Sapessi com’è strano ascoltare il Sacro Album dei Pink Floyd al cinema | Rolling Stone Italia
Il giubileo d'oro degli audiofili

Sapessi com’è strano ascoltare il Sacro Album dei Pink Floyd al cinema

Che effetto fa risentire 'The Dark Side of the Moon' 50 anni dopo, in una sala con un grande impianto audio e assieme ad altre 100 persone nell'epoca degli auricolari e degli ascolti individuali

Sapessi com’è strano ascoltare il Sacro Album dei Pink Floyd al cinema

David Gilmour e Roger Waters coi Pink Floyd negli anni '70

Foto: Jill Furmanovsky

Un centinaio di persone in una sala buia. Il fatidico Prisma incombe su di loro, le guarda (o sorveglia). Iconico, ovviamente, come ribadisce più volte la cartella stampa che spiega l’intera operazione. E per tre quarti d’ora, queste persone ascoltano un disco. In realtà ogni tanto qualcuno tira fuori lo smartphone, nessuno lo ha confiscato all’entrata. Però l’idea alla base di tutto è la cosiddetta esperienza immersiva. Ascoltare The Dark Side of the Moon senza fare altre cose contemporaneamente. Anche perché ora lo si può ascoltare in una nuova rimasterizzazione, l’ennesimo adattamento per un nuovo fantasmagorico sistema audio: è dal 1973 che il progresso tecnico garantisce una nuova versione definitiva di questo disco. E ogni giorno, il ragazzo dei giornali ne porta altre.

Il Sacro Album riempie la sala. Per forza di cose (visto anche il volume) chi vi scrive fa caso a dettagli che magari aveva trascurato negli ascolti ordinari (nonimmersivi). Esempio di pensierini nel buio:
– Nick Mason non gode della fama che merita, così come…
– la voce di David Gilmour è sottovalutata rispetto alla sua chitarra. Oppure:
– le risate percepite sono meno di quelle effettive;
– incredibile, uno dei dischi più venduti della storia non ha ritornelli;
– forse nel 1973 Money era funky;
– che meraviglia il sax grassone di Dick Parry. E poi,
– al di là degli accordi incantevoli di Richard Wright, il momento da bocca aperta è, sì, banalmente, quando entra in scena Clare Torry, la tipa con l’aria da casalinga che chiese 30 sterline perché che diamine, aveva dovuto lavorare di domenica;
– però anche cogliere tutte le pennate di Any Colour You Like, che normalmente si ascolta distrattamente mentre viene risistemato il palco in vista del Gran Finale, può essere un’esperienza nuova.

Può esserlo, anche se in mezzo secolo, milioni di persone hanno ascoltato con concentrazione e trasporto superiori questo (e altri) album nelle loro stanze. Eventualmente al buio, forse con qualcun altro. Qualcuno su un giradischi (o mangiacassette) scrauso, qualcuno su uno stereo da competizione: un tempo The Dark Side of the Moon era il disco-bandiera di quella cosa che chiamavano alta fedeltà, degli impianti che permettevano di sentire, alla fine, anche il fantasma del brano dei Beatles rimasto sul nastro riciclato negli studi di Abbey Road.

Ma non bisogna pensare che questa modalità di ascolto, senza chattare o sparare agli zombie o comprare scarpe online o rimodellare i glutei, sia un’abitudine per boomer. Da decenni The Dark Side of the Moon è diventato una specie di rito di passaggio, di rifugio per quei 16-24enni che per qualche motivo non trovano le risposte ai loro dubbi nella top 50 (ah, valli a capire). Non sono una maggioranza, evidentemente – nemmeno tra gli adulti, del resto. Anche ai concerti più rocksnob, la quantità di gente che parla, fa video, mangia e beve o balla (legittimamente, sia chiaro) è schiacciante. Gli stessi Pink Floyd se ne avvidero: proprio a causa dell’immenso successo di questo disco, dovettero salutare quelli che li ascoltavano in silenzio, magari senza nemmeno guardare il palco (tanto, non succedeva mai molto) e fronteggiare masse indisciplinate che gridavano, tiravano petardi, chiedevano le canzoni famose e sbadigliavano durante la lunga Echoes.

