Rolling Stone Italia

Riscoprire i Rutles, i veri Beatles finti

Macché intelligenza artificiale. Negli anni ’70 le intelligenze naturali di Eric Idle (Monty Python) e Neil Innes (Bonzo Dog Doo-Dah Band) misero in piedi una band che clonava, onorava e sbeffeggiava il mito dei Fab Four. Con la loro complicità

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Il 2023 ha decretato nuovamente il successo di una band che paradossalmente non tutti davano per vincente: i Beatles. A dispetto del ricambio generazionale piuttosto importante avvenuto nel pubblico, il lancio di Now and Then come ultimo singolo definitivo del gruppo e la rimasterizzazione delle raccolte blu e rossa hanno avuto risultati notevoli, coi soliti detrattori pronti ad attaccarli perché sono Beatles finti. Ecco, ci si dimentica che i Beatles finti ci sono stati davvero, con la complicità dei Beatles stessi: rispondono al nome di Rutles.

Oggi il nome probabilmente dirà poco all’ascoltatore medio, ma a fine anni ’70 divennero un caso in Inghilterra, riuscendo a entrare nelle classifiche. Una band parodia che col senno di poi era molto di più, tanto avanti da presagire la possibilità di riprodurre la matrice di partenza utilizzando un pastiche di frammenti di canzoni famose dei Beatles per ottenere qualcosa di nuovo e molto vicino agli originali. In pratica, se oggi è possibile far produrre alle AI nuove canzoni dei Fab Four, i Rutles non ne avevano bisogno perché facevano tutto “a mano”, artigianalmente, mettendo in crisi il concetto di copyright tanto da rischiare – e chiaramente ottenere – delle grane.

Ma andiamo con ordine. I Rutles sono una creatura di Eric Idle, ex Monty Python, e Neil Innes, ex Bonzo Dog Doo-Dah Band ma considerato anche il settimo Python per i servigi resi. Nascono nel 1975 per uno sketch della serie televisiva comica Rutland Weekend Television, da cui il nome. All’inizio vengono presi di mira i Rolling Stones (circolava il nome The Rutland Stones in sede di sceneggiatura), ma la prima canzone scritta da Innes I Must Be in Love era troppo beatlesiana per non sfruttare la cosa. I due la usarono per parodiare il film A Hard Day’s Night, con risultati esilaranti. Ma la miccia per rendere i Rutles qualcosa di più fu il passaggio nel 1976 al celebre programma americano Saturday Night Live cosa che portò produttore esecutivo di quest’ultimo a sviluppare l’idea in un mockumentary di un’ora.

Da quel momento i Rutles fanno sul serio: viene diretto il film All You Need Is Cash che nel 1978 renderà la band un esorcismo del mito dei Beatles, allo stesso tempo demolito quanto – appunto – eternato dalla clonazione musicale. Della serie: possiamo fare a meno dei veri Beatles, l’importante è l’idea che essi possano esistere a prescindere dalla loro effettiva esistenza. La cosa gagliarda è che i Rutles non erano affatto estranei al mondo dei Beatles. I Prefab Four, come si ribattezzeranno i Rutles riferendosi ai prefabbricati edilizi inglesi e ammiccando agli assemblaggi cheap delle loro canzoni, li avevano bazzicati spesso e volentieri. I Monty Phyton di Idle erano protetti da Harrison. Innes era presente con i Bonzo e nel siparietto di “Death cab for cutie” nel film Magical Mystery Tour, apparizione che farà impazzire più di un fan complottista tanto da ipotizzare che il cantante Vivian Stanshall avesse sostituito McCartney morto in un incidente stradale, il quale ad ogni modo produsse il singolo dei Bonzo I’m the Urban Spaceman.

