana di pubblicazione, cifre dell’altro secolo. Ma è anche un limite emerso ai tempi di Lover quando Swift stava perdendo quote di mercato. Il suo vantaggio competitivo l’aveva spinta a non mettere in discussione le scelte di marketing. È stata perciò necessaria una revisione strategica. Se un tempo il lancio di un suo album seguiva un iter tradizionale con singoli preparatori, copertine delle riviste, apparizioni televisive, arrivando persino a pubblicare Reputation in streaming un mese dopo l’uscita nei negozi, Swift ha cambiato radicalmente strada. Ha cominciato a pubblicare più musica, una quantità spaventosa contando anche le Taylor’s Version, lanciandola spesso a sorpresa e riducendo la presenza nei media tradizionali. Più canzoni, meno promozione. «Essere più prolifica come autrice ma più enigmatica come interprete» le è servito anche a calibrare le informazioni per tenere alta la curiosità dei fan. I media tradizionali non le servono più. Può creare clamore nascondendosi e poi rivelando qualcosa in modo mirato.
È notevole che Taylor Swift sia diventata un fenomeno culturale tanto ampio e apprezzata in modo profondo in un’epoca di inflazione dell’attenzione, in cui l’ascolto di musica è spesso superficiale e passivo ed è sempre più difficile generare interesse, per non parlare di un entusiasmo di lunga durata. Secondo Caroline Mimbs Nyce dell’Atlantic, Swift ci è riuscita usando metodi che vanno ben oltre le categorie tradizionali miranti a coinvolgere i fan della musica. Si avvicina piuttosto alle interazioni in tempo reale che sperimentano i gamer, col vantaggio come si è detto d’essere diventata una superstar nell’epoca pre-streaming e quindi di avere sviluppato “relazioni” quasi ultradecennali coi fan. Gli Easter eggs che lascia qua e là spingono i fan a lanciarsi in una caccia all’indizio, un videogame consumato tra video, foto e libretti dei CD, un gioco che rafforza il legame parasociale.
Se Taylor Swift è riuscita a diventare quel che è, scrive Evans, è perché è una star antifragile, un concetto che si riferisce «alle cose che non solo resistono allo stress e agli shock, ma prosperano e migliorano proprio grazie ad essi, un po’ come il nostro sistema immunitario, che sviluppa anticorpi quando viene esposto al virus contenuto in un vaccino». La sua potrà anche sembrare un’ascesa vertiginosa e senza fine, con un picco epocale rappresentato dall’Eras Tour, il giro di concerti di maggior successo di sempre, ma Taylor Swift ha dovuto superare problemi reputazionali e cambiamenti radicali nel mercato e nei media. Lei, antifragile, non li ha solo superati, ma li ha usati come leva per la crescita e stimolo per reinventarsi, controllando in maniera ossessiva il suo racconto. Si dice che chi controlla la narrazione controlla il futuro e lei il suo futuro lo sta sicuramente scrivendo in questo momento. Magari non ce ne stiamo accorti, ma ha probabilmente lasciato qua là qualche piccolo indizio.














