Set Up, il festival che vuole salvare Venezia dalla noia di febbraio | Rolling Stone Italia
VITA A VENEZIA

Set Up, il festival che vuole salvare Venezia dalla noia di febbraio

Musica, danza, performance per due serate immersive negli affascinanti spazi di Punta della Dogana in un festival che trova la sua affermazione in un momento di sosta del calendario della laguna

Set Up, il festival che vuole salvare Venezia dalla noia di febbraio

Marta Cuscunà

Foto: Matteo De Fina

A Venezia si cammina sempre. L’inverno è incredibilmente umido e ti entra dentro come per non lasciarti mai. Le facciate dei palazzi, quelli più scoloriti, a volte sembrano piangere di una splendida malinconia. Succede poco nei primi mesi dell’anno qui, lo dicono i local, ma anche gli acquisiti. Si passa quindi il tempo rifugiandosi di bacaro in bacaro, tra cicchetti di baccalà e spritz, in palazzi d’arte e opere minori che in qualsiasi altro luogo potrebbero essere pubblicizzate in pompa magna e che qui, nel ventre dell’arte, sono la norma. Le grandi mostre di questi giorni sono ferme e si attende l’esplosione del Carnevale per ripartire.

Set Up, il festival prodotto da Palazzo Grassi per Punta della Dogana organizzato con la curatela di Enrico Bettinello e la collaborazione del festival lombardo Terraforma, si inserisce proprio in questo contesto del febbraio veneziano che – Carnevale a parte – è un momento transitorio per la città. Il festival infatti approda negli splendidi spazi espositivi di Punta della Dogana sfruttando il momento di pausa tra il disallestimento di una grande mostra e l’allestimento di quella successiva (in questo caso dalla personale di Bruce Nauman alla collettiva Icônes prevista ad aprile).

Foto: Matteo De Fina

La peculiarità di Set Up è difatti il suo format site-specific, con i tre palchi che vengono a formarsi in dialogo con gli ambienti di Punta della Dogana, luogo dell’arte per eccellenza della laguna; una prima stanza, la Navata 1, è dedicata a performance e danza, il Cubo, lo stage a 360 gradi senza palco, è invece pensato per i set musicali più performativi mentre la Navata 2, che funge da main stage, è l’unica con un vero palco per concerti e dj set. Un approccio fluido che ha l’obiettivo di condurre il pubblico in un’esperienza il più possibile immersiva e libera.

Un’idea di immersione che si realizza, principalmente, all’interno del Cubo nel set ambient della dj e producer di origini norvegese-messicane Carmen Villain, dove il pubblico si muove attorno all’impianto, tra chi rimane in piedi ad ondeggiare e chi si sdraia a terra per lasciarsi trasportare dal viaggio, o nella performance Dancefloorensick di Riccardo Benassi, dove la techno rotonda dell’artista non è sola accessoria al ballo, ma diventa politica nella serie di video-essay dal tratto poetico e sociale che scorrono sul ledwall.

Foto: Matteo De Fina

Quindi non solo musica, quella c’è – e tanto – con l’elettronica politica che affronta temi come appropriazione culturale, misoginia e razzismo di Charlotte Adigéry & Bolis Popul (che abbiamo intervistato qui), l’afro-barocco di Tolouse Low Trax, le batterie di Andrea Belfi e la performance naif dall’attitudine world e post-punk dell’ensemble svizzero formato da 12 componenti dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, ma anche danza, con le esibizioni di Leïla Ka e Mellina Boubetra, e performance con il già citato Riccardo Benassi e il teatro visivo di Marta Cuscunà qui in scena con Corvidae. Sguardi di specie, opera dedicata ai temi dell’ecofemminismo. E ancora il ballo, forte e inarrestabile, con i dj set ricercati di Nkisi e Deena Abdelwahed. Un pensiero che viene ben sintetizzato dalle parole del curatore Enrico Bettinello: «Set Up non è un festival musicale, non è un festival di danza e nemmeno di arti performative. È tutto questo, e di più».

Il «di più», viene da aggiungere, è anche ciò che un festival come Set Up porta alla città. L’importanza dei festival, e soprattutto quelli ben pensati anche a livello di calendario (che evitano problematiche di sovraffollamento e di competizione, generando nuove economie in momenti ‘morti’), è anche la capacità di avere una ricaduta virtuosa sul territorio, con l’arrivo di nuove persone e la nascita di una serie di attività collaterali (volute o meno poco importa) anche non collegate alla rassegna di per sé. È questa la forza generatrice della cultura, troppo spesso sottovalutata o, ancor peggio, dimenticata a favore della produzione spietata di grandi eventi che entrano ed escono dai territori senza lasciti.

Foto: Matteo De Fina

Set Up è quindi, prima di tutto, un’ottima idea, che riflette sulla propria comunità omaggiando la propria città di residenza; una notizia davvero buona per Venezia. E poi ancora un ottimo festival con grandi margini di miglioramento – che con il fascino della propria location e una line up ricercata e transdisciplinare – è riuscito a segnare un doppio sold out in entrambe le serate, per di più in prevendita. Speriamo possa essere d’ispirazione per altre politiche culturali sane e virtuose, anche al di fuori della laguna.