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‘Random Access Memories’ dei Daft Punk è l’ultimo classico che l’umanità potrà concepire

A dieci anni dalla sua uscita torna in versione espansa il capolavoro dei due robot francesi. Se l’umanità deve finire, speriamo almeno che un’intelligenza artificiale possa costruire una nuova cultura post-umana partendo da qui

Foto: David Black (c) Daft Life Ltd_b

Sono in uno studio di registrazione a Milano sud seduto al centro di una sala d’ascolto. Mi circondano dodici differenti diffusori su cui è stata calibrata la tecnologia Dolby Atmos, il non plus ultra della registrazione spazializzate. Di fronte una coppia di schermi: su di uno è rappresentato un busto umano (sono io?) in uno spazio tridimensionale, sull’altro spiccano i due caschi robotici della celebre copertina di Random Access Memories, l’ultimo disco dei Daft Punk del 2013.

Dai diffusori parte il celebre attacco di Give Life Back to Music, brano d’apertura di RAM, e attorno al busto digitale (oddio, sono io) dei piccoli pallini verdi iniziano a spostarsi nello spazio a rappresentazione del movimento sonoro dei singoli strumenti nell’ambiente che mi circonda. Alcuni suoni sembrano cadere dal cielo, altri scappano da lato a lato, altri ancora si avvicinano e si allontanano. In una mezz’ora lunga-per-sempre un esercito di pallini corre seguendo una selezione di alcuni brani di RAM, mixati e ri-masterizzati per la nuova tecnologia Atmos, a celebrare il decennale dell’instant classic firmato Daft Punk.

I Daft Punk si sono sciolti improvvisamente nel 2021 e solo un mese fa Thomas Bangalter ne ha svelato il motivo, puntando il dito sul futuro tecnologico. «Amo la tecnologia come strumento ma sono in qualche modo terrorizzato dalla natura del rapporto tra le macchine e noi», ha spiegato Bangalter. «Ora che la storia si è conclusa, è stato interessante rivelare una parte del processo creativo che si è basata molto sull’uomo e non sugli algoritmi. Siamo sempre stati dalla parte dell’umanità e non dalla parte della tecnologia, ma per quanto ami questo personaggio, l’ultima cosa che vorrei essere nel 2023, nel mondo in cui viviamo, è un robot». Ed essere qui nel 2023 a sentire Random Access Memories – in uscita oggi in versione allargata con 35 minuti di musica inedita che comprende anche una nuova traccia, Infinity Repeating con Julian Casablancas & The Voidz – attraverso una nuova tecnologia diventa subito una sorta di intrigante cortocircuito. Sullo schermo in cui è rappresentato il mio mezzo busto digitale i pallini scorrono veloci, in parabole apparentemente randomiche. Forse sono i miei neuroni.

Mentre l’onda audio prosegue il suo cammino attraverso alcuni brani di RAM (Give Life Back to Music, Touch, Get Lucky, Lose Yourself to Dance, Contact), il tempo non sembra trascorrere. L’infinito ripetersi dei loop su cui si costruiscono i più grandi successi di quell’album (i quattro interminabili accordi che compongono i sei minuti di Get Lucky e i sei di Lose Yourself to Dance, o l’interminabile ascesa di Contact) costruisce un eterno presente continuo. Non esiste più il passato (in cui i Daft Punk erano un duo attivo), ma nemmeno il futuro (in cui i Daft Punk non esisterebbero se non come qualcosa accaduto). La linea del tempo diventa circolare, tutto torna, tutto rimane. Tutto è qui. Daft Punk compresi.

Citarsi da soli è sempre poco elegante, ma riprendere quanto scrissi su queste pagine dopo la notizia dello scioglimento del duo torna utile: «I Daft Punk non sono mai stati del nostro tempo, non hanno incarnato futuri premonitori o passati in cui rifugiarsi, loro hanno edificato su un presente perenne capace di parlare ad ogni pubblico, in ogni momento, dal club alla radio, dalla festa in casa al solipsismo di giradischi, walkman, CD player, lettore mp3, distributore digitale». Ascoltare RAM oggi è un’esperienza che sbalordisce per una ragione: sembra che dalla sua uscita non sia passato nemmeno un giorno. Forse perché proprio tutto il passato è al suo interno. Le batterie disco-funk monolitiche, i riff di chitarra di Nile Rodgers, i contributi vocali di Pharrell e Casablancas, il vocoder (signature sound del duo per eccellenza). E ancora i synth spaziali, gli arpeggiatori sintetici, l’immortale tributo a Giorgio Moroder. In RAM i decenni e i generi si comprimono in uno spazio senza temporalità dove tutto accade, ed è già successo. RAM è musica che accade, e che sta accadendo (non è un caso che il suono del pop degli ultimi dieci anni non sia altro che una emulazione del classicismo di RAM; vedere alla voce Dua Lipa, Mark Ronson, Miley Cyrus). Sintetizzando il passato e rinnegando il futuro, i Daft Punk con Random Access Memories hanno concepito l’ultimo disco classico che l’umanità sarà in grado di scrivere prima del suo annientamento.

In un mondo in cui i dischi assumono sempre più sembianze post-umane e apocalittiche, la nostalgia (il passato) che ci porta a pensare a cosa sarebbero stati in grado di immaginare i due cyborg con le tecnologie che verranno (il futuro) prova ad insinuarsi nel pensiero di quel cervello digitale che appare sullo schermo (è forse una citazione di Tron: Legacy?), ma ogni ragionamento si sgretola nell’ascolto di RAM. Nell’eterno presente non c’è tempo – letteralmente – per rimpianti o sogni. Ma in fondo siamo umani (proprio come i Daft Punk) e un vizio non riusciamo ad estirparlo dalla nostra natura: la speranza. Allora lasciatecene ancora una, che prima della nostra dipartita da questo pianeta una qualche IA possa ripartire da questo monolite per costruire una lontana cultura post-umana, nelle parole di Bangalter, «basata molto sull’uomo e non sugli algoritmi».

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