Gli stessi Beatles sostennero il progetto del film: in particolare Harrison fa parte del team di produzione dall’inizio, introducendoli alla Warner Bros e fornendo loro il materiale video d’archivio dell’abortito progetto documentaristico sui Beatles The Long and Winding Road, così da riuscire a rielaborare scene realmente esistite delle quali nessuno era in possesso. Se Harrison vedeva nei Rutles un modo per ridimensionare il pesante fardello dei Beatles e in All You Need Is Cash l’unico documentario credibile sulla storia del quartetto, Lennon ne rimase entusiasta per le ovvie caratteristiche dadaiste, dando delle dritte a Innes per evitare di farsi denunciare dalle edizioni dei Beatles (che come sappiamo non erano controllate dai loro autori) a causa dei loro omaggi/plagi. Ringo e Paul approveranno il progetto poco più tardi, il primo perché nonostante fosse molto divertito non riusciva a superare la narrazione dei loro periodi negativi (anche se ammorbiditi e trattati in maniera ironica); il secondo, sempre molto suscettibile sulla materia, perché alla fine convinto da Linda e dalle origini di Idle, che era di Wallasey, di fronte a Liverpool.

I Rutles non erano musicisti all’acqua di rose, anzi. Oltre a Idle nella parte di Dirk McQuickly ovvero Paul McCartney (che però non suona nel disco a causa di un appendictomia), Neil Innes (nella parte di Ron Nasty ovvero Lennon), la formazione poteva contare sul polistrumentista Ricky Fataar (che impersona l’alter ego di Harrison ovvero Stig O’Hara), noto per essere stato parte dei Beach Boys e per essere il batterista di Bonnie Raitt, il batterista John Halsey nei panni di Barry Wom, ovvero il finto Ringo, che tra le altre cose suona le pelli in Transformer di Lou Reed, e Ollie Halsall (collaboratore storico di Kevin Ayers).

Questo permette a Innes di poter subito trasformare musicalmente i collage beatlesiani in realtà concreta: la tecnica usata non è quella di copiare in maniera pedissequa le partiture beatlesiane, ma anzi di riprodurre svariati pezzi in uno: in pratica una mixtape frullata di quello che la memoria gli suggerisce. In questo modo lo sfasamento mnemonico permette sia una certa riconoscibilità delle citazioni quanto una distanza notevole dagli spunti originari, come se i brani fossero riprodotti “sbagliati”. La genialità dell’approccio di Innes è che si tratta di una specie di algoritmo mentale fuori fuoco, il quale gli sarà utile in sede processuale quando la ATV – proprietaria dei diritti dei Beatles – gli farà come prevedibile causa e lui dovrà difendersi dischi alla mano.

A parte questo iter compositivo stile AI casereccia, in alcuni casi i Rutles sono pionieri di quello che sarà l’approccio nello scrivere canzoni di certe band anni ’90 del Brit pop: Cheese and Onions è un grandissimo pezzo che potrebbe tranquillamente uscire dalla penna degli Oasis, come anche alcuni brani riferiti ai primordi della band potrebbero essere scritti da gruppi come gli Strokes (nonostante il cantante Julian Casablancas dica di odiare i Beatles), band che avranno sicuramente fatto tesoro del loro esempio. Cheese and Onions buggerò talmente a fondo la fanbase dei Beatles che uscì in un bootleg dei quattro come accreditato a Lennon, e tutti credettero alla balla. Scoperto il fake, circolarono voci che a Innes fossero state consegnate session inedite dei Beatles da lui usate a piacimento. In realtà era solo abile nel ricreare non solo un contesto sonoro e finanche una vocalità, per non parlare degli arrangiamenti impeccabili a cura di un asso come John Altman. Piggy in the Middle, versione rutlesiana di I’m the Warlus con relativo video in cui le famose maschere di animali sono sostitutite da inquietanti grugni porcini, fa pensare che i Cure si siano ispirati ai Rutles per scrivere Piggy in the Mirror (l’assonanza del titolo non mente).

