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Tanti auguri Mark Knopfler, il sultano che ama le cose normali

Oggi la leggenda dei Dire Straits compie gli anni: un antidivo schivo e insicuro, sopravvissuto al punk e alla fine di una delle band più importanti della storia del rock

Foto: CTK / Alamy / IPA

Fa davvero strano pensare che oggi Mark Knopfler compia settantadue anni. Non tanto per quella nostalgia che ci porta a pensare che i nostri idoli non debbano mai invecchiare, ma piuttosto perché ci riesce difficile credere che il buon Mark abbia l’età dei nostri genitori, quelli che magari andiamo a trovare a pranzo la domenica. Che poi, a pensarci bene, quella dell’ex leader dei Dire Straits è stata una carriera basata da sempre sul basso profilo, sulla parola taciuta piuttosto che detta a vanvera, sul concetto di less is more. Basti pensare al debutto della band di Sultans Of Swing: nel 1977, Mark aveva quasi ventotto anni e una maturità – anche anagrafica – che contrastava totalmente con quella degli idoli del rock che l’avevano preceduto, ma anche con quelli che insieme a lui avrebbero segnato indelebilmente l’immaginario degli anni ottanta.

Giusto per capirci, uno come Springsteen, nato qualche settimana dopo di lui, nel ’77 stava già lavorando al quarto disco della propria carriera, potendo contare su un million seller del calibro di Born To Run. Non che Mark avesse scoperto la musica e la chitarra in età adulta, anzi, ma il suo carattere schivo e la sua paura di non essere all’altezza dei maestri con cui era cresciuto avevano reso il suo avvicinamento al music business più complicato del previsto. Già nel 1965, spinto dall’amore per Bob Dylan, Mark aveva dato vita ad un duo folk insieme alla compagna di scuola Sue Hercombe che aveva acquisito una certa notorietà dopo un’apparizione televisiva su un’emittente locale. Quel piccolo riconoscimento, tuttavia, invece di rinforzare la sua autostima, finì per aumentare le pressioni: da lì alla nascita dei Dire Straits, infatti, pur continuando ad affinare la sua arte di compositore e scrittore, il senso di inadeguatezza che ne aveva caratterizzato l’infanzia pareva non volerne sapere di farsi da parte.

Il momento storico, poi, sembrava avvalere le convinzioni del musicista: come poteva interessare al pubblico una proposta che spaziava dal blues al rock ‘n’ roll delle origini, mentre intorno le radio e l’attenzione mondiale erano equamente divise tra disco music e punk? Come sappiamo, invece, le cose andarono molto diversamente. A un certo punto, però, dopo una serie di hit capaci di competere con quelle dei Police dell’amico Sting e un’ascesa culminata con l’iconico Brothers In Arms, Mark si accorse che tutta quella fama non lo aiutava a vivere meglio. Nemmeno produrre un album per il nume tutelare Bob Dylan, l’ottimo e sottovalutatissimo Infidels, era stato in grado di incoraggiarlo. Quella del rifiuto del successo non era una cosa capitata solo a lui, gente come Jim Morrison o, qualche anno dopo, Kurt Cobain lo sapeva bene.

A differenza loro, però, Knopfler possedeva quella stabilità mentale ed emotiva per far fronte a quello che gli stava succedendo e, dopo lo stanco epilogo di On Every Street, decise che fosse meglio tornare ad indossare i panni di un tempo, quelli di quando scriveva pezzi nella sua stanza solo per il gusto di farlo. Non aveva più bisogno di conferme e rinforzi positivi, di folle adoranti e singoli da classifica. Antidivo era nato e antidivo sarebbe tornato: «Negli ultimi anni eravamo diventati una struttura gigantesca: durante i tour mi capitava di mangiare con persone del nostro staff che non conoscevo nemmeno, mentre a me sarebbe piaciuto stare un po’ a casa con i miei figli e dedicarmi a ciò che so fare meglio, ossia scrivere canzoni. Considero i Dire Straits come un luogo meraviglioso da visitare, ma non in cui fermarsi per viverci». E chi se ne frega se non leggeremo mai una sua biografia ricca di particolari piccanti, di storie vissute nei backstage di mezzo mondo o di quanta droga riuscisse a fare fuori nel giro qualche ora, perché ci sono artisti per i quali il lato selvaggio del rock ‘n’ roll non è mai stato un mito da perseguire con autocompiacimento.

La verità è che Mark Knopfler, così come pochissimi altri artisti (i primi a venire in mente sono i R.E.M.) è riuscito a fare la scelta più difficile possibile in questo settore: ha smesso di fare ciò che non lo divertiva più, quello che volevano gli altri, senza correre il rischio di diventare una macchietta patetica capace solo di riproporre la stessa scaletta per venticinque anni. E, per altro, senza smettere di comporre e suonare in giro per il mondo. Le ultime volte in cui mi è capitato di vedere gente come Deep Purple, AC/DC o Rolling Stones, solo per citarne una manciata, ho provato infinita tristezza, qualcosa che Mark ha fatto in modo che non accadesse mai con i Dire Straits. In fin dei conti, non basterebbe solo questo per augurargli altri cento di questi giorni?

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