Così, quelli che volevano ascoltare, se ne facevano una ragione e si mettevano in casa l’impianto hi-fi, un concetto che oggi pochi under 40 trovano ragionevole. Dopo tutto, al di là delle fortune del mercato (o mercatino) del vinile, a far brindare e sniffare i discografici del mondo per un +9% di volume di affari nel 2022 è sostanzialmente la musica che esce da telefonini e computerini. Che molto spesso è basata su suoni computerizzati e telefonici, dagli unzunz delle basi dei producers ai piagnistei autotunati di popstar che di fatto esistono esclusivamente per consigliare ai giovani come vestirsi, non per dare risposte sulla vita o sul tempo o su cosa fare quando la band in cui suoni inizia a suonare una canzone che non riconosci. E poi, non facciamone una questione di vecchio o di nuovo, ma solo di evoluzione: quella che per secoli è stata chiamata musica, nei componimenti moderni è in secondo piano rispetto a voce e base. Non dite «è sempre stato così», alla Vittorio Feltri, perché la persistenza in classifica di The Dark Side of the Moon è la prova che oggi la musica si sta sciogliendo come le nevi sulle montagne: il clima non è favorevole. Ma il registratore di cassa fa ding come quello di Money, quindi evviva.

L’edizione di ‘The Dark Side of the Moon’ per i 50 anni del disco

L’appeal della musica ci riporta, finalmente, alla nuova edizione per audiofili di questo disco con ben quattro tracce prive di parole. Fa tutto parte della nuova offensiva per celebrarne giubileo del Lato Oscuro, e prevede versioni in cd, vinile, Blu-Ray e dvd con l’originale mix 5.1 e le versioni stereo rimasterizzate, più la pubblicazione di una versione live d’epoca (quella della Wembley Empire Pool del 1974). Ma quella che è stata presentata ai media al cinema Anteo di Milano è la versione audio spaziale con Dolby Atmos, che sarà disponibile sia su Blu-Ray che su Apple Music. Che come anche i meno geek tra i lettori di Rolling Stone dovrebbero sapere, sono due cose in teoria antitetiche. Un formato sostanzialmente “casalingo” e uno mobile, da ascolto in cuffia, tramite smartphone o computer. Us and them, verrebbe da dire. Ma non solo: un’ipotesi alla quale la casa discografica sta pensando è quella di insistere sull’ascolto nelle sale cinematografiche, quelle ovviamente attrezzate per la sonorità immersiva di cui sopra.

Chi scrive non è audiofilo, mai stato, pardon. Certi terrificanti radioregistratori Grundig e Hitachi gli hanno dato tantissimo, nella personale scoperta della musica; e i successivi piatti Technichs o piastre Nakamichi gli hanno dato tanto, è vero, ma senza cambiargli la vita. Il che non significa che chi scrive non usi le orecchie – non a caso è andato a origliare i commenti degli audiofili in sala. E c’era qualche fruscìo. Le aspettative, rispetto alla storica versione quadrifonica ma anche alle rimasterizzate dei decenni successivi, erano altissime. Apparentemente questa versione, basata sul lavoro di rimasterizzazione del 2011 per adattarlo alle nuove possibilità dell’audio spaziale, non ha portato quel grande balzo che avrebbe dovuto portarci tutti direttamente ad Abbey Road nel 1973, nel delirio di nastri e cavi armoniosamente domati dalla band e da Alan Parsons. Qualcuno ha ipotizzato che ci sia stato un piccolo problema tecnico con il mixer del cinema. Qualcun altro che la scelta di esaltare l’ascolto in cuffia abbia finito per deprimere le potenzialità della grande armée di diffusori di un cinema prestigioso come l’Anteo.

Chi scrive vorrebbe dare più elementi in merito ai più esigenti, ma al momento non è possibile. Tuttavia, qualora venisse dato un seguito all’idea di portare al cinema The Dark Side of the Moon (o altri dischi, ma quali? Fate delle proposte), si sente di raccomandarla ai fan. Se non altro, per non ascoltarlo sempre da soli. Perché si sa che se si costruisce un muro tra sé e i propri simili, poi… Beh, ma questa è un’altra storia, ne riparleremo nel 2029.

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