I Rutles orientano l’idea di un recupero della psichedelia beatlesiana nella prospettiva “punk” di scippo/sintesi/sberleffo verso una via poi battutissima nei primi ’80 della neo psych inglese (d’altronde è il 1978 e alla fine del mockumentary McQuikly si converte al punk con tanto di megaspillone nel naso). C’è anche l’aspetto – appunto – multimediale: se è vero che i Beatles con Magical Mystery Tour sono pionieri del videoclip anche se ancora legati al formato del lungo e medio-metraggio, è altrettanto sicuro che i Rutles, proprio per la finzione che regge il progetto, fatta di frammenti e sketch, si concentrano invece su brevi filmati. Basti appunto pensare al video di Cheese and Onions che è praticamente una versione pythoniana ultrapsichedelica di Yellow Submarine o a quello di Ouch!, la presa per il culo di Help!, che è il non plus ultra dell’assurdo con una hawaiana sovrappeso che insegue i musicisti in situazioni improbabili e senza senso (tipo far rotolare mele da una duna sabbiosa).

Quello che fanno i Rutles è in effetti amplificare degli aspetti già presenti nei Beatles rendendoli deflagranti, ad esempio il fatto che i film dei quattro baronetti sono fondamentalmente basati su scene improvvisate. Se ne mette in dubbio la genialità, ne viene esaltata l’estrema libertà d’azione che rasenta l’idiotismo orgoglioso quanto l’anarchia pura. Chi oggi storce il naso davanti al video di Now and Then, da molti erroneamente considerato cringe nonostante sia girato da un genio come Peter Jackson, non si rende conto del fatto che è un lascito dei Rutles: il mito che viene riportato alle umane conseguenze del cazzeggio, che era la vera essenza dei Beatles portata alla superficie in tempi non sospetti per la prima volta dai Rutles.

All You Need Is Cash è invece dettagliato e spietato nella parodia e nulla è lasciato al caso: si pensi solo alla sequenza in cui Innes/Lennon incontra la sua Yoko Ono, in questo caso letteralmente la figlia di Hitler che si mette a fare arte concettuale (dal nome incredibile di Chastity), e il bed-in viene sostituito dall’occupazione di una vasca da bagno con tanto di doccia aperta. Oppure ai cameo di John Belushi nei panni del nuovo manager dei Rutles che terrorizza tutti al punto che la gente si impicca al suo passaggio e di Dan Aykroyd, loro primo produttore che è l’unico a non accorgersi di avere per le mani la gallina della uova d’oro, o Mick Jagger e Paul Simon che interpretano se stessi interrogati sulla legacy dei Rutles. Il difetto del film è che applica un taglio americano su un umorismo tipicamente inglese: di conseguenza le due cose limitano le potenzialità sovversive piuttosto che a farle esplodere. Ecco perché non andò benissimo negli Stati Uniti ricevendo invece una buona accoglienza in Inghilterra. La colonna sonora, al contrario, produrrà due hit e verrà nominata al Grammy nello stesso anno di uscita, come se i Rutles avessero davvero, improvvisamente, riempito il vuoto virtuale lasciato dai Beatles.

Innes ci riproverà nel 1996 all’uscita dell’Anthology dei Beatles pubblicando Archeology (Halsall morirà pochi anni prima). Idles declinerà l’invito a partecipare alla reunion, ma nel 2002 farà uscire Can’t Buy Me Lunch, una specie di remaxe del primo mockumentary con molte più interviste ma meno novità, segno che la propulsione del gruppo stava scemando. La band cesserà di esistere solo dopo la morte di Innes nel 2019, proprio quando stava per riportare i Rutles sul palco nella primavera 2020.

Incredibile a dirsi, i Beatles sono tornati tre anni dopo, stavolta seguendo le orme dei Rutles e non viceversa. Se pensiamo che Harrison e Starr avevano in mente di formare una band con Innes e Idle fondendo i due immaginari, forse ci siamo persi la versione dei Rutles di Now and Then: i finti Beatles che rifanno i “finti” Beatles sarebbe stato il miglior modo di dimostrare che, in fondo, dell’algoritmo ci importa poco.

Iscriviti